Il cavo orale ospita una grande quantità di microrganismi aerobi e anaerobi con una carica batterica nella saliva stimata in 5 miliardi di batteri per millilitro; per mantenere l'igiene orale si possono utilizzare collutori (circa 20 ml) due o tre volte al giorno dopo la spazzolatura, facendo sciacqui e gargarismi per un minuto prima di sputarli. Alcuni collutori contengono alcol (fino al 27%) non per l’effetto antibatterico, ma per la solubilizzazione dei principi attivi idrofobi. Studi recenti, tra cui quello di McCullough e Farah, suggeriscono che l’uso prolungato di collutori a base alcolica favorisce la produzione di acetaldeide, un noto cancerogeno che potrebbe aumentare il rischio di tumori orofaringei.
Ci sono quelle sere che con lo steam deck in mano e il culo già a letto, il lavarsi i denti sembra un’imposizione sociale. E allora rimani lì, con la bocca impastata - piano piano perde il sapore della cena e lo trasforma in qualcos’altro - e provi un certo gusto a trasgredire il buon senso (una responsabilità non solo verso te stesso, siccome a letto con te c’è qualcuno), pensi che il giorno dopo vorresti fare lo stesso, eppure non ci riesci mai. Ti rendi conto che lavarsi i denti è più facile di raccontare a qualcuno quelle cose che il tuo miglior amico ti scrive su Telegram (foto annesse).
Giocare a Mouthwashing ha tutta l’aria di nuotare col collutorio nella propria bocca, esplorare da vicino un organo che non hai mai visto prima (non in quel modo almeno) e scrostarne gli invisibili batteri (da così vicino non sono poi così invisibili).
Sviluppato dallo studio svedese indipendente Wrong Organ e pubblicato nel 2024, Mouthwashing è un horror psicologico in prima persona con una grafica low poly da PS1, ambientato interamente sulla nave spaziale Tulpar. Siamo in una distopia fantascientifica in cui un’enorme multinazionale, la Pony Express, gestisce un’immensa rete di consegne intergalattiche. Le consegne possono durare anche un anno, periodo in cui l’equipaggio deve vivere isolato dal mondo in condizioni alienanti, stretti a contatto l’uno con l’altro senza poter mai vedere oltre una finestra. Nel videogioco l’immagine dell’avida Pony Express è mostrata esacerbando il concetto di sfruttamento lavorativo in chiave grottesca (ad esempio, i “compleanni condivisi” vengono incentivati per non dover consumare gli ingredienti per più torte).
Nella prima scena di Mouthwashing ci troviamo ad interpretare uno dei membri dell’equipaggio (vista la scelta della prima persona non sappiamo chi) che decide di dirottare il Tulpar contro un asteroide. A seguito dell’incidente il capitano Curly si ritrova sul lettino dell’infermeria, le gambe amputate per metà e il corpo ricoperto di bende da cui emergono i muscoli scoperti, i denti rigidi e un unico occhio sbarrato, il giudicante occhio di un racconto di Poe. “Perso” il capitano, il resto dell’equipaggio inizia un’agonizzante discesa nella follia, accentuata dall’utilizzo di collutori a gradazione alcolica.
Mentre il gioco sembra inizialmente concentrarsi sulla critica a una società consumistica e l’operato di una multinazionale senza scrupoli nei confronti dei fattorini, ben presto il focus si sposta sulle dinamiche interne alla nave. Questo spostamento tematico non vuole evitare la critica all’operato delle corporate in un futuro in cui la piena automazione è praticamente raggiunta, ma vuole far sì che questo discorso sia il contesto entro il quale emerge l’orrore vero: i conflitti tra esseri umani isolati in una condizione comune. Il contesto, dunque, crea terreno fertile per la proliferazione batterica.
Col proseguire dell’avventura il videogiocatore si ritrova più volte a rendersi conto di quanto sia ingannevole la sceneggiatura di Mouthwashing, sempre pronta a prendersi gioco dello spettatore e delle sue aspettative, creando eroi e poi svelando la loro incapacità di adempiere alle responsabilità. La prima di queste responsabilità è indubbiamente il venire a patti con la condizione del capitano, un uomo che vive una non-vita, bloccato in un letto mentre i dolori lo straziano, costretto a ingerire antidolorifici per mano degli altri membri dell’equipaggio. La scelta di non agire, di evitare la (forse necessaria) eutanasia, rispecchia perfettamente i personaggi di quest’opera, ognuno di questi messo al muro dalla propria impotenza.
I personaggi (se ne contano solo cinque) sono caratterizzati attraverso i loro dialoghi e senza inutili flashback nel loro passato: parlano e interagiscono in modi propri, hanno condizioni psicologiche diverse le une dalle altre e queste riescono ad emergere senza didascalismi di sorta. I personaggi di Mouthwashing sono sin da subito apprezzabili, ma la loro forza (o almeno quella della scrittura) è che si svelano lentamente nell’inganno operato dagli scrittori.
Narrativamente, Mouthwashing procede in modo non lineare, alternando brevissime sezioni di gioco e spostandosi avanti e indietro nel tempo tra tre linee narrative: i giorni prima del dirottamento, i mesi successivi e le ore prima di una decisione fatidica. Quest’alternarsi dei piani temporali contribuisce a sfumare i contorni morali dei personaggi, li pone sempre sotto una luce diversa, disvela ogni volta un inganno nuovo. Inoltre mantiene il ritmo del videogioco sempre alto e ci pone davanti a qualcosa che non capita spesso nel mercato videoludico: sintesi (un gioco che dura circa tre ore) e lunghe sessioni di gioco inutili evitate.
L’interattività è infatti ridotta all’osso: non troviamo enigmi (eccezion fatta per l’ultima mezzora) o trial and error. Per darvi un’idea più vicina a quello che è Mouthwashing si potrebbe parlare di un walking simulator composto da molti dialoghi. L’ambientazione rimane sempre la stessa (la nave spaziale) ma riesce ad apparire in forma sempre nuova grazie ai salti temporali e poi alle visioni orrorifiche che ha il protagonista Jimmy. Un’esperienza che è dunque più vicina a Devotion che ad Alien: Isolation, nonostante l’ambiente ricordi di più quest’ultimo. Mouthwashing comincia come un dramedy fantascientifico e diventa un horror psicologico con evidenti rimandi a Silent Hill 2 e al cinema di Ari Aster.
L’orrore emerge dalla dimensione mentale di due personaggi che ci ritroviamo ad impersonare: Curly, il capitano della nave ridotto in fin di vita, e Jimmy, il co-pilota che si ritrova a sostituire Curly dopo l’incidente. I due personaggi sono complementari: il primo è un uomo arrivato al culmine della sua carriera, un uomo che non sa decidersi su quello che desidera vedere oltre la cima, una sorta d’eroe che vorrebbe sottrarsi alle scelte sul futuro; l’altro è colui che desidererebbe essere l’eroe della vicenda, un uomo che non riesce a farsi amare e che dunque si costringe a fare del male per attirare l’attenzione su di sé. Narrativamente il gioco ci fa impersonare entrambi i caratteri (apparentemente l’eroe e l’antieroe), oscillando tra un polo e l’altro come collutorio nella bocca, senza darci mai la risoluzione di questi personaggi. Ma c’è una cosa che Jimmy e Curly hanno in comune: l’incapacità di prendersi la responsabilità dell’agire (Jimmy) e del non agire (Curly). Mouthwashing sembra dirci che l’agire e il non agire sono solo due facce d’una stessa medaglia, l’irresponsabilità umana che si riversa sulle vite degli altri in modo distruttivo. I personaggi di Mouthwashing rifuggono le loro responsabilità e giustificano continuamente l’ingiustificabile davanti al terrore di diventare dei mostri ("I have to believe that our worst moments don’t make us monsters”), che i momenti peggiori non li rendano “irreparabili”. Eppure la “spaccatura” della community di Mouthwashing, in merito a un personaggio, fa capire quanto sia terrorizzante guardare alle nostre vite e trovare il momento in cui avremmo dovuto prenderci le nostre responsabilità e non l’abbiamo fatto. È inaccettabile, ed è questo il punto che Mouthwashing vuole raggiungere: farci sentire addosso il peso delle responsabilità che non ci siamo addossati prima. Queste responsabilità, nel videogioco, ci vengono messe sempre davanti agli occhi: dapprima attraverso l’occhio scrutante del capitano Curly (che ci osserva giudicante tra le bende come l’occhio “che pareva di avvoltoio, azzurro chiaro, con un velo sopra”, del vecchio de Il cuore rivelatore); e poi attraverso due glitch visivi: “I HOPE THIS HURTS” E “TAKE RESPONSIBILITY”.
Mouthwashing culla il videogiocatore con la sua colonna sonora ambient (qualcosa a metà tra In heaven di Eraserhead e il Ben Babbit di Kentucky Route Zero) e i suoi artefatti tramonti che spuntano negli schermi della nave, un malanconico arancione (c’è molta malinconia in Mouthwashing) che sa di pace; e poi lo disturba con un sound design di altissima qualità (le nostre orecchie non possono dimenticare cosa significa dare gli antidolorifici a Curly) e trasformando la malinconia in un rabbioso rosso di kubrickiana memoria che ci accompagna in momenti sempre più surreali nella mente di Jimmy.
Nonostante un sezione finale che arriva a essere troppo didascalica (proprio attraverso quei glitch visivi che tanto riuscivano nella prima parte) e rischia di rallentare il ritmo con l’introduzione di alcune meccaniche di gameplay nuove, Mouthwashing rimane un esempio di ottima scrittura e soprattutto di quanto il medium videoludico sappia rendere il genere horror qualcosa di mai visto prima, un’esperienza che comunica direttamente alla moralità del videogiocatore, ricordandogli che la sera forse farebbe meglio ad alzare il culo e andarsi a sciacquare la bocca con un po' di collutorio.