L’esperienza videoludica nell’intera vita di un videogiocatore
Quando si parla di videogiochi si citano spesso parole come interazione, immersione o persino immedesimazione. Si parla di giocabilità, longevità, grafica e magari si dà anche un voto numerico. In questo contesto, però, l’argomento che mi interessa e di cui vorrei parlare è l’esperienza videoludica in senso più esteso. Prima di tutto vorrei mettere in luce che questa esperienza non è mai stata uguale per tutti e che mai lo sarà. Non perché dentro siamo diversi gli uni dagli altri, o forse anche per questo, ma perché tutto ciò che ci circonda e gli strumenti che usiamo per videogiocare variano di tanti aspetti: quale TV o monitor stiamo usando? Con quale audio stiamo giocando? Quanto sono comodi la sedia o il divano dove siamo seduti? Come va la nostra vita?
La mia esperienza videoludica è iniziata con l’Atari 2600, e bisogna ammettere che all’epoca le differenze tra i giocatori erano minime: la grandezza della televisione era piuttosto simile in ogni famiglia e posso ipotizzare che tutti quanti giocassimo seduti per terra o in una sedia, nella distanza tra occhio e monitor che il filo ci permetteva. Onestamente, credo di non aver mai pensato se stessi comodo o no, o alla qualità dei due piccoli altoparlanti della vecchia Mivar. Giocavo dalla TV di cucina ed ero un bambino contento. Accendere quella console era un momento prezioso e l’esperienza non aveva nessuna pretesa, anche perché per me non aveva precedenti. Avevo giocato anche a dei portatili in stile Gig Tiger ma non ricordo bene il periodo, forse ci giovavo in concomitanza con l’Atari.
La seconda esperienza videoludica è stata con il Nintendo NES Action set (la versione con due controller, la pistola, Super Mario Bros. e Duck Hunt inclusi). Questa volta giocavo dalla mia stanza, sempre per terra, ed ero ancora un bambino contento. In quel periodo ho avuto a che fare anche con le sale giochi. Mia madre mi dava mille lire ogni mattina per potermi comprare la merenda, ma ogni tanto facevo digiuno pur di poter giocare ai cabinati che c’erano nel bar di passaggio tra casa e scuola. L’unico che riesco a ricordare è Toki, il gioco di un uomo trasformato in scimmia che poteva sparare raggi di vario tipo e, in certi momenti, indossare un casco da football americano.
La terza esperienza videoludica è stata un po’ diversa. A causa di uno sfratto, dovetti adattarmi in una piccola “casa” di quattordici metri quadrati. Non c’erano le finestre e neanche le mattonelle. Per i primi due mesi non c’erano neppure il bagno e la cucina. Non c’era niente, ma ero ancora un bambino contento. Avevo il Mega Drive e ci giocavo seduto ai piedi del letto dei miei genitori, tenendo il volume sempre basso perché altrimenti si sovrapponeva a quello dell’altra TV.
La quarta esperienza videoludica è stata in una piccola casa di periferia e avevo il Nintendo 64. Non potevo essere più felice di così perché anche se tra una stanza e l’altra non c’erano le porte, avevamo il bagno e la cucina fin dall’inizio. C’erano persino le finestre, le mattonelle e ognuno di noi aveva una stanza, solo che la mia era così piccola che mio padre dovette bucare il muro per farci entrare il letto. Giocavo con un ventun pollici e l’esperienza non era poi così diversa dalla terza, dalla seconda o dalla prima. Alla fine ero sempre contento di quel legame che c’era tra me, il filo, la console e la televisione. Mario 64 ce l’avevo in francese, e andava bene lo stesso. Devo inoltre confessare che la mia esperienza era ancora priva di pretese.
La quinta esperienza videoludica è stata più variegata. Avevo la prima PlayStation e per i primi anni ci giocavo senza memory card. Ricordo i miei buffi tentativi di completare Final Fantasy 8, impresa chiaramente impossibile senza quella memoria. Era un periodo d’impatto visivo e se un filmato ti piaceva era un’esperienza quasi unica, perché non potevi andare a rivederla su Youtube. Per capire meglio il contesto di cui sto parlando, fino a questo momento non c’erano neppure i cellulari e non era possibile “condividere” in nessun modo i propri pensieri in modo rapido come si può fare adesso. Non sto qui a cercare di capire se la vita che abbiamo ora sia migliore o no, o se tutti questi miei pensieri siano solo spinti dalla nostalgia: quello che voglio dire è che era un mondo più intimo. Potevo comprare una rivista di videogiochi, provare quasi gioia nel sfogliarla, ma era tutto quanto in un silenzio personale che non aveva bisogno e né poteva darsi voce in un post pubblico. In questo periodo ho avuto anche la mia prima e unica esperienza con un gioco dal computer: il primo Tomb Raider, comprato in edicola allegato a una rivista. Come forse si è già capito, sono un videogiocatore da console.
La sesta esperienza videoludica è stata ancora più variegata. Comprai la PlayStation 2 al lancio, dopo aver conservato monetine per anni e anni, fin da quando avevo letto in un numero di Topolino che sarebbe uscita. Ricordo di averla pagata circa un milione di lire, che era una cifra in linea con uno stipendio medio basso dell’epoca. Mentre con la prima PlayStation si potevano ascoltare anche i CD musicali, con la PlayStation 2 era possibile guardare i film in DVD. Per i più giovani potrà sembrare qualcosa di ovvio, ma all’epoca un lettore DVD costava quanto o quasi la console stessa, ed era una tecnologia nuovissima, così ero davvero contento di averla acquistata.
La collegai persino al mio stereo, lasciando il jack giallo nella TV e inserendo quelli rosso e bianco negli ingressi AUX IN, L e R. Questa fu la prima volta che l’esperienza videoludica cambiò davvero sotto vari punti di vista: la TV era cresciuta ancora, questa volta un ventotto pollici. L’audio era stereo e “potente”, sia per giocare che per guardare i film. La console stessa aveva portato un grande cambio generazionale e, per la prima volta, giocavo stando seduto in una comodissima poltrona. Quest’epoca è durata vari anni e si è trascinata fino a un altro trasloco, passando anche dalla poltrona al divano e fino ad avere una televisione a tubo catodico ancora più grande e pesante. Quest’era aveva iniziato a segnare delle differenze più evidenti tra un’esperienza videoludica e l’altra, cioè tra giocatori che avevano potuto spendere più soldi e quelli che ne avevano speso meno, per scelta o possibilità.
La settima esperienza videoludica, così come l’ottava, la nona e così via fino al presente, non sono state poi così diverse. Le televisioni crescono sempre di più, la potenza aumenta e le differenze tra un giocatore e l’altro sono sempre maggiori. Anche nel caso in cui il gioco sia lo stesso, non si può davvero dire di averlo vissuto allo stesso identico modo. Lo stesso gioco lo puoi giocare dal bagno, dal salotto o dal sedile di un aereo. C’è chi gioca tranquillo e chi lo fa per tappare pensieri e preoccupazioni. C’è chi gioca giovane e chi si ritrova a dover affrontare vari acciacchi e problemi fisici.
Parlo di questi argomenti perché io in prima persona sono un videogiocatore di una certa età. Dopo tutti questi anni, fatti anche di vicende particolari e difficoltose, mi ritrovo in un certo benessere sia economico che mentale, ma con alcune spade di Damocle sulla testa: l’occhio destro che inizia a dare qualche piccolo cenno di vecchiaia, la schiena che duole saltuariamente e la caviglia che mi ricorda di non esagerare con le camminate. La morte che si avvicina potrebbe sorprendermi e interrompere la mia esperienza videoludica? Quante console potrei ancora vedere nascere? E quanti Zelda canonici potrò ancora giocare? Non mi resta che godermi ogni momento.
Dalla settima esperienza in poi ho iniziato ad avere più console “nemiche” contemporaneamente, che era una cosa impensabile quand’ero bambino. Eppure prima ero sempre contento, anche quando non avevo il bagno, mentre ora che “ho tutto quello che voglio”, l’unica sensazione che provo è l’apatia. Le persone possono giocare circondati da apparecchiature sempre più costose ma, alla fine, nel mentre che tutte queste tecnologie cambiavano e avanzavano, sono cambiato anch’io.
Dalla settima esperienza in poi sono iniziate le pretese. Mi piacciono ancora tantissimo i giochi leggeri e creativi della Nintendo, non ne potrei mai fare a meno, ma ho bisogno di accompagnarli con qualcosa di più: ho bisogno di storie complesse, di intrecci profondi e di una maggiore difficoltà che faccia vacillare il mio flow. Ho bisogno di più persone come Hideo Kojima, Sam Lake, Yoko Taro, dei coreani che ancora se ne sbattono del wokeismo e di chiunque voglia creare qualcosa di creativo e stimolante. Ho bisogno di una televisione decente, di un home theatre ben strutturato o di cuffie di qualità. Ho anche bisogno di un bel divano o una comoda poltrona, di tranquillità, di tempo libero e soprattutto della salute. Ho bisogno anche di persone con cui parlare di videogiochi. Con queste pretenziosità e meno gioia rispetto al passato, mi godo comunque il mio tempo videoludico, rendendomi conto che la scelta dei giochi non è poi così ampia come potrebbe sembrare.
La già citata tranquillità, ma più in generale le classi sociali, l’età e il tipo di vita in cui una persona si trova, sono tutti fattori che, insieme a quelli tecnologici, cambiano leggermente l’esperienza videoludica. Vorrei poter dire che tutte queste differenze non facciano la differenza, e che l’esperienza sia in qualche modo democratica e che ci unisca tutti quanti attorno allo stesso interesse. In parte è così, ma la chiave sta anche nel non abbattersi se la propria esperienza non ha tutte le caratteristiche che si vorrebbero. Questo di cui parlo si nota in un format di Playerinside, dove Raiden e Midna giudicano con ironia le postazioni dei videogiocatori: guardando quelle stanze si notano subito le differenze sociali, ma loro due ci scherzano sopra così bene che questo aspetto passa in secondo piano. L’unica cosa che conta davvero, o che almeno dovrebbe contare più di tutto, è la passione che si mette in base alle proprie disponibilità.
Dopotutto, questa esperienza videoludica è fatta di amore verso i videogiochi. Le pretese che sono nate in me sono andate di pari passo con la mia evoluzione. Non penso di dovermi biasimare se in certe situazioni voglio qualcosa in più. Il mio augurio è di poter giocare in salute fino alla mia fine, ma in qualche modo sento che c’è una lotta tra quell’apatia e le mie passioni, e non è solo un problema videoludico. Sembra che con il passare del tempo sia sempre più complicato provare quell’euforia che si provava un tempo.