Ho una confessione da farvi: ho amato, amo e amerò Biomutant, per sempre. Non è un per sempre come si dice a sedici anni alla nostra fidanzatina (o fidanzatino), no! è un per sempre totalizzante, vincolante, legato alla storia del mondo e del videoludo. Nelle prossime righe proverò a spiegarvi il perché di quest’amore improbabile.
Era una sera di fine maggio, i primi caldi uniti ad una noia soporifera mi avevano portato a sfogliare il catalogo di STEAM roboticamente, e lì lo trovai: Biomutant. Il gioco più disprezzato e maltrattato del momento, come potevo resistergli? L'ho preso.
Purtroppo, o per fortuna, mi sono trovato davanti ad un videogame che non rispecchiava, ai miei occhi da babbeo, le critiche che avevo letto in quei giorni in giro sull’internet(to). Certo, era pieno di bugs. Certo, il combattimento era indecoroso risultando qualcosa di veramente osceno, talmente osceno da diventare divertente con tutti i suoi errori e orrori. Le prime ore di gioco, credo, siano state le due ore più lunghe della mia vita, probabilmente Einstein quando teorizzò la relatività del tempo si era fatto un viaggio nel maggio 2021 e aveva sperimentato sulla sua pelle l’introduzione del gioco di 1O1.
Il tempo passava e più passava, più mi rendevo conto che il gioco mi stava piacendo troppo, io stesso ero stupito dalla goduria che stavo sperimentando nell’avventurarmi nelle lande di Biomutant indossando gli abiti di un topo-procione-gatto.
Durante una sessione di gioco ho avuto un’illuminazione, forse il mio cervello si stava sciogliendo mentre respiravo le esalazioni salubri dei fumi radioattivi del mondo di Biomutant, ma il gioco mi sembrava una delle opere di Peter Molyneux. Perfetto, ero completamente andato, come potevo anche solo pensare che Biomutant potesse avvicinarsi ad opere del calibro di Black & White o Fable? Certo, all’interno del gioco esiste un sistema morale totalmente manicheo, che risulta (in)volontariamente comico e che ci spinge a prendere decisioni estreme, le quali si risolvono in situazioni o troppo seriose o estremamente grottesche. Non sono mancate, infatti, le risate durante le mie sessioni di gioco, non credo fosse quello l’intento degli autori, ma sinceramente ho apprezzato tantissimo quei momenti assurdi. Inoltre, riprendendo un poco da Balck & White, le avventure del topo-procione-gatto sono raccontate attraverso una voce narrante che trasmette all’opera un’aura da favola per bambini, risultando molto delicata nella sua narrazione e riuscendo al contempo a spiazzare per i temi adulti e seri che prova a trattare.
Purtroppo - e qui comincio a dubitare della mia sanità mentale, presto mi trasformerò in un personaggio degno della penna di Lovecraft che in cerca di un’illuminazione viene premiato con la follia - oltre ai due punti sopra riportati in cui Biomutant mi ricordava le opere di Molyneux, almeno nelle sue parti più comicamente assurde, mi ha ricordato un altro titolo, forse uno dei titoli migliori di sempre, e quindi dovrò addentrarmi in un paragone che metterà a rischio la mia reputazione. Vi svelerò il nome dopo avervi parlato del suo open world, delle sensazioni che ho (ri)provato giocando, ma prima devo partire dal racconto della mia esperienza di gioco.
Vi descrivo in un attimo la struttura del titolo: il giocatore deve sconfiggere quattro boss per liberare il mondo dal male totale, globale e universale; nel contempo ci uniremo ad una fazione (a scelta tra un paio iniziali, che poi aumentano andando avanti nel gioco) e la aiuteremo a sottomettere con la forza o meno le fazioni nemiche. Ora posso iniziare col racconto di una piccola sessione di gioco.
Dopo aver sconfitto il primo boss ed essermi perso un po' nell'esplorazione, decido che è tempo di affrontare il secondo cattivo del gioco. Sulla via verso la mia rinnovata battaglia contro uno dei quattro colos… no, bestie scacr… ehm, scusate avrei dovuto scrivere mangiamondo, incontro un avamposto nemico e decido di conquistarlo. Appena conquistato, mi rendo conto che me ne mancano solo altri due per sconfiggere quella fazione. Decido allora di lasciar perdere la mia caccia al boss e dedicarmi ai due avamposti, i quali sono situati uno a nord e uno sud. Faccio il primo con estrema facilità, ma mentre mi muovo verso il secondo mi ritrovo su un campo di battaglia, ovvero uno dei luoghi in cui i tuoi alleati si scontrano con i soldati di una delle fazioni avversarie. In questa zona in particolare i cattivoni avevano un gattone gigante e bestiale, una sorta di miniboss. A mie spese mi sono reso conto che fosse più tosto del previsto: mi uccideva con due colpi, mi bishottava - per usare il gergo dei gamers. Nonostante tutto, mi sono intestardito nel volerlo uccidere e dopo cinque tentavi sono riuscito a sconfiggerlo: cambiando strategia, potenziando armi e armature e usando molto più spesso che in precedenza i poteri psionici. Continuo quindi la mia cavalcata verso il secondo avamposto che conquisto senza troppa fatica. Subito, il capo della mia fazione mi informa che posso assediare e, quindi, catturare l'accampamento principale dell'attuale fazione rivale. Vado, vedo e vinco, come un moderno Giulio Cesare. Come sempre provo a convincere il capo dell'avamposto ad arrendersi, ho sempre fallito perché a carisma ho il punteggio base, ma questa volta riesco e quindi mi sono evitato una boss battle con la diplomazia. Decido di risparmiare il leader nemico e come premio della quest ottengo un bastone da combattimento che è diventato, a questo punto, la mia arma preferita. Riprendo, quindi, la mia caccia al mangiamondo. Mentre cammino le mie zampette da procione si accorgono che sto correndo su una ferrovia nei pressi di una stazione dei “tempi andati” e il narratore mi informa che se si seguono i binari, questi condurranno sempre da qualche parte. Per l'ennesima volta abbandono la quest principale e comincio a seguire i binari. Non arrivo in fondo perché a un certo punto del mio viaggio trovo un PNG, una faina antropomorfa, che allude a un tesoro nascosto nei paraggi, minaccio di picchiarla (purtroppo, come vi accennavo prima, ho pochissimo carisma) se non mi indica subito il luogo del bottino. Un po' offesa la povera faina mi svela l’ubicazione del tesoro senza però dimenticarsi di mandarmi a quel paese. Vado nel luogo indicatomi, sconfiggo i predoni che si trovano lì con il loro capo grande e grosso, e trovo il tesoro. Purtroppo mi sono allontanato abbastanza dai binari dismessi dell’antica ferrovia e quindi decido di andare nuovamente verso la missione principale ma verrò interrotto ben altre tre volte dalla mia curiosità che mi spingerà in deviazioni dalla main quest.
Come un moderno Odisseo in viaggio verso la mia Itaca( il secondo mangiamondo) mi sono ritrovato impantanato in avventure casuali e molto spesso assurde, la deriva verso la mia meta è diventata un’avventura totalizzante che mi ha divertito ed intrattenuto molto di più dello scontro contro il boss a cui il mio peregrinare era destinato.
Il gioco è molto più profondo di quanto si creda e si dica in giro. Molti poteri sono utili anche out-of-combat, e possono essere utilizzati non solo per spostarsi più velocemente sulla mappa, ma anche per raggiungere luoghi che credevo irraggiungibili. Questo mi ha portato ad avvertire una certa piacevolezza nel muovermi per il mondo post-apocalittico di Biomutant. Non voglio nemmeno dimenticare che la maggior parte dei PNG è unica, pronta sempre a svelarci qualche mistero della landa in cui siamo immersi e soprattutto piena di autoironia, la maggior parte di loro, infatti, sono rassegnati, sconfitti, dei senza speranza pronti a deriderci sempre per le nostre fatiche atte a impedire l’ennesima apocalisse ambientale. Tutto questo, unito alla curiosità invogliata dall’ambiente che ci circonda: una struttura fatiscente, un’abitazione dai colori sgargianti, un villaggio, una fortezza, un bar tropicale in mezzo a un lago, un PNG fuori luogo, un rifugio antiatomico, flora e fauna stranianti, una mongolfiera, una corazzata affondata nella foce di un fiume e chi più ne ha più ne metta; renderà l’esplorazione in Biomutant estremamente personale e significativa, poiché il mondo già di per sé racconta una storia. Quindi, ora, devo riallacciarmi a quanto stavo dicendo prima; non prendetemi per pazzo, la similitudine che andrò a fare è solo basata su sensazioni, sentimenti, emozioni, e ovviamente non è un paragone qualitativo, vi ho avvisato.
Reggetevi forte alle scrivanie, alle panchine, ai maniglioni antipanico, alla tavoletta del water, insomma prendete qualunque cosa abbiate a portata di mano e tenetevi saldamente. Questo gioco mi ha ricordato The Legend of Zelda: Breath of the Wild.
Come BotW, Biomutant è un open world che ha senso di esserlo (anche Sable lo è, altro gioco di cui ho parlato a questo link), c'è sempre qualcosa che cattura la tua attenzione mentre viaggi: vai, esplori e trovi segreti, chicce, oggetti, PNG, miniboss, ma anche solo un punto di osservazione unico per perdersi nella contemplazione di un tramonto spettacolare. E, cosa più importante, la mappa (impara, Ubisoft) non è piena di indicatori, ovvio c'è quello della quest che hai deciso di seguire al momento, ma ce n'è uno solo sulla mappa che, quindi, non risulta caotica e soverchiante. Il gioco vuole lasciarti libero, non imbrigliarti nella ricerca di un completismo spasmodico, a muoverti saranno la tua curiosità e la tua voglia di esplorazione. Esplorare per il piacere dell’esplorazione stessa. Sembra che chi ha sviluppato Biomutant abbia capito cosa ha reso BotW un gioco grandioso: non l'arrampicata, non il cel-shading, ma una mappa coerente, che ti invogli a visitare ogni suo angolo grazie alla sua morfologia e a elementi sapientemente posizionati. Le particolarità del mondo di gioco non faranno altro che catturare il nostro sguardo e quindi la nostra curiosità portandoci a continue deviazioni dalla nostra missione principale, trasformando il viaggio stesso nell’avventura. Una landa che in ogni suo anfratto sembra pensata per far giocare il giocatore e accendere la sua curiosità.
Nonostante i suoi problemi tecnici, Biomutant mi ha divertito molto, occupando molte delle mie serate di fine maggio e inizio giugno. Assurdo, sbagliato, (in)volontariamente comico, il videogioco di 1O1 si è dimostrato un’opera piena di amore e con un’anima propria. Impossibile per me non amare un videogioco del genere.