Questo articolo contiene spoiler su Alan Wake 2. Vi consiglio di lasciar perdere il gioco e risparmiarvi 20 ore di vita (fissare una parete bianca è, fidatevi, tempo speso meglio) e leggere direttamente questo pezzo. Ma se volete guardare l’orrore (oh l’orrore!) di conradiana memoria, fate pure e giocate al titolo più stupidamente pretenzioso che potreste mai aver giocato.
Remedy, come al solito, mette sul tavolo tantissime questioni e non riesce a chiuderne mezza. Vengono presentati personaggi nuovi praticamente a ogni capitolo (in cui il gioco è suddiviso) e non riesce ad approfondirne mezzo. Nemmeno i personaggi principali, che vengono trascinati stancamente per tutte le 20 ore di gioco, riescono ad avere una chiusura degna di questo nome.
Alan Wake 2 prova a mischiare i media: cinema, teatro, podcast, radio, musical, fotografia e videogioco senza riuscire a metterne in scena uno degnamente. Soprattutto il medium videoludico, di cui a Remedy serve palesemente uno studio approfondito, è fortemente carente perché è nell’interratività e, quindi, nel gameplay che si vede tutta l’inadeguatezza della suddetta casa di sviluppo.
Ma andiamo con ordine.
Ammetto che ho capito fin dall'inizio dove il gioco voleva andare a parare (lo scrittore che plasma la realtà con il suo racconto è un topos abbastanza vecchio), e già da quando ho sentito nell'introduzione il dialogo al telefono tra Saga, la protagonista agente dell’FBI, e la figlia Logan ho intuito quale sarebbe stato il dramma. Dramma che oltretutto nemmeno si ha la forza di portare fino a in fondo.
Inoltre, fin da subito, ho notato la grande stranezza degli eventi e della messa in scena stessa, non riuscendo mai a credere che quella di Saga fosse la realtà. È veramente impossibile non farsi domande di fronte alla protagonista e al suo partner Alexander Casey (un Max Payne sotto mentite spoglie) che non mettono mai in dubbio la realtà di fronte all'apparizione di un vero e proprio zombie e altre stranezze magiche. Nel mondo reale nessuno rimarrebbe così distaccato di fronte a tali bizzarrie senza esserne minimamente toccato e ad avere un minimo di sbandamento incredulo, quindi le soluzioni erano due: o Alan Wake 2 è veramente mal scritto o, fin dall'inizio, i personaggi non sono in una dimensione che definirei totalmente quella reale. Ovviamente sono vere entrambe le cose.
Saga si muove all'interno di una storia horror scritta da Graffio, il nemico principale dell'opera, che scrive per riuscire a modificare la realtà e, quindi, a fuggire dal luogo oscuro. Graffio è Alan Wake, ma diretto da Maccio Capatonda: “fammi una faccia cattiva”, e quello digrigna i denti e aggrotta le sopracciglia. Forse Sam Lake, autore del videogioco, voleva parlarci di doppie personalità, di una parte tossica dell'animo umano che, inevitabilmente, danneggerà chi ci sta intorno, dell'ossessione per la propria opera… O forse sono io che sto sovrainterpretando, dando più dignità a quello che effettivamente c'è all'interno di Alan Wake 2.
Alan Wake 2 prende a pienissime mani dalla terza stagione di Twin Peaks: la fuga dalla loggia nera da parte del male stesso (in Alan Wake 2 chiamato presenza oscura, come in un cartone animato per seienni), il doppelganger, le canzoni suonate alla fine di ogni capitolo… Purtroppo, alla direzione non c'è Lynch, il pubblico di riferimento non è un pubblico 'colto', ma è il videogiocatore medio, ovvero un ignorante che nella vita videogioca e basta. Abituato a buttare cento ore al vento facendo le solite azioni all'infinito, che lo si può stupire con qualche supercazzola paranormale e astrusa (e mal scritta). Alan Wake 2 è un continuo effetto speciale, uno spettacolo di fuochi d’artificio lanciati nel cielo da un ubriaco che goffamente preme tasti a caso sul pannello di controllo.
L'opera di Remedy, inoltre, si ispira anche a Il Seme della Follia di Carpenter (1994) , non riuscendo mai a raggiungerne l'atmosfera e la suspense. Infatti, il mondo oscuro in cui è intrappolato Alan Wake ricorda proprio la metropoli mefistofelica in cui il protagonista John Trent finisce in sogno (in una scena magnifica con il jump scare più riuscito della storia del cinema).
Mi allaccio, brevemente, proprio ai jump scare: sembra che a Sam Lake sia scappata un po' la mano, dal momento che i jump scare stessi sono l'unico metodo demandato alla creazione di suspense e orrore nel gioco. Serviranno anche da guida per il percorso da intraprendere; infatti, jump scare equivale alla direzione giusta ed è il metodo per sapere che non ti stai perdendo.
Tornando al confronto con il film di Carpenter, il regista riesce a mischiare un po' il romanzo e il cinema. La scena finale del protagonista ormai impazzito che sta guardando al cinema la sua stessa storia, ovvero il film che abbiamo appena visto noi, riesce alla perfezione. Carpenter, non essendo un pretenzioso incapace, capisce come usare il suo medium, mescolandolo solo leggermente al romanzo e usando la tecnica della metanarrativa in modo centellinato.
Invece Sam Lake non ha limite, mischia tutto, preso da un’euforia onanistica:
Il cinema entra nel videogioco con personaggi in carne e ossa costretti in scene ridicolmente dirette.
In realtà, le prove attoriali dei personaggi non sono malissimo finché rimangono soli a schermo. Si percepisce però il non talento quando interagiscono con altri attori, e non so se sia veramente mancanza di talento da parte degli attori stessi o del regista che non riesce a mettere in scena un campo e un controcampo grammaticalmente corretto nemmeno per sbaglio. In alcune scene, infatti, non si capisce nulla: chi sta parlando a chi, dove si trovino effettivamente i personaggi, quanta distanza ci sia effettivamente tra loro, eccetera... e non perché vogliono essere scene incomprensibili, stranianti o orrorifiche, ma perché manca la conoscenza della grammatica di base per girarle.Lo spot pubblicitario cerca di smorzare i toni, facendo quasi da spalla comica a tutti gli altri media ed è, onestamente, il medium meglio usato. Questo non mi stupisce, visto che a Remedy riescono ad avere continuo successo di critica e di pubblico (anche se non sembra il caso di Alan Wake 2) nonostante i giochi mediocri e pretenziosi che fanno. Probabilmente hanno un ottimo ufficio marketing.
La musica (e il musical) servono a disvelare, rappresentando un po’ una forma di arte ancestrale e primitiva che riesce ad arrivare al cuore delle persone. La musica è una sorta di guida all'interno di tutto Alan Wake 2: serve per segnalare dove si trovano alcuni personaggi che canticchiano, serve per guidare Alan fuori dal regno oscuro. Insomma, cerca di fare quello che faceva Outer Wilds, ovvero l'arte (la musica in questo caso) come guida, ma il livello nell'opera di Remedy è talmente basso che è vergognoso mettere a confronto queste due opere.
Anche il romanzo entra nel medium videoludico leggendo, noi giocatori, le astruserie che sta scrivendo Wake nei suoi due romanzi: Initiation e Return. Il gioco stesso è diviso a capitoli come un romanzo, e le pagine del romanzo, che troveremo disseminate per l’intera mappa di gioco e che potremo leggere, servono come anticipazione di quello che succederà.
La fotografia, arte di Alice, ovvero la moglie di Wake, serve come indagine dell’animo umano. È una porta che si affaccia sull’orrore, scimmiottando un po’ la leggenda della macchina fotografica maledetta: ogni volta che scattava una fotografia, appariva una porta sempre più aperta da cui sarebbe poi uscito il diavolo in persona.
In generale, il gioco è mal scritto, i personaggi sono troppi e inutili macchiette. Non c’è la minima suspense (se non quella creata dai jump scare di bassa lega, che se fossero presenti in un film, ci sarebbe la critica cinematografica intera davanti agli studios responsabili, con i forconi e le torce pronti a dare fuoco a tutto) perché, passate le prime due-tre ore di gioco, mi sono reso conto che tutto era finto e quindi la preoccupazione per i personaggi è svanita. Tutto è una storia creata da Graffio e Alan Wake: i personaggi non sono realmente in pericolo (essendo in una storia che lo stesso Wake potrebbe modificare) e, anche se avessi mai avuto dei dubbi sulle loro sorti, me ne è sempre fregato meno di zero, tanto il racconto me ne aveva fatto appassionare (oltre a una direzione da horror adolescenziale in cui già sai che ai protagonisti non accadrà mai nulla di male).
Nelle prime ore di gioco, però, ero stupito di come Saga fosse un personaggio di donna forte e non la solita macchietta caricaturale: è indipendente, geniale, vuole bene al suo partner, a suo marito e a sua figlia Logan, non fa costantemente la morale, ha un buon intuito, riesce a fare carriera dentro l’FBI grazie alle sue capacità da detective ed è tutto sommato simpatica. Sembrava proseguire tutto bene fino a quando non si scopre che è nipote di Thor, esatto il figlio di Odino, e quindi tutte le sue doti sono dei super poteri da dea norrena, ovvero lei ha il dono della preveggenza.
Distrutto l’ennesimo personaggio, che nelle prime dieci ore ci era stato presentato come effettivamente meritevole, voglio soffermarmi sulle due divinità norrene: Odino e Thor, due vecchietti che suonano Rock & Roll nella band 'Gods of Asgard', che fanno di tutto per essere 'fighi': bevono, suonano, guidano in modo spericolato, sono ROCK! Ma andrebbe ricordato che gli anni ‘80 erano quaranta anni fa e le due divinità norrene sono solo patetiche spalle comiche. Servono per rappresentare la musica come forza contro il conformismo e la mercificazione dell'arte, ma li ho trovati sinceramente fuori luogo con il loro mood comico.
In generale, i personaggi non sono persone, ma veicoli di messaggi e temi. Alice, ad esempio, sembra voler rappresentare la violenza sulle donne e la spirale di compromessi che porta alla depressione e, infine, al suicidio. Tuttavia, il suo suicidio potrebbe anche cercare di trasmettere il messaggio dell'ossessione verso la propria arte e la trasformazione da artista ad arte stessa, quando decide di fotografare il proprio atto estremo. Il personaggio sembra cercare di affrontare troppe tematiche contemporaneamente, senza riuscire a trattarle in modo soddisfacente e profondo.
L’eccesso è un problema diffuso in tutto Alan Wake 2: eccesso di media, eccesso di personaggi, eccesso di tematiche e così via. Inoltre, gli altri personaggi sono semplicemente o espedienti narrativi per far progredire la trama o macchiette con lo spessore psicologico di un foglio A4. Ma soprattutto, ribadisco, sono troppi.
Qualcuno potrebbe dirmi che Alan Wake 2 è scritto male perché stiamo vivendo la storia scritta da Alan stesso, ovvero uno scrittore mezzo fallito che scrive romanzetti horror e, quindi, che il tutto sia meta. Stiamo assistendo a una sua masturbazione costante e a quella di Sam Lake, che, secondo questa teoria, dovrebbe collimare con il personaggio fittizio di Alan Wake.
In tutta onestà, se lo scopo del gioco era mettere in scena una storia pessima, mal scritta, mal girata, mal interpretata e pessimamente conclusa per rendere l'idea del fallimento come scrittore di Alan Wake, Remedy ci è riuscita alla grande. Ma dubito sia questo il caso; gli autori del gioco stesso sono troppo impegnati ad autocompiacersi costantemente con "guizzi" di scrittura estrosi e trovate "geniali" di messa in scena per sperare che tutto sia stato fatto con quel fine. La mia conclusione pacifica è che siano degli incapaci totali.
Alan Wake 2 vuole essere troppo, vuole raccontare troppe cose e ha ragione Alexander Casey quando dice che ci sono "troppe storie che si contraddicono una con l'altra".
Ora, però, veniamo al gameplay, ovvero, quello che solitamente è centrale all’interno di un’opera videoludica, quello che banalmente lo distingue da un film, da una serie TV, da un libro o da altri media. Il gameplay è la cosa peggiore di tutto Alan Wake 2. La struttura del gioco è quella del survival horror: pochi proiettili, nemici spugne di punti vita che hanno bisogno dell’intero arsenale atomico della NATO per essere abbattuti e generalmente risorse limitate.
Io non sono proprio un fan di questa tipologia di gioco, ma Alan Wake 2 non fa nulla per rendersi amabile, introducendo anche il sistema della torcia per abbattere le armature dei nemici: quindi torcia e pile per abbattere l’armatura di oscurità (perché la luce sconfigge l’oscurità, la sentite la grande potenza narrativa degna di Nomura) più svariati caricatori di proiettili per poi abbattere i mostri rivelati alla luce.
Soluzione: abbassare la difficoltà a modalità “storia” per evitare di addormentarsi sulla tastiera. Il problema è che Remedy, conscia di non essere abbastanza odiosa con il suo sistema di shooting e che il giocatore più sveglio possa mettere a difficoltà storia per proseguire liscio onde evitare una narcolessia permanente, ha voluto rallentare il ritmo di gioco ulteriormente con il palazzo mentale di Saga: ovvero una stanza raggiungibile con un singolo tasto (TAB se giocate con mouse e tastiera) in cui la detective organizza gli indizi del caso, indizi che starà al giocatore stesso mettere in ordine manualmente, ma senza alcuna particolare sfida poiché basterà spostare le foto e gli appunti nel luogo adatto sulla lavagnetta (stile indagine poliziesca da serie TV).
Tutto ciò è reso fisicamente doloroso dal fatto che Saga non può andare avanti nelle indagini o in alcuni puzzle (da livello scuola elementare) se prima non ha messo in ordine il suo castello mentale. Sei davanti a una soluzione palese, ma non puoi raggiungerla perché Saga ci deve arrivare con il suo intuito divino (per esempio nel finale sapevo cosa fare e dove andare, ma ho dovuto perdere una decina di minuti nel castello mentale per mettere in ordine gli indizi e sentir mormorare Saga).
Quando si gioca, invece, nei panni di Alan Wake, avremo la stanza dello scrittore in cui si può modificare la storia e quindi la realtà per procedere nella trama. Anche qui il ritmo è lentissimo: si entra nella stanza dello scrittore, si cambia la trama sulla lavagna appiccicando manualmente un evento a un determinato luogo, si torna nella realtà e si aspetta la transizione che porterà nuovi cambiamenti.
Se Sam Lake intendeva omaggiare Infinite Jest di David Foster Wallace con la sua meta-narrativa, che ti obbliga a fare costantemente avanti e indietro tra note e romanzo, trasformando le stesse note nel romanzo stesso, come nel caso di Saga che deve navigare tra indizi e realtà, ha peccato per l'ennesima volta di presunzione e di egocentrismo.
Sono sinceramente scioccato dalla quantità di azioni extra che Remedy ti obbliga a fare per proseguire nel gioco. Alan Wake 2 è un costante interromperti nel flusso di gioco: accedi nella stanza mentale, sistema gli indizi, esci dalla stanza mentale, parte una cutscene o un dialogo, jumpscare, combattimento tedioso al limite della tortura, accedi nuovamente al castello mentale, fai una profilazione, sblocca le indagini, leggi le pagine del romanzo di Wake, guarda la pubblicità in TV o il film che stanno proiettando, ascolta le turbo cazzate che la moglie di Wake dice guardando fissamente in macchina, affronta una boss fight generica e probabilmente tra le peggiori nella storia dell’intero medium. Ripetere il tutto per diciotto-venti ore.
Il gioco è estremamente lento e troppo lungo per quello che vuole raccontare. Tuttavia, incredibilmente, riesce a essere frettoloso nel finale, proprio come l’altro “capolavoro” di Remedy: Control. Alan Wake 2 si accartoccia su sé stesso, mescolando miti norreni a folklore americano, creando un universo sincretista e quasi panteista à la Gaiman con Sandman, senza mai raggiungerne la grandezza nemmeno per un istante. Conclude il tutto con una scena talmente orribile da far invidia a quella di Inception con la trottola del “cade o non cade?”. Alan Wake 2 è un’opera tronfia e pretenziosa, completamente inconsapevole del suo stesso medium e di tutti gli altri che usa per vestirsi da figo. La storia non è una storia, la realtà non è la realtà, la setta non è una setta, gli umani sono divinità, le divinità sono storie ma le storie sono persone reali, gli artisti sacerdoti di una religione sincretista in cui l’arte plasma la realtà, il videogioco è cinema e il cinema è romanzo e così via. È un delirio che gira in tondo e in loop, per poi rivelarsi una spirale, esattamente come dice Wake nel finale “non è un loop, è una spirale!”, come se fosse una grande rivelazione o un qualche chiarimento del nulla cosmico a cui ho assistito per venti ore.
Sam Lake e gli altri autori di Remedy creano universi, mondi e lore in cui può trovare qualcosa di interessante solo l'utente che passa la vita su Reddit a ricostruire storie e cercare indizi, come farebbe un qualsiasi diabolico che cerca le cospirazioni dietro al 9/11 o ai Templari e al Santo Graal. L'utente che ha in casa una lavagnetta con il classico filo rosso che unisce Control a Max Payne e ad Alan Wake, esattamente come Saga fa nel suo castello mentale, è l'unico che può cavare qualcosa di interessante dalle opere di Remedy. Per gli altri, urge la realtà, in cui non può trovare spazio questo delirio metafisico in cui lo scrittore è un sacerdote che plasma il mondo grazie alla sua arte (e non vorrei che Sam Lake creda a tutto ciò sul serio).
Alan Wake 2 vuole essere troppo ed è il nulla, o puro voyeurismo da parte dei videogiocatori che vogliono vedere l’intero staff di Remedy intento in una grandiosa masturbazione di gruppo.