Spesso si dice che sul web si trova di tutto. C’è almeno un caso in cui questo è falso: vi sfido a trovare un parere su Elden Ring, non dico negativo, ma anche solo criticamente tiepido che non sia riguardo a oggettivi dati tecnici come il frame-rate o l’ottimizzazione su PC. Indubbiamente il gioco è ben fatto, ma altrettanto indubbiamente è del tutto irrilevante per le innovazioni che apporta alla storia del medium o alla storia della cultura. Elden Ring è un enorme “già visto” della durata di 100 ore ma a nessuno sembra il caso di farlo notare. L’unico compito che Elden Ring compie così bene da meritarsi un 10/10 è farti perdere tempo.
OPEN WORLD
Sarò sintetico. Questo è quello che penso di Elden Ring: non c’è nulla di sensazionale nel gioco. Quello che c’è di bello c’era anche nei titoli precedenti, ma ora è un po’ peggio. Quello che c’è di nuovo è inutile e serve solo ad allungare il brodo e nel peggiore dei casi è l’antitesi di ciò che aveva reso Dark Souls un capolavoro e assomiglia a una sua parodistica fanfiction.
E non ci sarebbe nemmeno bisogno di essere così duri e assertivi se la stampa specializzata non avesse compiuto una enorme operazione di elogio del nuovo gioco di Miyazaki. Giocando Elden Ring nella mia mente risuonavano le parole di Videogamedunkey, nel suo video su Horizon Forbidden West, altro gioco esaltato dalla critica:
Horizon zero new ideas. Horizon Fobidden West is a game that I forbid you to buy. Not because it’s a horrible game but because this type of game need to die off. It’s time to game developer to do a new videogame.
Elden Ring è meglio di Horizon sotto praticamente ogni punto di vista, ma la sostanza rimane la stessa. Un gioco già giocato.
Perdersi nell’esplorazione di un mondo vasto e ostile era il principio di design che animava Dark Souls, che di fatto funzionava come un open world, perché incentivava l’esplorazione senza ostacoli di linearità imposti al giocatore, ma con una serie di meccaniche semplici per quanto efficaci, come la difficoltà di certe aree pur accessibili fin dall’inizio del gioco. In questo la libertà di approccio esisteva già allora. Quello che è cambiato in Elden Ring è la vastità del mondo, ma questo lungi dall’essere un pregio ne rappresenta il peggior difetto, perché costringe a dei compromessi di design che snaturano l’eccezionalità della mappa dei souls piena di shotcut e interconnessioni.
Nell’open world non ci si sente oppressi in una situazione claustrofobica grazie alla cavalcatura Torrent con cui possiamo scappare anche dai boss disseminati per il mondo aperto. Questa possibilità fa perdere qualsiasi tensione mentre si esplora l’open world: credo che nella mia run, durata circa 70 ore abbia ucciso nemici dell’open world solo nelle prime 5, a inizio gioco. Da allora in poi ho sempre usato il cavallo per raccogliere oggetti mentre sfrecciavo accanto ai nemici tra le rovine di chiese e cimiteri, le principali opere pubbliche costruite nell’Interregno. La varietà delle ambientazioni è ben fatta, con i colori che caratterizzano le varie aree, una scelta che mi ha ricordato la mappa di Hollow Knight, tuttavia il tempo passato in ogni area presa singolarmente è talmente tanto e la mappa talmente vasta che un certo bioma tende a diventare piuttosto monotono e ripetitivo a causa del tempo che ci passiamo dentro per esplorarlo in lungo e in largo. Il fast travel accessibile in ogni momento tuttavia è il colpo di grazia al mio giudizio sull’open world di Elden Ring, perché fa sembrare le quest e le avventure secondarie più come la compilazione di un fascicolo che come una vera avventura. Teletrasporto nel punto A, fai la cosa A, vai al punto B, fai la cosa B, trova l’oggetto da riportare al punto A per sbloccare l’altro oggetto che te ne farà prendere un altro che sbloccherà la sotto-quest a cui si ricollega la quest terziaria… e così via. Ovviamente la necessità del fast travel dipende dalla vastità soverchiante dell’open world di Elden Ring, quindi il problema non è il teletrasporto in sé, quanto la vastità inutile del mondo. Una mappa più piccola ma interconnessa in modo sapiente avrebbe evitato il fast travel e reso l’esperienza più appagante e sfidante. Ma dopotutto, una mappa del genere esiste già e si chiama Dark Souls.
Per concludere il discorso sull’open world dobbiamo parlare di tre posti ricorrenti: catacombe, miniere e caverne. Dopo un po’ (questo “po’” è variabile a seconda del valore che assegniamo al nostro tempo) capisci che devi entrarci solo per raccogliere gli oggetti di potenziamento e scappare. La ripetitività del level design e dei nemici, perfino dei boss, rende del tutto ingiustificata la scelta di inserire questi mini dungeon, che finiscono ben presto per risultare un compito da eseguire mal volentieri piuttosto che tradursi nell’esplorazione di posti che hanno una importanza nell’economia del gioco, un po’ come i chalice dungeon di Bloodborne, che ogni persona con un minimo di autocoscienza ha saltato a piè pari. In definitiva ciò che mi è piaciuto dell’open world di Elden Ring è il colpo d’occhio, l’apertura di certi scorci e il senso di vastità. Ma non credo che sia una ragione sufficiente a giustificarne la presenza, visto che le cose importanti nel gioco avvengono tutte nei Legacy Dungeon, che sono come delle mappe di Dark Souls 3 all’interno dell’Open World e che il prezzo per poter scorrazzare in groppa a uno pseudocavallo è l’assenza di interconnessione e raffinatezza di level design. [Edit]: Il mondo aperto è così pieno di segreti, che presto essi non sono più tali, e il bilanciamento tra densità e rarefazione tipico dei souls svanisce presto sostituito da una costante sensazione di affollamento e confusione. Soverchiati dagli input, gli eventi importanti perdono il loro valore unico e annegano in una marea di contenuto la cui densità si traduce in indifferenza percepita dal player.
PERSONAGGI
Il silenzio parlava nei giochi di Miyazaki. Ma in Elden Ring non c’è spazio per il silenzio. A partire dai verbosi dialoghi che abbiamo con gli NPC, spasmodicamente attenti ad assicurarsi che tutti, ma proprio tutti tutti capiscano cosa debbano fare, fino ad arrivare alla musica che accompagna ogni singola fase di gameplay, Elden Ring è un’esperienza rumorosa. Un tempo nemmeno il menù di Dark Souls aveva una base musicale. Dal punto di vista narrativo e retorico, Elden Ring ha poco in comune con Dark Souls o Bloodborne. La reticenza degli NPC a rivelare chiaramente le proprie intenzioni, la trama velata, il senso di smarrimento difronte un mondo che trae la sua concretezza dall’indifferenza che rivolge al player, sono svaniti in Elden Ring o ampiamente ridimensionati, fino a diventare una imitazione dell’asciuttezza narrativa dei titoli precedenti.
Il punto è che il mondo di Dark Souls e Bloodborne era percepito come autenticamente vivo, ostile e realistico (nonostante fosse popolato di mostri e magia) proprio perché non aveva interesse a rivelarsi, lasciando al giocatore il compito di orientarsi e di capire cosa stesse succedendo intorno a lui. In questa resistenza a rivelarsi, nell’attrito che il mondo esercitava sul player, si realizzava la credibilità di un mondo del tutto inventato e mai supportato da una grafica all’altezza. Pensate a Bloodborne, in cui quella che sembra semplicemente una notte di caccia di bestie cela invece segreti cosmici e divinità di altri piani di esistenza. O Dark Souls, in cui un comune Action RPG ambientato in un mondo fantasy medievale decadente, assume una portata cosmologica, fondativa, che ci parla dell’ordine stesso del mondo e del conflitto che ad esso è sotteso e di cui quello che vediamo è solo una lontana conseguenza, un effetto di superficie. Tutto ci mente nei souls, non possiamo fidarci di quello che vediamo o di quello che ci dicono, ogni comprensione ne nasconde un’altra più nascosta. In Elden Ring invece tutto è solo un effetto di superficie, con poca stratificazione tematica e narrativa. Tutto ci viene detto più o meno così com’è. Un altro punto importante da far notare è che l’uscita del gioco è stata preceduta da una quantità di materiale sulla lore e la mitologia che non ha precedenti nella storia di From Software, un fattore a cui nessuno ha dato peso. Il sito web del gioco è pieno di testi riguardo alla lore e alla trama; esistono addirittura trailer ufficiali che spiegano l’antefatto e gli sviluppi della lore (e a questo punto potevano usare quei trailer in CGI come opening del gioco, invece di montare delle concept art con transizioni che so implementare anche io con il plug-in su Premiere). Tutto questo fa perdere totalmente il senso di immersione e di mistero che si respirava in passato.
La poetica della decadenza e del fallimento, il finale anticlimatico e beffardo che caratterizzava i soulsborne e che esprimeva tutta la tragicità senza redenzione della condizione umana, sono spariti per lasciare spazio a un senso di trionfalismo che coincide perfettamente con il marketing che è stato fatto del gioco. Queste sono parole tratte dal sito di Elden Ring:
E sì, potresti morire.
Ma tornerai per combattere ancora.
Perché è così che nascono i campioni... o i lord.
Non riesco a immaginare niente di più distante dalla poetica decadente di Dark Souls, in cui il Chosen Undead è palesemente una presa in giro del player e delle sue aspettative di fare un viaggio verso la grandezza. Consiglio la lettura di questo articolo di Daniele D’Orefice su questo tema.
Abbiamo un compito da portare a termine e la sua legittimità non viene messa in discussione da nessuno. O almeno non con la forza con cui veniva messo in discussione in Bloodborne o in Dark Souls. Il motivo della differenza rispetto al passato è semplice: mentre Dark Souls non aveva interesse ad essere compreso da tutti, perché selezionava e creava il suo interprete migliore, quello sedotto dalla sua raffinata narrativa, Elden Ring si preoccupa di far salire tutti a bordo. Il risultato è un prodotto mediocre dal punto di vista retorico e narrativo, che ricicla la maggior parte delle idee di Dark Souls (un ordine rotto che deve essere ricomposto) e un po’ dell’iconografia di Bloodborne (la luna e il cosmo) per fare un collage citazionistico e fan service che lascia francamente imbarazzati le persone che non idolatrano i giochi From e che volevano vedere qualcosa di nuovo. Più volte durante l’avventura si ha la sensazione di star giocando un sequel o un prequel di Dark Souls, ambientato nello stesso universo narrativo, ma la verità è che il gioco è semplicemente pieno di strizzatine d’occhio ai fan, che irritano continuamente e respingono il giocatore critico.
Gli NPC non ridono più in Elden Ring. Non si fanno più beffe del player con le loro criptiche affermazioni, omettendo o mentendo. La risata inquietante e beffarda alla fine di ogni dialogo può sembrare una inezia, irrilevante ai fini della trama e della lore, ma è una buona cartina da tornasole. La sua assenza in Elden Ring tradisce il cambio di rotta, celato dietro lo spam dello stesso tasto di sempre per uccidere un nemico. Il mondo in cui ci troviamo non vede l’ora di dirci cosa fare per procedere nell’avventura, per farsi capire, non lasciando nulla al caso. Avventura è un buon termine, infatti: nei Soulsborne, faccio fatica a usare la parola avventura per il viaggio del Chosen Undead, o del Cacciatore o dell’Unkindled. Quel viaggio era vissuto più come una penitenza di cui si era vittime passive, giocate dal caso e da trame all’interno delle quali non eravamo che marionette. Il senso di vittoria non era dato soltanto dal superamento di una boss fight, ma anche dalla risoluzione dell’enigma. Con la comprensione e l’interpretazione della lore e la decodificazione del mondo criptico e ostile, noi player potevamo davvero emanciparci dalla menzogna, mettere a tacere quella risata beffarda e, con la consapevolezza che ci stavano ingannando, poter decidere per noi stessi.1
Ma in Elden Ring non c’è più nessuna risata da cui emanciparsi.
RICICLO E FAN SERVICE
Bloodborne aveva la sua identità visiva e tematica rispetto a Dark Souls. Anche Sekiro, ovviamente. Elden Ring è una vasta operazione di riciclo, non solo di asset, ma proprio di idee, immagini e tematiche: perfino nelle cutscene ci sono le stesse e identiche scelte registiche di Dark Souls. Farò qualche esempio.
[Seguono spoiler]
C’è un castello nell’ultima area di gioco che si chiama Castel Sol, il suo stemma è letteralmente il marchio oscuro di Dark Souls, quello che vediamo nel cielo di Dark Souls 3 alla fine del gioco.
Le boss fight affrontate in ER sono la copia di quelle degli altri giochi. Alcuni esempi:
Il discendente leonino ha il moveset della prima fase di Gael
Il cane di Radagan è Sif
La seconda fase di Godfrey è la seconda fase di Gascoigne
Non solo i boss sono riciclati, ma anche le aree: Raya Lucaria è praticamente uguale dal punto di vista visivo a Irithyll, la Biblioteca di Caria è l’Archivio Centrale di DS1 e DS3, il castello di Stormveil è uguale a ogni altro castello dei souls, le fogne di Leyndell sono le fogne di Dark Souls, Leyndell dopo aver dato fuoco all’albero madre è la fine del DLC di Dark Souls 3, con la cenere che sommerge l’intera capitale; Farum Azula è il Cumulo di Rifiuti di Dark Souls 3.
Addirittura Miyazaki ha riciclato i nomi: Irina, Morne, Gael, sono nomi che ritornano anche in Elden Ring. Certi nemici sono esattamente uguali a quelli di Dark Souls, come le rane che infliggono il morbo mortale o i topi, che come in Dark Souls droppavano umanità, qui droppano saette runiche, l’analogo di umanità di DS e braci di DS3. Sembra che Elden Ring sia stato fatto esplicitamente per chi non aveva mai giocato ai souls precedenti, come se fosse un reboot, un modo per avvicinare persone nuove a idee e tematiche vecchie di 10 anni. L’unica cosa che si percepisce in Elden Ring è il fatto di trovarsi difronte a una operazione commerciale enorme, dal grande e ammirevole valore produttivo, ma senza nessun valore culturale, perché quello che dice era già stato detto e meglio, che si garantirà sia l’acquisto dei fan dei souls, sia di chi non ha mai giocato ai precedenti, contando sul fatto che i primi, troppo occupati a intense pratiche onanistiche e fellatio reciproche, non si accorgeranno che quello che stanno giocando è una fanfiction di Dark Souls con più soldi investiti sopra, e che i secondi, se non erano stati inglobati prima dalla raffinatezza narrativa dei soulsborne, non si sentiranno certamente presi in giro dalla narrativa spiegosa di Elden Ring.
Altri esempi di riciclo per gradire: nella città eterna, sottoterra, ci sono statue dei piccoli consiglieri del sogno di Bloodborne; le cutscene in cui le persone prendono fuoco a seguito di certi eventi nella trama sono uguali a quelle del finale di Dark Souls; la cutscene di presentazione di Radhan in cui è piegato e divora un cadavere è analoga a quella di Gael che a sua volta era analoga a quella di Artorias; le creature cosmiche o celestiali hanno le stesse concept art di certi oggetti di Bloodborne come l’oggetto A call beyond o tutta la lore del Coro e del Cosmo, con il corpo che riproduce il cielo stellato e una linea di colore che lo delimita.
Ci sarebbero tantissimi altri esempi da fare, ma il mio scopo era dare un’idea, non essere esauriente. Sembra quasi che Miyazaki abbia avuto tre idee nella sua carriera di Director e che abbia creato Elden Ring per mostrarle a più persone possibile. Solo che le aveva già espresse nei 10 anni precedenti.
CONCLUSIONE CON QUALCHE ELOGIO
La maggior parte della “critica” su Elden Ring ne ha elogiato la vastità, la libertà di approccio e le variazioni innovative rispetto alla formula soulslike, ma in questo gioco non c’è niente di innovativo. Il combat system non ha avuto il coraggio di rinnovarsi o di variare davvero come invece era stato per Bloodborne e Sekiro; le tematiche e la lore sono le stesse di Dark Souls, banalizzate e semplificate perché tutti capiscano più o meno cosa stia succedendo. La banalizzazione è dovuta al fatto che gli NPC non sono più mendaci, ma ci dicono sempre la verità. Dark Souls era riuscito a far percepire un anti antropocentrismo al player, che era continuamente decentrato dal potere effettivo e manipolato da esso, sovvertendo le dinamiche classiche del viaggio dell’eroe.2
Elden Ring invece è un classico viaggio dell’eroe, verso la conquista del trono, con tanti nomi e intrecci familiari e alberi genealogici, fondamentale e utilissimo apporto narrativo di Martin. Una storia un po’ banale, dopo quello a cui Miyazaki ci aveva abituati.
Anche il modo di trattare la religione è cambiato in Elden Ring. Mentre in passato l’assenza di divinità creatrici era stato il motore della critica alla religione nei soulsborne, Elden Ring rinuncia a questo, introducendo una divinità regolatrice, il Greater Will, una scelta che va di nuovo nella direzione di una semplificazione e linearità narrative non all’altezza dei precedenti giochi di Miyazaki.3
Tutto ciò non significa che Elden Ring sia un brutto gioco, o che non abbia i suoi momenti memorabili. La discesa nel sottosuolo dell’Interregno è probabilmente la sezione migliore del gioco, quello in cui si respira l’aria di mistero e silenzio che aveva reso Dark Souls un capolavoro. Le boss-fight sono tutte scenicamente meravigliose, un po’ meno meravigliose sono da giocare, anche per la facilità con cui possono essere “rotte” con le evocazioni o a causa del bilanciamento difficile da gestire in un mondo così grande senza progressione lineare, con la possibilità di affrontare un boss come Radhan al livello 100 come a livello 30. La sequenza delle tre boss fight finali è incredibile. A parte la Elden Beast, che è forse la peggiore boss fight del gioco, la boss fight con Godfrey è meravigliosa e quella finale contro Radagon è la vetta raggiunta dal titolo.
Tirando le somme, ecco il mio giudizio in sintesi: Elden Ring si presenta come un Dark Souls banalizzato sotto ogni punto di vista. Però c’è un sacco di roba da fare per spendere tante ore davanti al PC. Divertitevi.
Ma dopo chiedetevi anche quante volte avete già giocato questo gioco.
Consiglio questo video a proposito:
Per approfondire la critica alla religione nei souls consiglio la lettura di questo mio articolo: