SPOILER ALERT: molto minori spoiler per SotE, ma sempre spoiler sono
La morte, per noi, non è nulla, poiché dove noi siamo, non c’è morte, e quando c’è la morte, non ci siamo noi. O almeno così pensava Epicuro. Probabilmente a questo punto ha scoperto se aveva ragione, o forse la sua mente si è dissolta troppo in fretta per trarre conclusioni.
Elden Ring è un gioco ossessionato dalla morte, così come lo sono i personaggi che lo abitano. Ogni tipo di rito funerario è utilizzato nell’Interregno: le bestie di Farum Azula usano una sorta di mummificazione ornamentale, ma seguono presto tombe, cimiteri e urne, mausolei e catacombe; ma ci sono anche sepoltura in barca e la cremazione nella Fiamma Spettrale, e naturalmente la sepoltura nell’Erdtree, la cosiddetta “Proper Death”: essere assorbiti dalle onnipresenti radici dell'Erdtree. In realtà esiste anche un ensemble altrettanto vario di mezzi per la reincarnazione. Riciclaggio dei corpi attraverso vasi che diventano soldati viventi - a sua volta un derivato della pratica più raccapricciante del "invasamento", fondere persone vive in vasi - riciclaggio delle anime attraverso maestosi Spiriti Antenati che crescono dall'energia spirituale riformata, le Ceneri degli Spiriti che prendono la forma del defunto e possono svolgere il loro compito e, ancora una volta, la sepoltura dell'Erdtree, attraverso la quale sia il corpo che l'anima possono essere riutilizzati in qualsiasi modo l'Erdtree ritenga opportuno, o addirittura - come accade a noi Senzaluce - ricreati interamente e subito, rendendoci immortali; l'Erdtree sostituisce un albero precedente (l'Elphen) che si presume guidi le coscienze dei defunti nel vuoto, eppure pare permettesse ai guerrieri più feroci di continuare a vivere come fantasmi nelle ali degli uccelli della morte. Nella cultura degli Hornsent, i corpi venivano fusi in vasi e usati per alimentare e gestire il Crogiolo della vita per dargli forma nella torre a spirale che si estende verso la divinità. Esistono persino pratiche per risolvere le lacune dell'intricata metafisica di questo mondo, per cui le forme di vita artificiali di argento liquido vengono conservate nella morte all'interno di enormi bare dove si putrefanno all'infinito, poiché l'albero non le accetta. C’è molta discordia - e intere guerre - su quale sia il modo corretto di morire. C'è un intero continente - la Terra d'Ombra - che funge da zona di contenimento per le cose morte che l’Erdtree non reincarna. La Morte (la Runa della Morte o Morte Fatidica) è anche una sorta di MacGuffin, un oggetto conteso tra le fazioni che rimbalza dalla mano di una all'altra: in origine, una candidata-dea nemica di Marika, la misteriosa Regina dall’Occhio Tetro, aveva la padronanza della runa della morte, finché Maliketh non l'ha rubata per conto di Marika e sigillata in se stesso, escludendo dalle regole della realtà la "vera" Morte - la dissoluzione del corpo e dell'anima che cancella l'identità per sempre, cioè la Morte come noi la conosciamo, diventando tristo mietitore e tesoriere di Marika al contempo; Ranni ne ha rubato una parte a Maliketh, per uccidersi nel corpo e, per necessità, uccidere l'anima del suo compianto fratello Godwyn; Godwyn diventa una forma di vita mescolata alla morte, il fuoco diventa radici e la morte diventa non-morte, una piaga; Maliketh cerca di riformare la Runa sparsa mangiando le radici cancerose di Godwyn, mentre noi cerchiamo di strapparla ancora una volta a Maliketh per portare la vera morte all'Erdtree e alla Elden Beast. Melina, guida del nostro personaggio e figlia di Marika (e che, parrebbe, era la Regina dall’Occhio Tetro o la sua reincarnazione) vuole che troviamo la Runa per riportare la morte nel mondo, e ci segue fino a sacrificarsi per questo scopo, considerando un mondo privo di morte anche privo di senso. Anche gli apostoli sociopatici della regina, i Sacriderma, la stanno cercando freneticamente, scorticando vivi un buon numero sudditi di Marika e vestirsi con le loro pelli, già che ci sono, come forma di punizione: fargli rimpiangere un mondo senza morte attraverso un dolore atroce. Sembra un film come The Snatch o Smokin' Aces, dove tutti si litigano tragicomicamente il possesso di un piccolo oggetto tanto sfuggente quanto decisivo. La morte è anche un Dio Esterno, simboleggiato dagli uccelli e dalla fredda fiamma dei morti. Questa è una prova fondamentale del fatto che gli Dei Esterni non sono "alieni" e non fanno parte dell'ordine naturale solo perché ne sono banditi. E quando l'Anello bandisce un concetto, ad esempio la decadenza (Marcescenza) o la disperazione (Frenesia), non scompare, ma è solo represso da qualche parte e si contorce come una divinità shintoista sigillata, così che qualcuno può semplicemente attirare la sua attenzione con qualsiasi sentimento forte, come fa Romina con la marcescenza, o Midra con la frenesia. I maledetti esisteranno sempre, e non è del tutto iniquo ritenerli responsabili – ancora una volta concetto molto giapponese, la malattia come qualcosa che ci si merita e ci si procura. In un mondo del genere, basta poco per contattare un Dio esterno: una semplice ragazza di chiesa può farlo, come Romina, una nessuno prima di diventare un avatar della marcescenza. In un certo senso, come dicono i Fondamentalisti dell'Ordine Aureo, è la Legge del Regresso: tutto ciò che è separato cerca di tornare, di fondersi di nuovo. Sigillare gli elementi sgradevoli li rende sempre più distruttivi (ancora una volta, come nello Shintoismo), prova ne sia l'ingenuità con cui Moore e i suoi amici insettoidi (la Nidiata dei Cercatori) dimostrano che persino la venefica Marcescenza potrebbe essere usata come elemento positivo nella fermentazione o nell'ossidazione. In un mondo del genere, è chiaro perché la Morte ha smesso di essere un elemento della natura ed è diventata una malattia virulenta: proprio perché sigillata. Infine, c'è la presunta co-protagonista della storia “Era del Crepuscolo”: Fia, la Compagna di Morte; cresciuta ed educata per amare i cadaveri. Una Compagna di Morte, nelle sue terre, è una dama che abbraccia e riscalda il corpo di un illustre defunto nella speranza che si reincarni. Un compito piuttosto umiliante, non c'è da stupirsi che Fia si consideri una tra "i molti e gli umili" e sogni l'avvento di un dio degli ultimi e dei dimenticati. Non c'è nemmeno da stupirsi che trovi familiare la compagnia dei cadaveri viventi, e in particolare delle persone infettate da Godwyn (etichettate come Coloro-Che-Vivono-Nella-Morte), al punto da diventare lei stessa contagiosa anche per il suo amante Rogier e il suo padre adottivo Lionel. Pertanto per Fia il signore ideale sarebbe Godwyn. Non il Godwyn che fu vivo, così forte, nobile e generoso da calmare i draghi e farseli amici, ma quello morto: un cancro che si replica all'infinito, diffondendo la piaga. Totò DeCurtis, il principe della risata, chiamava la Morte "A Livella " che equalizza tutti, e questo è ciò che Fia vede in Godwyn: qualcuno che diffonderà lo stigma su chiunque portando equità. I non-morti sono i più discriminati, insieme agli Omen, e mentre il Mangiasterco amava chiaramente l'Omen come concetto, ma non provava particolari sentimenti di compassione per nessun Omen concretamente esistente (o per nessuno, se è per questo), Fia sembra un personaggio pacifico e innocente. Non fa del male a nessuno, tranne a coloro che uccidono i non morti a vista. Non cerca di forzarci. Vuole solo sacrificarsi per creare una runa e far sì che l'Elden Ring includa il concetto di vita-nella-morte. Per molti, un finale da buoni sentimenti, con il vantaggio di non essere complici di un serial killer.
Solo riassumendo questa parte della storia, abbiamo menzionato la morte una ventina di volte. Eppure manca un ospite di rilievo. La morte. Non c'è morte nel finale di Fia e, si può dire, non c'è quasi nessuna vera morte nell'Elden Ring. Nessuno è veramente morto. Nessuno è veramente andato. La metafisica stessa di Elden Ring, il samsara voluto da Marika, fa sì che chiunque possa tornare in qualsiasi momento, se solo la luce della Grazia lo fa accadere. Non c'è lutto, e la morte più significativa - l'autosacrificio di Melina - è stata scelta da lei stessa, e avviene così rapidamente e senza cerimonie che è difficile provare qualcosa mentre accade. Elden Ring non è una storia sulla morte. Non cerca nemmeno di esserlo. È la storia di un'intera società che fugge freneticamente dalla morte, che ne parla all'infinito, che mette in atto qualsiasi mezzo per governarla - ma non la affronta mai. Ciò che ottengono è una imitazione, una morte farsesca. Se Fia ottiene il finale che spera, la morte è liberata, ma è solo un'altra forma di vita; Fia non accetta la morte, anzi ne sterilizza il significato. È la beffa finale, l'ossessione per un'idea infantile della morte, luce crepuscolare, vestiti neri, teschi e falci e tenebre - ma i "morti" di Fia sono solo persone vive e sgradevoli d’aspetto. Apparentemente, persone molto più calme e fredde - forse come Leopardi ha ritratto le mummie di Federico Ruysch, che aborriscono i vivi irrequieti e considerano la vita un’afflizione ben peggiore. Sarebbe facile dire questa narrativa cerca di insegnarci che dobbiamo accettare la Morte e non scappare da essa – piuttosto banale. Io credo che stia dicendo qualcos'altro. Non ci può essere una morale da trarre dalla Morte. Nessun insegnamento, nessuna accettazione, nessun modo corretto di affrontarla. L'unica vera morte nella storia, oltre a quella di Melina, che apparentemente ha scelto la sua fine, è quella di Godwyn. Godwyn è stato probabilmente scelto dai Coltelli Neri, i numen complici di Ranni, come bersaglio politico per vendicarsi di Marika - anch'essa numen – perché non ha concesso alle Città Eterne della Notte la centralità culturale che avevano un tempo. Come nel caso dei primi Hashashin, i terroristi mediorientali drogati da cui è nata la parola Assassino, la morte di Godwyn sta a significare che nessuno è al sicuro. E la cosa importante è che Godwyn, il coraggioso, il forte, il misericordioso, non risulta aver mai fatto nulla per meritarselo personalmente. La morte di Godwyn, la sua ingiustizia, la sua subitaneità, hanno il peso di una morte reale e, in effetti, il suo omicidio incombe pesantemente su tutta la narrazione. Ci si potrebbe chiedere cosa faccia Marika dopo aver sperimentato la vera morte, avendo costruito un’intera società per sfuggire ad essa. Impazzisce per il dolore. Una reazione piuttosto banale. Di fronte alla morte reale, nel complesso mondo magico di Elden Ring si fa quello che fanno tutti. Piangere spezzati dal dolore.
Ci si potrebbe chiedere se sia un segno dell'immaturità di Miyazaki, che in un gioco così ossessionato dalla morte, che la invoca a ogni piè sospinto, non riesca a dire nulla di significativo sull'argomento. Ma forse il punto sta proprio qui. Non c'è nulla di significativo da dire e nulla di significativo da fare con la morte, se non cercare di sfuggirle. Molti filosofi hanno preso di petto la morte. Per Kierkegaard, la morte e l'incertezza del momento, mista alla certezza della sua venuta, davano senso e urgenza alla vita. Per Schopenhauer, la morte era lo scopo finale della vita e l'unico modo per raggiungere la pace, e prepararsi ad essa era un buon investimento. Per Nietzsche, la morte era per coloro che erano abbastanza saggi da vederla come il degno finale di una vita degna e prepararsi di conseguenza. Non è che il pensiero umano non parli della morte: lo fa continuamente. Tuttavia, è difficile immaginarsi un morente che trae conforto dal più memorabile aforisma di Schopenhauer sull'argomento che si riesca a ricordare e tuttavia, se questo foss’anche mai accaduto, non lo sapremo mai. Qualunque cosa qualcuno abbia imparato morendo, non lo sapremo mai: è l'esperienza più personale che si possa immaginare, impossibile da condividere. Certo, non tutti hanno affrontato la morte con disperazione e terrore. Wittgenstein disse notoriamente: "Dite loro che la mia vita è stata felice". Una frase che letteralmente nessuno capì, né chi fossero "loro" né cosa intendesse con vita felice. Di nuovo: l'esperienza più personale possibile. Dove c'è la morte, non ci siamo noi. Una porta per il vero ignoto. Ci aspetta davvero la pace delle mummie di Ruysch, dopo la distruzione del nostro corpo, o forse un tranquillo sonno della coscienza che cerchiamo di definire come “nulla” o anche questa è speculazione consolatoria? Chi lo sa davvero? Nemmeno le mummie stesse riescono, nel Dialogo di Leopardi, a spiegare nulla sull’esperienza della morte, se non che l’avevano voluta evitare fino a qualche ora prima, e nel momento stesso non avevano provato nulla, poiché la morte non può essere esperita. E’ la non-esperienza. L'incapacità di parlare conclusivamente della morte è intrinseca alla morte stessa. I personaggi di Elden Ring danzano con la morte, ne parlano, litigano, ma alla fine propongono sempre e solo modi per sfuggirle. È un po' quello che fa il pensiero umano in generale: un monumentale tentativo contorto di rendere la morte meno terrificante e incomprensibile. Lo stesso Ordine Aureo non è che questo. Gran parte del fantasy moderno - per esempio Harry Potter, il fantasy pop se mai ce ne fu uno - giudica il bisogno di fuggire dalla morte con severità, un’ossessione che è spesso il tratto principale di un cattivo archetipico. C'è una certa dose di disonestà snob nel fare di chi teme intensamente la morte un pazzo, come se il minimo da aspettarsi da chiunque sia di prendere la prospettiva della morte sportività. Più facile a dirsi che a farsi.
Il finale di Fia è, potremmo dire, il finale più umano. Inauguriamo un mondo in cui le persone possono marcire, sgretolarsi, essere ridotte a un fantasma effimero, ma nessuno se ne andrà. Mai. Non ci separeremo mai. Dovremo preoccuparci della decadenza o dell'apatia, ma mai del trauma, della perdita o del concetto indicibile della nostra stessa identità che svanisce nel nulla. È facile predicare dal piedistallo che è distopico, che la morte va accolta, accettata. Logicamente parlando, è vero: la sola prospettiva di avere un tempo infinito sarebbe sufficiente a paralizzare chiunque come gli immortali di Borges. Ma come l'abbraccio di Fia, sappiamo sempre che sembra falso ma lo accogliamo. Non possiamo fare a meno di apprezzarlo, quel momento malinconico di fragilità umana, l'illusione di un abbraccio collettivo che non finirà mai. Non possiamo amare la morte o capirla. Possiamo solo vivere. Quando c'è la morte, non ci siamo noi.
Fonti:
Epicuro, F. Nietzsche, S. Kierkegaard, A. Schopenauer (menzioni varie)
Elden Ring, Rivelazioni - di Michele Poggi e Mirko LaMarca
The Forgotten Rituals of the Catacombs, video di Tarnished Archaeologist
Operette Morali/Dialogo di Federico Ruysch e le sue Mummie, Giacomo Leopardi