Everhood e l’inganno dell’immortalità
“An Ineffable Tale of the Inexpressible Divine Moments of Truth”
Cosa daremmo per avere più tempo a disposizione? E cosa faremmo, se di tempo infinito potessimo beneficiare? Potremmo riprendere quello che abbiamo lasciato in sospeso, che sognavamo di realizzare, ma che per mancanza di tempo, appunto, non siamo mai riusciti a iniziare; potremmo fare, semplicemente, tutto. Una prospettiva allettante ma viziata, poiché dal tempo, per noi inesorabilmente finito e non senza limiti, non può prescindere. Nessuno può sfuggire a questo dato di realtà, e se facciamo qualcosa, qualsiasi cosa nella nostra vita, è sempre in funzione del poco tempo che abbiamo.
Nei videogiochi si è trattato spesso l'argomento della morte come inizio di una nuova vita, o della (non) morte intesa come condanna eterna in un limbo di esistenza senza scopo, che porta per sfinimento alla vacuità. Basti pensare alla saga dei Souls, che fa della ciclicità di morte e rinascita perno centrale di lore e gameplay. Altri giochi, come il recente Death's Door, ci mettono nei panni di chi la morte la vive come mestiere, per esempio un corvo mietitore di anime. Insomma, il medium è ricco di opere che si interrogano su questo argomento.
Ma c'è un videogioco che come i migliori racconti di Borges, sviscera la questione dell'immortalità e del nostro agire se del tempo non dovessimo più preoccuparci. Mi riferisco a “Everhood”, piccola produzione indipendente figlia di Foreign Gnomes, al secolo Chris Nordigren e Jordi Roca.
A un primo sguardo sfuggente sembrerebbe l'ennesimo clone del cult di Toby Fox, “Undertale”, ma a differenza di quest'ultimo, Everhood abbandona completamente le meccaniche RPG per proporre uno stravagante mix di rhythm game, acido lisergico ed estetica 8-bit. Ma è appunto la tematica della morte e dell'immortalità a essere l’assoluta protagonista, lasciando al gameplay e all'esplorazione una parte a margine dell'esperienza complessiva dell'opera, seppur con un combat system unico, da padroneggiare a tempo di musica techno e spiazzanti sconvolgimenti cromatici.
Il mondo onirico di questo titolo è costellato da divertimenti sfrenati come discoteche, parchi giochi, cinema, corse in go-kart, campagne di D&D e ogni tipo di svago perpetrabile all'infinito, ma abitato da fantasmi ormai senza volto e senza scopo, imploranti che la condanna inconsapevolmente autoinflitta - cioè l'aver cercato, trovato ed esperito l'immortalità – venga spezzata.
Ciò che siamo chiamati a fare nel gioco è anche prendere delle decisioni riguardo il destino degli sventurati abitanti di Everhood, incarnando la mano di una divinità che agisce con benevolenza o ira, nei confronti di coloro che hanno valicato e trasceso i confini della vita terrena.
Ma non diventiamo anche noi vittime di questa superbia?
Il dilemma di Red, la silenziosa bambola di legno protagonista del gioco diventa il nostro, costringendoci a domandarci se stiamo davvero liberando i fantasmi immortali dal loro eterno errare o se siamo solo burattini comandati dal volere altrui. Ci ritroveremo spesso ad alternare fasi più concrete, dove l'interazione con i personaggi, i loro legami e le microstorie che compongono la loro realtà scandiscono l'incedere degli eventi ad altre più trascendentali, dove la risposta non è subito chiara e forse non vuole neanche esserlo, perchè Everhood basa buona parte della sua ragion d'essere nel “qui e ora”, nel farsi trascinare dall'esperienza, spesso accostabile a un bad trip di LSD, dove il ritmo sincopato della musica si lega a quello della nostra danza, spesso (ma non solo) mezzo per aver la meglio durante i combattimenti.
Una trance sensoriale volta a svelarci l'assoluta verità.
Cosa potrebbe mai animare ancora questi esseri, se non il desiderio di un'ulteriore morte, definitiva ed eterna, per liberarsi finalmente dalle catene del tempo sconfinato? Se dato un tempo infinito, a ogni uomo succedono tutte le cose, che fare quando nulla di nuovo può più accadere? Sono domande le cui risposte sono e saranno sempre parziali; il paradiso dell'immortalità promesso è a lungo termine una specchio infernale di insoddisfazione e perdita di sé.
Una volta terminato il viaggio in Everhood e spento il pc, torneremo alle nostre vite con una ritrovata consapevolezza: continueremo a pagare ogni istante con l'unica moneta di cui non potremmo né vorremmo aver credito ma solo pegno, il tempo.