“Le religioni sono come le lucciole: per brillare hanno bisogno del buio.”
(A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena)
Qual è l’immagine della religione che risulta dai videogiochi di Hidetaka Miyazaki?
I souls sono ambientati in universi in cui la religione e le istituzioni che rivendicano un qualche tipo di autorità sacra o giustificata per diritto divino sono spesso il fulcro della trama, dalla casata di Gwyn, al Culto del Vincolo in Dark Souls, alla Chiesa della Cura in Bloodborne.
Ho già parlato del silenzio e della sottrazione come principi fondamentali della poetica di Miyazaki, sia a livello narrativo che a livello di design ambientale, in due articoli complementari. Qui voglio mostrare come questi principi si realizzano praticamente, analizzando la critica implicita e silenziosa, eppure violentissima, alla religione che emerge dalle opere di Miyazaki e mostrando come di pari passo con essa Miyazaki sviluppi una critica altrettanto solida e violenta alla figura dell’eroe.
DARK SOULS
Il mondo di Dark Souls è impregnato e fortemente influenzato da leggende di carattere sacrale e religioso. L’avventura del Chosen Undead è messa in moto dalla promessa di adempiere una profezia sacra. Non è un caso che il primo NPC di tutto il gioco con cui possiamo avere un dialogo, Oscar di Astora, ci parli della leggenda sacra che si tramanda nella sua famiglia riguardo al Culto del Vincolo del Fuoco. Questo dialogo fissa già lo stile e le atmosfere tematiche di tutto il gioco: in un mondo in rovina, rimangono solo brandelli di storie e leggende la cui riverenza è garantita dal loro carattere sacrale-religioso. L’atmosfera di Dark Souls è un’atmosfera religiosa, che unisce la violenza più brutale alla solennità della celebrazione di un rito alla stesso tempo sacrificale e propiziatorio. E infatti tutta l’avventura del protagonista controllato dal player non è altro che la celebrazione di un culto (con una possibile variazione “nascosta”): l’avventura inizia, dopo tutto, a Firelink Shrine, il Santuario del Vincolo e tutto il percorso del personaggio è circondato da un alone ideologico di martirio eroico. Di default in Dark Souls si va alla fornace a Vincolare il Fuoco, anche perché è quello che tutti ci dicono di fare, a prima vista. Tutti gli indizi di una critica a questo percorso del Chosen Undead sono nascosti o silenziosamente sullo sfondo, come Kaathe in Dark Souls o gli occhi della Guardiana in Dark Souls 3. A questa prima funzione di riverenza leggendaria della religione, se ne aggiunge un’altra, ad essa collegata: la funzione di legittimazione del potere.
In Dark Souls, a livello teogonico, non esistono divinità creatrici. Il mondo, con la disparità e la differenza, nasce con la Prima Fiamma, ma nella narrazione cosmogonica con cui il gioco si apre, non si fa accenno a nessuna figura divina: né un demiurgo né una creatio ex nihilo. Semplicemente, a un certo punto si accende la Fiamma. L’universo di Dark Souls è quindi, stando al racconto del narratore onnisciente che precede l’inizio del gioco e lo introduce, un mondo senza déi, un mondo causa sui, senza bisogno di postulare un motore immobile che gli dia avvio. Già in questa evidenza si cela la prima critica implicita alla religione: ogni istituzione religiosa, ogni rivendicazione di sacralità divina e di autorità celeste, sarà indebita e ingannevole perché infondata. Miyazaki mette subito le cose in chiaro: chiunque dica di essere un dio, mente.
“Then, from the dark, they came”. I quattro Lord vengono dall’oscurità e la loro natura di lord non è intrinseca ma dipenda dal frammento di Anima di cui si impadroniscono strappandola al ricettacolo della Prima Fiamma. Nessuno è diverso dagli altri per diritto di nascita, in Dark Souls, ma la religione può essere un modo per legittimare un potere arbitrario. E così che Gwyn, il più potente dei quattro Lord originari, instaura l’Era del Fuoco, un’epoca di prosperità e di crescita e grazie al potere dell’Anima trovata si auto-attribuisce il titolo di divinità, trasmettendolo a tutta la sua famiglia da allora in poi. Una volta che la fiamma sta per spegnersi Gwyn decide di sacrificarsi per rinvigorirla: prima di farlo escogita un enorme complotto per tenerla accesa potenzialmente per sempre. Questo complotto è di natura religiosa e gioca sul rispetto e il timore reverenziale suscitato dal senso del sacro della leggenda al centro del complotto. Gwyn sa quali sono la potenza del sacro e del dogma nella loro abilità di disinnescare la critica e la libertà e di creare servilismo, rispetto e controllo delle masse.
Gwyn elabora un piano grazie al quale si fa credere agli uomini non-morti marchiati con il segno oscuro e quindi vincolati a un ciclo eterno di morti e resurrezioni, di essere stati prescelti come vuole un’antica profezia, per compiere un atto di coraggio e di gloria estremo: seguire le orme di Gwyn nel Vincolo del Fuoco per ridare vigore alla Fiamma morente. Gli elementi su cui fa leva il complotto ai danni dei non-morti sono di carattere eroico-sacrale: il coraggio del martirio, la profezia del prescelto, il senso di unicità eroica del prescelto, l’ascensione verso uno stato di divinità, ottenuto seguendo le orme di Gwyn, considerato a sua volta divinità. L’alone mitico e fatalista che circonda l’avventura del chosen undead è funzionale a creare l’illusione dell’eroe, seguendo la versione che viene raccontata dal serpente primordiale Frampt, amico di Gwyn, che ci instrada verso la via del sacrificio. Il linguaggio di Frampt è connotato in modo molto caratteristico: il serpente primordiale parla continuamente di fato e destino e di compimento di un compito superiore per cui il chosen undead sarebbe stato prescelto. Siamo destinati da sempre a una morte che salverà il mondo. Il nostro sacrificio rientra in un orizzonte mistico di imperscrutabile valore cosmico. Siamo al centro della Storia, con la s maiuscola.1
Inoltre durante l’avventura di Dark Souls capita di incontrare altre persone che sono giunte nella terra di Lordran in una sorta di pellegrinaggio religioso entro il Culto del Vincolo del Fuoco. La religione in Dark Souls ha quindi questa duplice funzione: dapprima quella di legittimare il potere di Gwyn; in un secondo momento quello di creare un alone di sacralità intorno al piano elaborato da Gwyn stesso, perché esso sia credibile grazie al senso di riverenza fidesitico-religioso che suscita. La religione è una costruzione del tutto umana in Dark Souls, ha un carattere strumentale ed è uno strumento di controllo e di potere: grazie al complotto creato da Gwyn, i non morti vengono spediti in massa in enormi manicomi-prigioni, dove quelli che non perdono il senno vengono mandati attraverso una serie di prove e pericoli. Solo dopo averne superati abbastanza ti viene rivelato da Frampt che eri il prescelto. Non perché lo fossi davvero, ma piuttosto perché lo sei diventato, quasi per caso, arrivando fino a quel punto. Una profezia che si auto-avvera.
BLOODBORNE
Anche in Bloodborne la religione ha una funzione simile a quella di Dark Souls: è uno strumento di controllo delle masse da parte di una elite che dispone di un potere, e che ha bisogno di legittimarlo e preservarlo, schermandolo con l’impenetrabilità della mistica e del dogma. L’Old Blood è il sangue di Grandi Esseri trovati nei labirinti sotterranei degli Pthumeriani, una sorta di antenati dell’umanità. Questo sangue ha proprietà curative che lo rendono unico, inebriante e stimolante. Può curare da qualsiasi malattia. Pensate avere la possibilità di curare qualsiasi malattia, e non solo di poter guarire per sempre ma di uscire dal processo potenziati e più vigorosi.
L’istituzione che controllasse la somministrazione di questo sangue avrebbe un potere enorme. Questo succede in Bloodborne: la Chiesa della Cura, dopo aver scoperto l’Old Blood, inizia a controllarne la somministrazione a Yharnam, la città dove è ambientato il gioco. L’istituzione diventa sempre più potente, gerarchizzata e distante dal popolo, in un meccanismo di sempre crescente elitarismo, rafforzato dalla scoperta di verità cosmiche fatte da parte dei piani più alti della gerarchia ecclesiastica, chiamata “Il Coro”. Il sangue curativo della Chiesa della Cura ha però degli effetti collaterali imprevisti. Il desiderio di pervertire il corso della natura in modo così brutale, annullando le malattie e potenziando il corpo, non può essere sopportato dagli esseri umani, che sottoposti a continue trasfusioni di sangue curativo si trasformano in bestie, a causa della dipendenza provocata dalle trasfusioni di sangue. A questo punto, la Chiesa della Cura, si ritira nei piani più alti delle sue cattedrali, abbandona la popolazione e brucia i piani inferiori della città, per debellare l’epidemia di bestialità, resa incontrollabile dal contagio con il sangue.
La Chiesa istituisce la figura del Cacciatore della Chiesa, che si impegna nell’eliminazione degli infetti durante la Notte di Caccia. Ma la sete di conoscenza e il desiderio di provare su di sé gli effetti del sangue, portano anche gli stessi membri della Chiesa alla follia bestiale. Ludwig, Laurence, Amelia, il Chierico Belva, sono tutti esempi di cacciatori o membri della Chiesa che si sono trasformati in bestie. L’architettura di Yahrnam e l’andamento dell’avventura di Bloodborne sono fortemente influenzati da un simbolismo religioso: si tratta di una vera e propria ascensione, via via sempre più in alto, verso la scoperta di verità insostenibili per la mente umana. Emblematica è la cutscene dopo lo scontro con Rom, il ragno ottuso, in cui il Cacciatore, messo difronte alla Pallida Luna soccombe sotto il peso delle sue gambe, mentre lo schermo viene fagocitato da un'enorme luna gialla.
Non è questo il luogo dove analizzare diffusamente tutti i riferimenti cristiani in Bloodborne, ma il gioco ne è pieno: dal parto virginale, al sangue come comunione con il divino. Ma oltre al riferimento quasi parodistico al cristianesimo, uno dei punti di interesse in Bloodborne sta nel movimento inverso e complementare compiuto tra piano divino e piano umano, Grandi Esseri e umanità. Gli uomini cercano di ascendere a un piano di esistenza superiore penetrando i misteri del cosmo e iniettandosi l’Old Blood, mentre i Grandi Esseri cercano disperatamente di accedere al piano umano per riuscire a riprodursi con le donne, perché tra loro non possono riprodursi. In questo ribaltamento ironico tra il piano divino e quello umano, Miyazaki mette in luce la grottesca brama umana di sacro, mette in ridicolo il desiderio di comprendere tutto in una intuizione mistica, non mediata da concetti e dal linguaggio. Mentre noi ci affanniamo a penetrare il cosmo, il cosmo vuole solo riprodursi, in un bieco istinto autoconservativo.
In Bloodborne, dunque, la religione e il senso del sacro sono funzioni del potere e strumenti di controllo e sfociano nella repressione, nell’omicidio di massa e nella follia.
L’INGANNO DEL SACRO
“Dio è il dolore che nasce dalla paura della morte.”
(F. Dostoevskij, I demoni)
Non c’è nulla di misterioso nel mistero della fede. Potremmo riassumere così il processo di decostruzione implicita a cui viene sottoposta la religione e il senso del sacro nei Souls. Di fronte all’autorità del dogma religioso c’è chi ride sbeffeggiandolo e chi rivolge il suo sguardo amaro e disperato al grottesco vortice di inganni a cui esso sottopone. Miyazaki fa sicuramente parte di questa seconda categoria. La sua critica alla religione, per quanto silenziosa e sottotraccia, è onnipresente e violentissima. Il senso del sacro è visto da Miyazaki come un modo usato dal potere per riassorbire il dissenso e instradare i comportamenti e i pensieri. Sacro è proprio ciò di cui non si può ridere (“Galielo e i supereroi”: un articolo per una critica analitica al concetto di dogma), l’antidoto alla critica, lo schermo dalle domande e dal dubbio, per cui si viene ripagati con la moneta sonante della consolazione estatica e rassicurante di non poter mai sbagliare, o addirittura, di poter salvare il mondo: la certezza illusoria che ci sia un destino, una profezia risolutiva, una salvezza gratuita. Il sacro è una macchina di inganno dei deboli, un meccanismo colossale per la proroga indefinita del potere assoluto. Esso non agisce a livello coercitivo, punendo certi comportamenti, ma li rende impossibili, disinnescandone il desiderio. Il sacro più che agire sulle azioni, agisce sui pensieri.
Il sacro è un inganno perché ci ripara dalla realtà e ci rende inoffensivi. Passa per la censura della risata non a caso, visto che la risata è il principale mezzo di relativizzazione di cui disponiamo. E infatti nessun personaggio nei Souls ride in modo dissacrante. Le risate degli NPCs sono risate di folli, di estasi mistiche, non di lucidità critica.
Per Miyazaki, la religione segue il modello del Grande Inquisitore di Ivan Karamazov: la sfiducia totale nei mezzi critici delle persone porta a voler decidere al posto loro in modo autoritario.
L’EROE E IL MESSIA
“Sventurato il mondo che ha bisogno di eroi.”
(B. Brecht, Vita di Galileo)
Dopo il ribaltamento che opera Miyazaki sul rapporto uomo-dio e sul senso della risata, i souls sovvertono infine anche il topos classico dell’eroe. Il discorso critico sul sacro e sulla religione, viene elaborato in parallelo, e si sostanzia, insieme a un discorso di critica e di smontaggio della figura dell’eroe.
Da sempre la figura dell’eroe è particolarmente centrale nella cultura popolare. La storia del riscatto, del sacrificio, della vittoria, è un modello commercialmente invincibile: la Marvel e i Vangeli l’hanno mostrato chiaramente. Vogliamo vedere opposti gli uni agli altri, eroi e villain. Ci serve qualcuno che si faccia carico della responsabilità della salvezza del mondo, ci servono messia, agnelli sacrificali, perché ci sollevano dalla paura di agire, dalla responsabilità della scelta. La fede nell’eroe aderisce allo stesso modello della fede in una ideologia, perché entrambi questi comportamenti rispondono alla stessa paura: la paura della responsabilità individuale. Il dogmatismo è la fuga dalla paura dell’errore, l’adesione a un modello in cui non abbiamo responsabilità, e quindi in cui non abbiamo colpe.
Il dogmatismo eroico è un dogmatismo uguale a quello religioso, quello ideologico, delle ricette buone per ogni occasione, del tifo e del partito. Del pugno alzato sempre, delle camicie, che siano rosse o nere, degli ultras, del violento. Ci sentiamo al sicuro nel gruppo, nel conformismo acritico dell’indistinto. Fuggiamo dall’errore, e appendiamo il nostro pendolo dove il declivio della collina ci accomoda, per caso, più docilmente. Costruiamo campanili dove per caso ci siamo trovati a nascere, costruiamo cattedrali intorno alla nostra biografia per glorificarne le casualità.
Siamo veloci nel cedere la nostra libertà nelle mani di chi ci assicura che non potremo sbagliare più da ora in poi. Per questo ci servono eroi. Ci servono eroi perché sentiamo che il male è troppo perché noi riusciamo a estirparlo, perché i rischi sono troppi per correrli senza fuggire. Abbiamo bisogno di eroi per poter avere fiducia nel progresso senza dover sentire la fatica della ricerca e la paura che la ricerca conduca a un vicolo cieco. Abbiamo paura di sbagliare perché il mondo è grande.
L’eroe è dopotutto un dogmatico per i dogmatici, qualcuno che assecondi il nostro bisogno drammatico di lotte epocali tra bene e male e la nostra speranza di una vittoria definitiva e irritrattabile del bene. Qualcuno che crede di avere la verità assoluta ed è disposto a tutto pur di dimostrarlo, credendo che il sacrificio della propria vita sia un argomento a favore di una tesi. Per questo, così spesso associamo la figura dell’eroe a quella del martire e del messia.
I souls portano avanti un processo di decostruzione della figura dell’eroe-messia-martire che ne dimostra la totale inconsistenza e ne mette in ridicolo i presupposti, prendendosi gioco dell’aspettativa del giocatore di stare giocando una storia epico-eroica. Il senso di sconforto e fallimento anticlimatici che proviamo alla fine di Bloodborne o di Dark Souls, qualsiasi sia il finale scelto, vanno proprio nella direzione dello smantellamento della figura dell’eroe messianico, del salvatore che ristabilisce un’ordine sublimandolo in un nuovo orizzonte ideale. Non c’è mai una vera salvezza finale e risolutiva, ma al massimo solo il prolungamento di un’agonia lamentosa. L’eroe di Miyazaki fallisce (per una discussione approfondita rimando di nuovo all’articolo sulla lore dei souls). Muore e risorge talmente tante volte da far svanire qualsiasi accezione messianica nella sua resurrezione (di nuovo, un ribaltamento del topos classico). Quasi per un contrappasso metanarrativo, Miyazaki ci illude continuamente di controllare un dio o un eroe o un messia, solo perché possiamo risorgere all’infinito. Ma questa resurrezione eterna è propedeutica a mostrarci l’eternità della morte e della disperazione2, è un rovesciamento del potere e della dignità di Cristo, che invece viene sublimata proprio grazie alla resurrezione. Per noi giocatori non è che una condanna al loop: non la rottura di un mondo corrotto, ma la sua cristallizzazione. La nostra resurrezione diventa gergale respwan. Da mistero di fede a meccanica di gameplay.
Nei souls tutto ciò che di male succede può essere ricondotto al sovvertimento della natura e alla sua perversione (prolungare la vita della fiamma oltre il suo corso naturale; potenziare la natura umana attraverso l’Old Blood) normalizzate e istituzionalizzate grazie al dogma e al sacro di una religione costruita ad hoc per legittimare il proprio potere, nascondere i propri fallimenti e controllare le masse. La critica a questo atteggiamento è implicita proprio perché se ne mostrano gli effetti all’opera, più che decostruirla teoricamente. Attraverso tutta la serie di ribaltamenti dei topoi classici della narrazione (l’eroe-messia, la resurrezione, la risata, l’ascensione dell’uomo al piano divino), Miyazaki mette in ridicolo la religione e il sacro, come strumenti di subdolo controllo e di oppressione.
Come dice Guglielmo ad Adso, nel Nome della Rosa: “Temi i profeti e coloro disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimi con loro, prima di loro, spesso al posto loro.”
Entrambi i finali ci fanno sentire come marionette in realtà. Sia che segui le orme di Gwyn, sia che segui i consigli di Kaathe. Questo succede perché non hai mai gli elementi per capire qual è la portata delle scelte che fai. Per questo il senso di Dark Souls è inevitabilmente meta narrativo e si realizza nella consapevolezza che entrambe le possibili strade sono altrettanto folli e dogmatiche.
Per approfondire consiglio la visione di questo video in cui l’autore parla di Bloodborne come “antimito”, negazione della struttura classica del “viaggio dell’eroe” di Campbell