Conoscere il tempo ed esperire in collettività
Analisi ed interpretazione di Braid, e di videogiochi simili
In quel momento calò l’eternità.
Il tempo si fermò.
Lo spazio si contrasse in un punto grande quanto una capocchia di spillo.
Fu come se la terra si fosse aperta e il cielo si fosse squarciato.
I presenti si sentivano dei privilegiati, come se stessero per assistere alla Nascita del Mondo…
Qualcuno vicino a lui disse: “Ha funzionato”.
Qualcun altro disse: “Ora siamo tutti figli di puttana”.
[…]
Lei era in piedi, alta e maestosa.
Era furiosa.
Urlò: “Chi è stato a disturbarmi?”.
Ma poi, passata la rabbia, sentì la tristezza che giaceva sotto; lasciò il suo respiro cadere gentilmente, come in un sospiro, come ceneri che fluttuano con delicatezza nel vento.
Non riusciva a capire perché lui avesse deciso di scherzare con la morte del mondo.
Nel vasto mondo del mercato dell’audiovisivo, ci sono certi prodotti che, anche se indagati fino in fondo, non finiscono mai.
Pur sondando ogni angolo della mappa di gioco, ogni singolo fotogramma della pellicola, ogni singola nota compositiva, non riesci mai ad afferrarne pienamente l’essenza, che ai tuoi occhi è sempre, comunque, sfuggente.
Braid fa parte di questa categoria di opere, il cui criptismo è il particolare più allettante.
Il fascino del criptico deriva dalla gustosa necessità di dover dare un certo ordine alle informazioni che ottieni nel corso della fruizione, da sistemare e poi ricomporre, plasmando un puzzle che, alla fin fine, cambia da persona a persona.
Possiamo quindi dire che tra le ragioni del videogiocare, argomento che ha già ricevuto una trattazione nel sito, può rientrare anche la seguente: interpretare.
Non a caso, quella dell’esegesi videoludica è una delle pratiche più apprezzate dal fandom, soprattutto dalle nicchie più strettamente hardcore.
Non predefinisco come obbiettivo di questa pubblicazione il posizionare ogni pezzo nel posto giusto, essa sarà incompleta, in quanto incompleta è la mia comprensione del gioco.
Però cercherò di decifrare il linguaggio del gioco, e trarne degli spunti personali che accendano la riflessione nel lettore, il che è il fine ultimo di ogni mio articolo.
Meraviglia
L’incanto che Braid suscita nella mente del giocatore è semplicemente inimitabile, un senso di sbalordimento che cerca di far breccia nell’animo di chi gioca a questa perla.
L’ambiente di gioco cerca di attuare una seduzione prolungata, il cui proposito è accompagnare il giocatore, formando una relazione persistente con esso.
Non è quell’impatto artistico la cui intensità si affievolisce col passare delle ore di gioco, che tenta di catturarti per poi passare in secondo piano, bensì è una compagnia sempre presente, e che, anzi, si rinvigorisce nella parte finale del gioco, nel quale l’estetica (a 360 gradi) gioca un ruolo insostituibile.
La grazia dei fondali pastello o la delicatezza dei sottofondi musicali sono i primi particolari che risultano evidenti nell’approccio al titolo, e sono il primo livello, nella lettura dell’opera.
Se anche non ti poni alcun interrogativo relativo al racconto e al suo valore narrativo, questo primo strato, quello della meraviglia fine a se stessa, basta per rendere il titolo un’esperienza perlomeno di buongusto.
Ti consente di avere una primaria chiave interpretativa, ossia che il prodotto in questione è un’esperienza estetica, che dà forma ad un locus amenus, che è, semplicemente, piacevole da esplorare, e tanto basta.
Un luogo dall’intensa amenità capace di creare affezione verso il mondo di gioco e uno stato di costante relax, durante l’esperienza.
Tuttavia, questa immensa magnificenza, che mai cessa di essere attraente, è sintomo di un’inclinazione della narrativa per cui provo poca simpatia, nonostante sia sempre gradevole.
Faccio riferimento ad una prassi in particolare, che consiste nell’innalzare l’ordinario.
Quando la vita e le esperienze quotidiane vengono raccontate in un’opera, si assiste non raramente ad un innalzamento rappresentativo di tali esperienze, che dà ad esse un sentore quasi metafisico, presentandole come più stupefacenti del normale.
Se da un lato il fascino della contemplazione rende imperdibile la fruizione di narrazioni simili, dall’altro esse rischiano di mostrare un incanto che nel mondo reale non esiste, e di impartire precetti morali sulla realtà usando come punto di partenza un mondo artificioso la cui bellezza è incomparabile.
Quella fascinazione, che il videogioco, mediante il racconto del mondo interiore di Tim, tenta di suscitare nel fruitore, è sostanzialmente diversa e superiore rispetto all’attrattiva dell’interiorità umana reale.
Il tentativo di presentare con materialità un oggetto metafisico, quale è la coscienza in prima persona dell’homo sapiens, per ricavarne riflessioni morali, perde di valore nel momento in cui la fedeltà viene a mancare nella raffigurazione.
Pertanto è sbagliato eternare lo stupore, che è invece un sentimento momentaneo, la cui specialità nasce proprio dalla rarità della sua manifestazione.
Lo charme dell’interiorità e dell’esteriorità del mondo è innegabile che esista, ma si rivela in brevi sprazzi della nostra vita.
La cittadella interiore, mi sento un tantino banale nel ribadirlo, è una mescolanza di ἔρως e Θάνατος, che si alternano e congiungono, più o meno armoniosamente.
Non che nel gioco manchino le difficoltà, ma è palese che la lotta interna, nella mente del protagonista, venga rappresentata in modo sbilanciato a favore dell’aspetto magico, il che ottiene l’effetto contrario a quello desiderato, poiché invece di esaltare la vita e lo spirito, la svalorizza tramite una costruzione troppo bella per essere vera.
Quello di Tim è un pellegrinaggio spirituale fra orrore e pentimento, nell’abisso di una colpa inenarrabile, per cui la meraviglia e lo stupore dovrebbero essere soltanto un anestetico sporadico durante il suo percorso.
Egli vive una colpa millenaria che nessuna redenzione può salvare, e per via della quale egli si fa giudice di sé.
L’entusiasmo che le sue memorie accendono dovrebbe dunque essere uno strumento col quale acquietare i demoni interiori e incatenanti, non una sensazione normale e ordinaria.
Un concetto bellissimo, direi: saper placare i tormenti tramite le piccole gioie, applicabile anche alla nostra quotidianità.
Calmarsi, grazie agli odori che ci rammentano gli attimi fuggiti, alle pagine di un romanzo, alle onde del mare, a della buona musica.
Un falò sicuro davanti al quale rigenerarsi.
Ma i momenti rigeneranti sono sporadici, si assestano saltuariamente nella noia del trantran, che poco ha in comune con la poesia delle note di un soave violino.
La vera vita inizia laddove le favole finiscono.
Divinizzare ciò che è profano è spesso un sintomo del timore del nonsenso interno alla vita umana.
Tempo
Il tempo è uno dei protagonisti della storia di Braid, ne è l’argomento cardine, ma è anche una meccanica di gioco che diventa veicolo di messaggi.
Esempio di come, nei videogames, il gameplay stesso possa rivelarsi non soltanto un mezzo ludico, ma anche un fine espediente artistico, con un concreto scopo comunicativo.
Trastullarsi con la dinamica del riavvolgimento del tempo, nel corso della run, ti permette di recepire svariati messaggi.
Durante l'esperienza è possibile trovare diversi modi coi quali la percezione temporale si presenta al giocatore.
Possiamo dire scherzosamente che il gioco gioca col tempo, per suscitare in te diletto e soprattutto riflessioni.
Mediante il gameplay dell’opera, per esempio, ti viene detto che esistono certi errori irreparabili, la cui traccia permane in eterno, perciò nel gioco è possibile correggerli soltanto tornando indietro.
Viene quindi evidenziata la preziosità di ogni secondo, ogni singolo istante è un mattone che ci costruisce e ci plasma.
Noi evidentemente, a differenza di Tim, non siamo certo personaggi di un videogioco, non siamo in grado di controllare lo scorrere degli attimi e interromperne la linearità.
Nel mondo vero ogni istante ci sfugge fra le mani, se non gli dedichiamo la giusta cura.
In questo aspetto il gioco riesce dunque a ribadire quanto hanno già ben compreso i latini diversi secoli fa: il tempo ha un valore inestimabile.
Al contempo ti viene detto che esistono delle esperienze e degli oggetti che superano la linearità temporale, infatti nel corso delle sfide del videogame ci sono oggetti di gioco che rimangono intatti, non venendo scalfiti dal ritornare indietro nel tempo.
In questo caso abbiamo l’esempio chiaro di un oggetto metafisico che viene materializzato, l’esperienza mentale che diventa concreta.
In fondo, l’indifferenza alle variazioni del tempo di questi oggetti di gioco non fa altro che simboleggiare ciò che nella coscienza, la nostra e degli altri, rimane immobile, i solchi dei nostri ricordi e delle nostre azioni che non svaniscono mai, indipendentemente dal tempo.
Questi costituenti dell’opera, insieme a tanti altri, non fanno altro che rappresentare un legame indissolubile che è presente in ogni vita umana: la relazione insolubile fra la conoscenza del mondo fisico, nello specifico la percezione del tempo, e la coscienza.
È cristallino per tutti noi: la sensibilità, in tutte le sue proprietà, manipola il modo con cui percepiamo la realtà esterna.
Chi ha giocato il gioco sa bene che cosa è veramente quella principessa tanto agognata dal protagonista, presentata con una certa vaghezza, che soltanto alla fine viene eliminata.
Una chimera fantastica che nasconde morte e sangue, ma che viene vista da Tim come un oggetto di romantico desiderio, per via della manipolazione della realtà esterna attuata dalla sua coscienza.
L’emotività del soggetto umano è una patina che funge da filtro per il mondo esterno, e che fa coesistere in noi diversi mondi, con forme diverse, che si alternano al variare delle esperienze e delle sensazioni.
Anche questo quadro non rappresenta nulla di nuovo, in quanto ricorda, nuovamente, quanto è già stato affermato da più pensatori della filosofia latina.
I tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Questi tre tempi sono nella mia anima e non li vedo altrove. Il presente del passato, che è la storia; il presente del presente, che è la visione; il presente del futuro, che è l’attesa.
Agostino d’Ippona
Tim può riavvolgere il tempo, rallentarlo, sdoppiarsi in tempi paralleli, e tanto altro.
Tutto questo è possibile perché il viaggio che il giocatore compie è a cavallo fra il fisico e il metafisico, che manipola la realtà.
Affronta un viaggio a cavallo fra il percorso nella società umana e l’attraversamento della propria interiorità, di amori, gioie e pentimenti.
Di questo parla Braid, dell’attraversamento interiore, di come il percorso d’attraversamento influenzi il nostro vivere e la conoscenza della realtà, in un viaggio continuo fra le memorie delle proprie azioni, dei propri errori e dei propri desideri.
Esperienza di gioco
Concentrandomi più nello specifico sull’esperienza dell’opera, posso affermare senza remore che questa sia piacevole a prescindere dagli stimoli intellettuali che trasmette.
Al netto delle considerazioni da fare sugli insegnamenti della sua storia, è divertente speculare sugli indizi che il gioco offre per ricostruirne gli avvenimenti e disambiguarne le metafore.
In questo non c’è nulla di nuovo: non è certamente raro trovare, nel grande corpus del mercato videoludico, dei videogiochi che cercano di costruire il proprio fascino sulla contemplazione e sull’indagine, su quegli occulti dettagli la cui presenza mai risulta scontata agli occhi del gamer hardcore.
Inoltre, se in quanto sviluppatore ci si pone come obbiettivo il suscitare interesse verso la ricostruzione della lore di gioco, vuol dire che il desiderio è anche quello di creare una comunità di appassionati che, collettivamente, cerchino di decifrare il mistero che tale lore rappresenta.
Perciò godere appieno dell’esperienza di videogames simili non corrisponde unicamente allo spendere tempo nel mondo di gioco, ma anche al fare rete fra appassionati.
In questo momento entra allora in gioco quel prospettivismo di filosofica memoria.
L’interezza dell’opera non è più contenuta solo nell’opera, ma coincide con l’interezza di interpretazioni di essa che vengono fornite dalla community.
Il definire cosa il gioco contenga non passa solo per il vaglio dei suoi contenuti, ma anche per l’approfondimento delle conclusioni che trae la comunità di appassionati.
Il risultato è la creazione di enciclopedie e fonti ricchissime di informazioni, che non sono altro che il frutto della rielaborazione e messa in ordine da parte degli appassionati.
Perciò chi si informa partendo dalle enciclopedie e dai video divulgativi, senza mettersi in gioco nell’interpretazione personale, impara dalle letture e dalle conclusioni tratte da altri fan, i quali si sono sobbarcati l’onere di ricostruire il gioco.
Il fatto più seducente è proprio questo, quel che impariamo da videogiochi di questo tipo deriva dagli sviluppatori solo in minima parte, essi lasciano infatti la maggior parte del lavoro ai giocatori che diventano anche studiosi ed esegeti.
Almeno che non vogliamo essere pure noi interpreti, e non solo interessati beneficiari di interpretazioni altrui.
Quello dell’interpretazione personale è un elemento che accomuna qualsiasi lavoro artistico, ma diventa essenziale nel rendere unici questi videogiochi.
Se normalmente la storia viene esposta con una certa chiarezza richiesta dal mercato, e puoi subito decifrarne il significato, nel caso di titoli del genere la prima cosa da decifrare è la storia, compresa la quale si giunge al momento di decodificarne il significato.
C’è quindi un passaggio aggiuntivo, che solitamente rappresenta un grande scoglio da superare.
Il ruolo di chi sviluppa il titolo in questione non è fornirci il puzzle già composto, ma dare in mano al giocatore il puzzle da comporre.
Le enciclopedie e le spiegazioni nei forum, invece, sono il puzzle già composto, devono esserlo, per quegli appassionati che non hanno voglia né tempo di perdere ore nell’esaminare un videogame.
Nei videogiochi classici, per via dei gusti del pubblico generalista, il puzzle è già bello che pronto, possiamo solo ammirarlo.
Quando, invece, ci troviamo di fronte a titoli più complicati, la narrazione dell’opera a sé stante diventa pertanto solo un primo livello, che va superato mediante la lettura, l’interpretazione e lo scambio di idee, pratiche che a loro volta trovano compimento solo nella narrativa dell’opera, e che quindi vanno superate a loro volta.
Non è altro che un continuo rimandare dell’una all’altra.
Godere del gioco e basta è insufficiente, per cui devi compensare con l’approfondimento, il quale però serve anche e soprattutto a comprendere meglio il gioco stesso, non è certo la fine del lavoro.
Il lavoro comincia nel gioco e finisce nel gioco.
Lo studio della lore, in questo caso, è unicamente uno strumento atto a farti captare al massimo l’essenza del gioco come esperienza, nella sua totalità.
Lo scopo decisivo è arrivare alla congiunzione fra significato e significante, fra quel che il gioco vuole dirti e il modo in cui te lo comunica.
Diventa possibile beneficiare al massimo di titoli del genere quando attuiamo questa congiunzione, quando uniamo le due cose: giochiamo al videogame e associamo questa attività all’assimilazione di nozioni, teorie e spiegazioni, o al personale studio degli elementi di gioco.
Per questa ragione è preferibile giocare più volte certi titoli.
Il piacere in noi allora non si limita unicamente al consumo dell’opera, ma nasce anche dalla lettura di pagine web, dall’analisi di documenti, da video informativi, o da discussioni sul tema.
Per buttarla sul filosofico possiamo dire che la prima run è la tesi, l’analisi che si contrappone all’esperienza videoludica è l’antitesi, mentre la sintesi è la piena riaffermazione dell’analisi nell’esperienza di gioco.
Gioco, approfondimento al di fuori del gioco, e coglimento della reale essenza del gioco grazie alla conoscenza assunta dall’approfondimento.
Sono tre fasi imprescindibili per cogliere pienamente la sostanza di un videogioco: gustare il mondo di gioco genuinamente, poi buttarsi nello studio di quel che il mondo è, che mi permette di esperire consapevolmente ciò che mi offre.