Quando quel tale volteggiava sulle acque, le separò in mare e cielo. Molte storie di creazione iniziano con un atto separativo, espressione della diffusa idea che ogni cosa si conosca attraverso il suo opposto, e che l’opposizione sia la legge fondamentale del mondo: questa visione attraversa da Eraclito a Hegel, dal Taoismo alla Qabbalah, è cruciale nelle strategie politiche e di marketing, ben conosciuta in psicologia. Come vivere in questo conflitto, prosperare nella divisione, è domanda centrale in molte scuole di pensiero. Ma ci si potrebbe anche chiedere: cosa abbiamo fatto per meritarci questo mondo e imprescindibilmente conflittuale e dunque tragico? Lo gnosticismo rispondeva mutuando dallo zoroastrismo l’idea che quest’esistenza terrena fosse in sè una colpa, il peccato del dio-demiurgo che l’ha creata.
Il mondo di Elden Ring inizia con una cometa dorata. Uno dei molti simbolismi alchemici: l’oro (gerarchia, certezza, stabilità, sole, calore) porta ordine e forma nelle stelle (indefinitezza, incertezza, mutamento, luna, freddo) o anche nel mare, poiché nella poetica di Miyazaki spesso il mare è il cosmo, è il brodo primordiale, è l’aldilà: una grande massa di ignoto. Non è un’opera di creazione, ma demiurgica: tutto era un insieme unico, e tutto viene diviso creando le identità, le differenze, le nascite, le morti, le contrapposizioni. Tutto in Elden Ring è duale, compresa la figura centrale, Radagon/Marika, una delle (molte) doppie identità nel gioco. E tutto nasce dalla prima divisione, da quella cometa. A dircelo è Hyetta che si presenta come ragazza innocente e smemorata ma è probabilmente un demone (come Shabriri), che indossa letteralmente il cadavere di Irina, un’altra fanciulla morta poco prima. Eppure, in questo, di Hyetta possiamo fidarci: perché se nessuno più di lei glorifica il ruolo della Volontà Superiore come dio demiurgo, è anche vero che nessuno più di lei si oppone ad essa. La verità che Hyetta riceve dalle Tre Dita, messaggere della Fiamma Frenetica, è questa: che questa divisione sia stata un errore. Condursi in un mondo in conflitto significa accettarne l’ingiustizia, legittimarne la tragicità, vivere nell’aspettativa frustrata di riformare un mondo irriformabile. Meglio “Niente più nascite, niente più colpe”. E’ il conflitto il problema, e se il conflitto è la vita, allora la vita è il problema. La Fiamma Frenetica è probabilmente la prima cosa che è stata separata dal mondo: una volontà di distruzione ma anche di riposo, come la Destrudo di Freud, una sottrazione al conflitto dell’esistenza. “Brucia tutto ciò che divide e distingue, scioglilo via con la fiamma gialla”. Sciogliere e mischiare: se il mondo di Elden Ring va avanti in una sorta di raffinazione e definizione alchemica, il finale della Fiamma Frenetica innesca il processo opposto, il mondo va verso la commistione, che tutto torni ad essere un insieme unico (e non un Dio specifico di nome Grande Uno, come inizialmente si era creduto).
Hyetta ci chiede di redimere il mondo. E’ la redenzione come vista da Philippe Mainlander, o Thomas Ligotti: l’accettazione che la vita è un complotto contro i vivi e che la coscienza di sé è la più crudele delle torture con cui “la natura ha creato un aspetto di sé che è esterno a sé” come dice Rust Cohle in True Detective, lavoro ispirato a Ligotti e al Re in Giallo (coincidenze?); che accettare di non-essere è il vero e definitivo atto di empatia verso il nostro prossimo, un diventare consapevoli: “la cosa onorevole da fare è rifiutare la programmazione, rifiutare di riprodurci, camminare mano nella mano verso l’estinzione in una ultima mezzanotte, fratelli e sorelle” (sempre Cohle). Simbolicamente la ragazza nota che gli altri che le consegnano gli occhi (che loro stessi si strappano) lo fanno con “mani tremanti”, ma noi mostriamo fermezza: noi potremmo essere i veri Signori della Fiamma, coloro che lasciano andare l’attaccamento alla vita e al dolore per redimere noi stessi e tutti. Noi avremo il coraggio in nome di tutti gli altri. Vyke, il cavaliere che ci era quasi riuscito, agiva per amore della sua fanciulla – il rito necessario per arrivare al trono prevedeva che lei si ardesse viva, e Vyke abbandona la sua via per abbracciare la Fiamma; ma non può che fallire, perché anche lui è aggrappato a qualcosa, agisce per amore, e l’attaccamento è ostacolo al raggiungimento della verità. Come Mainlander, che si sottrarrà alla critica a Schopenhauer (a cui Kierkegaard diceva: sospetto di chi predica l’ascetismo e non è un asceta) e appena pubblicata la sua “Filosofia della Redenzione” si impiccherà prontamente, mettendola in pratica. Tra i molti adoratori della Fiamma, noi saremo in grado – Hyetta ci conta – di essere coloro che vanno fino in fondo.
Hyetta ci propone la redenzione nichilista in un luogo, la Proscrizione della Fiamma, scenario di una ottima dimostrazione via esempio: un intero popolo è stato murato vivo a farsi consumare dalla pazzia e dalla fame, il popolo dei Nomadi. Il mercante Nomade Kalè, ritrovato il suo popolo intombato, in uno struggente doppiaggio (ma non disturbatevi a cercarlo: From Software ha pensato bene di tagliare l’intera quest già completa) rivelerà che l’accusa di venerare la Fiamma ha avverato sé stessa: per la disperazione di essere perseguitati, i Nomadi la invocarono. E urla disperato: “Se questo si aspettano da noi, allora questo avranno!” prima di costringerci a ucciderlo. Nel presente di Elden Ring tutti i mercanti sono marchiati dalla Frenesia difatti, e vivono da fuggitivi sempre terrorizzati e affamati. Una spirale di tragedie, persecuzioni, genocidi.
Ma Miyazaki non è mai così monodimensionale. L’altro manipolatore al servizio delle Tre Dita è Shabriri, “l’uomo più odiato dell’Interregno”. Uno strano soggetto, sia sadico che empatico, calcolatore ed emotivo, manipolatore e sincero. E’ lui, si scoprirà, che da membro della Grande Carovana dei Nomadi li ha denunciati come eretici, causandone lo sterminio che farà poi proprio sorgere l’eresia di cui li aveva calunniati. Shabriri sorrise, ci dicono, mentre i pochi sopravvissuti gli cavavano gli occhi e lo facevano a pezzi, Shabriri gongola nell’odio che riceve. Alcuni dei personaggi più sofferenti di Elden Ring (Edgar, Yura, Vyke, Kale) hanno il morbo della Fiamma Frenetica che grava su di loro, che gli alberga negli occhi, e il nome Shabriri è ispirato a un demone biblico che, secondo alcuni, era a sua volta ispirato da una malattia oculare che impazzava nell’antichità; la Fiamma cita con il simbolo spiraliforme e la sua strana resa linguistica (Yelough) il Re in Giallo del mythos lovecraftiano, nato da Bierce e Chambers. Si insinua il sospetto che la fiamma non sia che la follia decadente e rassegnata, il nichilismo sottilmente contagioso del libro di Chambers, dove la promessa di salvezza è la perduta Carcosa, la città dove tutto si rivela vacuo e vano come è sempre stato. Oltre alle citazioni, è vero che Shabriri nel gioco si fa strada con sabotaggi, insinuazioni e omissioni, – tanto da chiedersi se anche l’omicidio di Irina, che conduce il padre Edgar alla follia, non sia un altro suo intervento, o l’ossessione di Yura per la ragazza che lo ucciderà non sia effetto della sua malattia. D’altra parte però Shabriri non ci mente quando dice che, abbandonando la via del trono, salveremmo la nostra compagna: non è bugiardo, ma è interessato. Si delinea l’idea che Shabriri sia una specie di untore, che compiaciuto sparge quello che tutto sommato è un morbo, o una psicosi, per puro diletto. Se non conoscessimo anche Hyetta, anzi, sembrerebbe proprio così.
E’ tutta una menzogna? La discussione nella community internazionale su quest’argomento è infuocata. Tecnicamente sì: Shabriri ha calunniato un intero popolo causandone lo sterminio. Ma dopotutto, non è anche questa una dimostrazione via esempio? In questo mondo bastano quattro paroline per motivare un massacro, si scivola facilmente verso l’ingiustizia e la tragedia. Interessante che l’abbigliamento dei Nomadi ricordi delle popolazioni est-europee che erano considerate quasi-eretiche dal mondo cristiano e protagoniste di uno dei primi scismi, perché nel segno della croce “credevano nelle tre dita, non nelle due dita”: è plausibile che Shabriri non abbia inventato la discriminazione dei Nomadi, la abbia solo sfruttata per innescare gli eventi. “Possa il caos prendersi il mondo!” sbraita entusiasta senza nemmeno provare a dissimulare, e “possa il caos prendersi il mondo” mormora (mormorerebbe) Kalè quando lo abbattiamo. Tecnicamente è un bugiardo, sì, ma ha anche dimostrato di avere ragione. La provocazione finale degli autori è tutta nella storia di Shabriri. Sì, il mondo è ingiustizia e dolore, più che altro. Ma rassegnarsi che sia solo questo non significa battersi già dalla parte dell’ingiustizia? Personalmente, dal punto di vista strettamente logico, resto dell’idea che la logica di Shabriri è incontrovertibile: le sue menzogne non ne svelano la falsità, anzi inverano il suo credo. Ho trovato tutte le argomentazioni contrarie a Shabriri e alle Tre Dita alquanto fragili e infondate. Forse suonano vuote le parole di Melina: “C’è comunque bellezza, in questo mondo. Non lo credi?”. Per Shabriri il mondo non merita pietà, ma merita salvezza.
Nel finale di True Detective, le ultime parole del disilluso e pessimista – ma anche eroico – Rust Cohle sono molto più semplici e ingenue di tanti suoi memorabili monologhi filosofici. “Ora la luce sta vincendo”. Sa che non è vero, naturalmente. Ma lottando si è guadagnato quell’attimo di purezza, di pietà. Ne vale la pena? Nessuna scelta è più personale e intima di questa. Qualcuno ha detto: “Esiste una sola questione filosofica davvero seria, ed è la questione del suicidio”.
Fonti:
Elden Ring: Rivelazioni, di Michele Poggi “Sabaku No Maiku” e Mirko LaMarca
The Flame of Frenzy, video di Tarnished Archaeologist
True Detective, serie di Nic Pizzolato
Complotto Contro L’Umanità, di Thomas Ligotti
Filosofia della Redenzione, di Philippe Mainlander
The King in Yellow, di Robert Chambers
L’Io e l’Es, Sigmund Freud
Il Mito di Sisifo in Albert Camus