RIZOMA
Kentucky Route Zero rappresenta una delle opere più ambiziose di tutta la storia del videogioco, poiché è il tentativo non solo di mischiare i generi o le citazioni (fatto che conferisce all’opera una “sgangherabilità” interpretativa indefinita), ma di mischiare tutti i medium creati dall’essere umano. Troverete, in KRZ, letteratura, gameplay, teatro, fotografia, cinema, scultura, architettura, musica, pittura e televisione. Ma tutto compresso e adattato ai limiti del mezzo attraverso cui KRZ ha deciso di esprimersi: il videogame, che diventa matrice di generi e di stili.
Kentucky Route Zero rende il concetto di ipertesto qualcosa di obsoleto, una reliquia del passato, perché fa esplodere non i collegamenti tra i testi, ma i collegamenti tra i medium e gli stili comunicativi, gioca con le strutture delle forme di comunicazione artistica. Eppure rimane un videogioco, e tutte le sue acrobazie espressive vengono comunque riassorbite nel videogame, sono sempre la simulazione dei media che imita. Probabilmente solo il videogame ha questa ampiezza di capacità simulativa. Potremmo parlare di ipermedia.
In questa prospettiva di ipermedialità, diventa ancora più evidente l’inesauribilità dell’interpretazione di un’opera. Tenendo fermo questo punto, ho elaborato un confronto tra Kentucky Route Zero e il capolavoro di T.S. Eliot, The Waste Land. Non supponendo una diretta influenza (inverificabile a meno di non entrare nella testa degli autori), ma usando queste due opere perché si facciano luce a vicenda.
Del resto, il significato non esiste di per sé negli oggetti, ma nei collegamenti che immaginiamo tra gli oggetti.
CONFRONTO IN 10 PUNTI
Il mio confronto si articola in 10 punti, nei quali evidenzio le similitudini tra le due opere.
1. STRUTTURA: entrambi i tesi sono divisi in 5 atti.
2. ATMOSFERA ONIRICA: in entrambi i testi non ci sono riferimenti cronologici o spaziali espliciti. Potremmo essere in una allucinazione, in un sogno, nell’inconscio di qualcuno, visto che le immagini si susseguono in modo spesso surreale e delirante, con quella atmosfera onirica in cui i personaggi accettano come scontate delle situazioni che sarebbero assurde nella vita reale.
3. METAFORE SPAZIALI: la Route Zero, sembra essere una metafora letteraria o immaginifica più che una vera e propria strada percorribile da un mezzo, così come la Terra Desolata è una finzione narrativa che rappresenta la desolazione dell’animo umano e della cultura del Novecento.
4. SCALA DI GRIGI: in entrambi i testi viene delineata una atmosfera lugubre, arida, inquietante e grigia, nel videogioco questo è reso con una palette cromatica tendente al grigio, nel poemetto di Eliot l’atmosfera è resa dall’ambientazione desertica.
5. FUOCO: in entrambi i testi ricorre l’immagine del fuoco che distrugge. Nel gioco, nel III atto, ci troviamo sottoterra all’interno di grotte in rovina, ormai solo rifugio di reietti e rivoluzionari rinnegati, e troviamo il fuoco in cui arde un enorme cumulo di computer, altro simbolo di sterilità e aridità; nel poemetto, lo stesso III atto è dedicato al tema del fuoco, a partire dall’evocativo titolo Il sermone del fuoco.
6. ACQUA: in entrambi i testi ricorre il tema dell’acqua come elemento di rinascita e di purificazione. Alla fine del IV atto di Route Zero assistiamo a una devastante tempesta che distrugge ogni cosa, ma dopo la tempesta per la prima volta nel gioco vediamo la luce del sole che sorge (avevamo già visto la luce del sole, ma al tramonto, all’inizio del gioco dal benzinaio). Nella Terra Desolata alla fine del V atto una tempesta simile annuncia l’arrivo della pioggia. Alla fine del IV atto di Waste Land invece, intitolato Morte per acqua, assistiamo alla morte di uno dei personaggi per annegamento.
7. QUEST: in entrambi i testi ci sono riferimenti a una ricerca impossibile: nel videogioco è la ricerca della casa di Dogwood Drive, 5, a cui quello che crediamo sia il protagonista, Conway, deve effettuare una consegna e che è l’espediente per avviare tutti gli eventi che attraversiamo durante il gioco. Nel poema il riferimento invece è ai cercatori del Santo Graal, per eccellenza una ricerca fallimentare e grottesca.
8. CECITÀ: in entrambi i testi ci sono riferimenti alla cecità. Nel poema a Tiresia, l’indovino della tradizione greca, nel videogioco a Joseph, il primo personaggio che incontriamo all’inizio del gioco, il benzinaio alla stazione di rifornimento.
9. DEBITO E PASSATO: entrambi i testi possono essere letti come una riflessione sul debito che i contemporanei conservano nei confronti del passato e sul rapporto critico con la tradizione dei testi in cui chiedono di entrare. In Eliot questa riflessione è metanarrativa e si consuma nei riferimenti al repertorio di immagini mitiche che ricorrono nell’orizzonte di sgretolamento della Terra Desolata. Come dice Carmen Gallo, curatrice della edizione per Il Saggiatore di Waste Land, uscita da poco (con il nuovo titolo La terra devastata:
Non c’è più la dimensione dell’individuo che autorizzava identificazioni autobiografiche, né il tempo della storia. Prevale la dimensione del mito, seppure degradata nella sua sacralità nel racconto insieme toccante e spietato che ne fa il volgare Trimalchione.
Eliot si chiede come fare ordine al crogiolo di culture e linguaggi e immagini che si sono sedimentati nella tradizione, come può esistere ancora l’arte dopo la consapevolezza lucida della fine delle certezze del passato e come si sfugge al debito nei confronti della tradizione per dire qualcosa di nuovo? In KRZ il tema è approfondito sia al livello interno della narrazione che a quello metanarrativo. Nel videogioco è il debito dei personaggi verso il loro passato individuale ma non solo, perché il gioco è pieno di citazioni alla tradizione videoludica di cui vuole far parte (in questo il terzo atto è un’apoteosi di riferimenti), e in una certa misura si pone implicitamente sullo stesso piano dell’opera di Eliot, alla ricerca di un modo per conservare l’individualità del talento a fronte della tagliola della tradizione, che ci mostra continuamente come ogni idea sia già stata pensata.
In KRZ, inoltre, tutti i personaggi sono tormentati dal passato, e non è un caso se tutte le storie che sentiamo raccontare dai personaggi che incontriamo siano un misto di nostalgica sofferenza nei confronti di un tempo perduto, che si cristallizza in una dimensione di stasi alienata e immobile: la storia del ristorante di Sam e Ida, quella di Shannon e dei suoi genitori e di sua cugina Weaver, la storia di Donald che racconta della creazione di Xanadu. E per finire ovviamente la storia del passato da alcolista di Conway, nei confronti della quale egli ha accumulato un “debito” che dovrà espiare con la sua stessa vita, in quella che è la metafora forse più riuscita del gioco, in cui alla fine Conway diventa uno spirito da imbottigliare e vendere per alimentare il debito alcolico di qualcun altro, in un eterno circolo vizioso. Tutti sono imbrigliati nel loro passato, nel particolare tipo di approccio al passato che Nietzsche chiamava “Storia antiquaria”, quella che ci appesantisce e ci immobilizza, e che riassorbe le energie del futuro in un eterno rimestare il tempo perduto. Non è un caso che Conway lavori per un negozio di antiquariato, o che la distilleria verso la quale Conway matura il suo debito sia sotto una chiesa, altro simbolo di un debito nei confronti della tradizione e del passato e del concetto di una colpa che è addirittura originaria e a cui siamo condannati nostro malgrado, ereditandola addirittura dalla creazione dei primi uomini.
10. FINALE: merita una discussione più approfondita.
IL FINALE
Anche il finale delle due opere è speculare. Eliot alla fine della Waste Land si chiede se riuscirà mai a fare “ordine a queste terre”, e nell’ultimo atto del videogioco, quasi tutti i dialoghi a nostra disposizione sono volti a capire chi rimarrà nel paesino distrutto e chi andrà via, chi si impegnerà per mettere ordine fisico restando e chi cercherà di mettere ordine alla propria esistenza andando via di nuovo. Ma la chiave davvero importante per decifrare il senso di entrambe le opera si trova nella scena finale di KRZ: dopo cinque atti, dopo aver incontrato decine e decine di storie diverse, dopo aver conosciuto personaggi accomunati tutti dalla solitudine, dall’emarginazione, dalla sperduta aridità di una vita che nessuno ricorderà mai, che andrà perduta come lacrime nella pioggia, sembra fare capolino un senso nel viaggio sulla Rotta Zero. Qualcosa che non si troverà nei necrologi, come dice Eliot nei Quattro Quartetti:
per questo, e questo soltanto noi siamo esistiti
Che non si troverà nei nostri necrologi
O sulle iscrizioni ammantate dal regno benevolo
O sotto i suggelli infranti dal notaio scarno
(T.S. Eliot, Quattro Quartetti)
La scena finale dà una asciutta speranza all’umanità sgangherata e senza casa che abbiamo imparato a conoscere nel gioco, personaggi di racconti di un mondo imperterrito nella distribuzione dell’infelicità alle persone. Dopo la tempesta devastatrice e purificatrice (come quella che si annuncia alla fine della Terra Desolata), alla fine si scopre che Dogwood Drive, 5 era una casa vuota e disadorna, un Graal che deve essere ancora una volta conquistato da capo, perché proprio quando si credeva di averlo trovato, è sfuggito di nuovo. Il Graal è il simbolo di un senso e di un ordine tra le rovine attraverso cui ci muoviamo, tra il dramma della crocifissione e della morte di dio, la certezza che il sacrificio e il dolore non furono vani e che ogni tristezza si riscatterà in una felicità esponenziale. La speranza di un game-changer, una scoperta che mette tutto in ordine. Ma KRZ ci mostra che l’ordine si riconquista ogni volta e non c’è redenzione definitiva, né riscatto eterno, né sacrificio che non sia in certa misura sempre vano. C’è una casa vuota. Una casa comparsa dal nulla e che i personaggi pittoreschi del nostro viaggio sulla Route Zero devono capire come riempire. Tutti accorrono all’indirizzo, per capire cosa stia succedendo e cosa sia quello spazio nuovo nell’orizzonte delle possibilità. E così, involontariamente, quello spazio si riempie dei loro corpi. La scena finale con la creazione di una nuova comunità che riunita insieme guarda il tramonto all’orizzonte, è la migliore raffigurazione visiva delle parole finali di Eliot:
“con questi frammenti, ho puntellato le mie rovine”.