Nessuno spoiler.
Hogwarts Legacy sembra proprio star riscuotendo un grande successo, sopravvissuto alla tempesta di attivismo anti-Rowling che ha assunto connotati tragicomici. Molti hanno deciso di acquistare il gioco nonostante per anni abbiano dichiarato che l’autrice non avrebbe più visto un Euro dei loro ("perché non comprando il gioco danneggio solo gli sviluppatori e lei ha già ricevuto i soldi"), altri hanno preferito il boicottaggio (a volte condito da condanne morali nei confronti della prima categoria), altri ancora hanno mascherato la loro scelta di giocarselo pirata dietro una questione morale ("lo gioco ma non dò soldi alla Rowling, ahah") alla quale non hanno creduto nemmeno loro durante le più folli notti alcoliche.
A dispetto di questa caciara, il titolo sta appunto imperversando ovunque tra gli applausi dei fan.
Questo era del tutto annunciato: a buona parte di un fandom come quello di Harry Potter basta trovarsi dentro Hogwarts e avere in mano una bacchetta per essere estasiato. In questo senso, Hogwarts Legacy centra il suo target offrendo una Hogwarts ampia e davvero dettagliata. Non è affatto vero, come ho sentito dire da alcuni, che Legacy sia pensato anche per chi non ha letto i libri o visto i film "perché la storia ha dei riferimenti ma è indipendente": certo, la storia non richiede la conoscenza della saga di Harry Potter per essere compresa, ma fatico a trovare qualcosa che un non fan di Harry Potter possa cercare in questo titolo.
La scuola proposta da Legacy è davvero ben ricostruita e, complice un comparto musicale a dir poco rievocativo, si ha effettivamente l'impressione di aggirarsi nella Hogwarts di molti anni prima di Harry Potter. Quella serie di - pochissimi - componenti che al titolo serviva per accontentare i potterhead, quindi, è presente al gran completo e mostra i muscoli senza pudore donando agli appassionati momenti di vera nostalgia.
Quello che invece avrebbe reso Legacy un grande titolo open world è un po' più zoppicante: talmente zoppicante che al gioco non è proprio arrivato.
Partiamo dall'inizio: essendo uno spin-off è necessario capire come far iniziare una storia in anni diversi. Missione compiuta con rara pigrizia. Il pretesto narrativo è abbastanza puerile: siccome si sa che i fan di Harry Potter ormai sono oltre una certa fascia d'età e non vogliamo farli giocare nei panni di un bambino, ci inventiamo una scusa a caso per la quale il nostro personaggio possa iniziare la scuola dal quinto anno. "Harry Potter e la Raccomandazione del Non Frequentante". Si potrebbe anche dire che la storia del prescelto con capacità particolari poteva andare bene per il libro per bambini che Harry Potter voleva essere in principio ma che, rivolgendo il titolo a un pubblico ormai adulto, riproporre il solito piatto di pappardelle condito con "magia antica" che il nostro avatar può vedere e gli altri no significa essere consapevoli di poter vendere letteralmente ogni cosa in virtù del franchise al quale appartiene (tant'è vero che nonostante la quantità abominevole di elementi non coerenti con il canone i fan sono stati comunque felicissimi). Naturalmente appare semplice farsi belli quando in questo franchise esistono storie come La Maledizione dell’Erede, qualcosa di difficilmente superabile in incoerenza e vuotezza, ma se si spicca in qualità rispetto al peggio non abbiamo vinto granché.
Come se non bastasse, alcune scelte stilistiche negli scontri sembrano uscite da Dragon Age: togli le bacchette, vesti diversamente il personaggio e nessuno riconoscerà Harry Potter in quegli scambi di colpi. Questo è chiaramente un problema, ma altrettanto chiaramente al fan interessano le bacchette e i vestiti, quindi detto problema non è percepito.
Lo Smistamento è liquidato in un paio di domande già totalmente pilotabili ma, qualora proprio si fosse mancato il tiro, il gioco permette di scegliere la casata di appartenenza. Poteva essere interessante un test più ragionato, meno trasparente, più lungo, dettagliato, utile a definire davvero le sfumature caratteriali, invece no, una strada a due bivi e se non ti piace l'esito scegli tu. Va bene, "sono le scelte che facciamo a definire chi siamo, molto più delle nostre capacità" (cit.), quindi che dire di chi sceglie di proporre un test farlocco, pigro e onestamente - a questo punto - del tutto evitabile? “Harry Potter e lo Sforzo Non Pervenuto”.
I dialoghi sono a un passo dall'imbarazzante: una consecutio logica tra un dialogo e l'altra spesso assente, reazioni davvero poco credibili (come un perdere fiducia in sé stessi per aver perso in un ridicolo gioco di rotolamento palle), cambi di tono privi di senso nell’arco di due battute e scelte multiple che spesso portano a ben poche differenze sostanziali ci regalano un titolo che fa dire davvero troppo spesso "per quale motivo mi stai dando questa scelta se tanto non cambia niente"? Questo è aggravato dal fatto che i personaggi sono macchiette, spesso bidimensionali e, perfino quando si verificano dei cambiamenti in base alle nostre scelte, questo accade in modo repentino o artificioso. Il risultato finale è che si passa il tempo ad avere conversazioni inutili con personaggi inconsistenti, al punto che gli spiegoni sembrano quasi trama ben presentata. “Harry Potter e le Amicizie Poco Stimolanti”.
Il sistema di combattimento è uno scimmiottamento povero dei Soulslike con tanto di roll per la schivata e parry. Non vi è traccia di uno studio utile a riprodurre “veri” duelli fra maghi con un grande numero di incantesimi diversi capaci di interagire fra loro e con l'ambiente circostante. In realtà, come già visto in molti titoli mediocri, gli incantesimi non sono altro che modi diversi di svuotare i sacchetti di punti ferita che sono i nemici. Si tratta di un sistema di combattimento fluido quanto basta, ma anche terribilmente generico e davvero poco ispirato alla saga letteraria.
Gli incantesimi non sono solo pochissimi in quantità, ma non hanno neppure una libertà di utilizzo vera e propria: lo Stupeficium, incantesimo teoricamente centrale per i duelli contro i maghi oscuri, è relegato a essere un contrattacco dopo la parata. Di nuovo, qua si evidenzia come gli sviluppatori avessero ben presente i loro consumatori di riferimento: gente che se spara un raggio rosso mentre l'avatar esclama "Stupeficium!" è già sufficientemente convinto di aver usato quell'incantesimo. Quello stesso sistema di gioco, senza le bacchette e in un posto diverso da Hogwarts, sarebbe andato bene comunque e quindi non è un sistema pensato per Harry Potter ma un sistema di botte generiche con spari luminosi e opzioni di combattimento delle più trite e ritrite. Abbiamo l’incantesimo da danno standard, quello che fa aprire la guardia al nemico, quello che immobilizza, quello che fa danno progressivo nel tempo, una parata e l’attacco speciale che fa più danni. Troppa grazia. “Harry Potter e la Maledizione del Già Visto”.
Fuori dal combattimento, il gameplay è ancora più scialbo: una serie di minigiochi che mi hanno ricordato quelli di Spyro the Dragon per PSX (che per chi avesse perso il conto è uscito circa 25 anni fa) fingono di essere lezioni e addestramento (perché, di nuovo, tanto ai fan basta poggiare le chiappe su una scopa volante e sentire qualche citazione facile per commuoversi). Il completismo non ci accompagna verso pascoli più verdi, essendo limitato a uno spam di Revelio, incantesimo che potrebbe trovarsi al centro di interessanti situazioni investigative ma che invece qua è il lasciapassare per qualsiasi inezia disseminata a caso nella mappa. “Harry Potter e la Perquisizione a Tappeto”.
I dungeon sono perlopiù alquanto bruttini e gli enigmi sono a un livello di difficoltà “Giovani Marmotte sotto acidi”, il che classifica queste sezioni di gioco come puro riempitivo per dire di aver fatto un gioco grande.
Riguardo al già menzionato canone, abbiamo una Stanza delle Necessità conosciuta da praticamente chiunque (perché vuoi non farci entrare i fan di Harry Potter?) e ridotta al luogo in cui fare i giochini o allevare animali, abbiamo le Acromantula nella Foresta Proibita prima che effettivamente ci siano arrivate nella storia originale, guardiani di Pensatoi che mai hanno richiesto guardiani e, al centro della trama, abbiamo una "magia antica" che è il trionfo del "non sappiamo ingegnarci per scrivere una storia con quello che già esiste quindi inventiamo un'altra forma di magia e costruiamo tutto su quella", alla faccia dei principi di Sanderson sulla buona scrittura dei sistemi magici. “Harry Potter e la Scusa Qualsiasi”.
Nonostante le poche occasioni nelle quali si intravedono guizzi di scrittura e buone idee (alcune anche ottime, ma mi permetto di osservare che su quella quantità di ore qualche buona idea viene fuori anche solo per statistica), complessivamente Legacy è sintetizzabile in: un grosso scatolone dove fare cose che non sono Harry Potter ma sono ben vestite da Harry Potter, abbastanza bene da dire "bravo, stai usando una bacchetta che spara cose". Se questo è il livello di game design richiesto al Mondo Magico per vendere, J.K.Rowling può continuare a discriminare minoranze in tutta tranquillità: morirà per cause naturali molto prima che a qualcuno balzi in mente l'idea di essere oggetto della più classica e markettara presa per i fondelli.
Nel frattempo appare evidente che, dove un tempo le software house un po’ si vergognavano di produrre titoli su licenza sfruttando la sola fama del brand di ispirazione e li proponevano per motivi di fatturato dei quali noi consumatori eravamo generalmente consapevoli, oggi quei diritti acquistati sono più che sufficienti a sentire gli applausi. Per essere l’epoca della maturità del medium videoludico, si intravede già un certo marcio.
“Harry Potter e la Vacca da Mungere”.