Kyoto, 1877
Sei un ragazzo poco più che maggiorenne, nato in quel Giappone di fine XIX secolo nel pieno di profonde evoluzioni culturali ed economiche. Hai avuto la fortuna di crescere in un’epoca dove si inizia a respirare aria di cambiamento. Shogun e caste feudali stanno scomparendo in favore di una società meno divisa e più policentrica. La voglia di partecipazione è palpabile, la percepisci nelle persone che incontri per strada, nei luoghi di ritrovo; te ne accorgi dalle loro parole e dalle espressioni dei loro volti, serene ma al contempo risolute. E tu rientri fra loro. Senti il desiderio di non far parte più di un popolo fino a quel momento forzatamente isolato dal resto del mondo. Adesso è arrivato il momento di far parte di qualcosa di più grande, di corale.
Pur essendo vissuto in una famiglia modesta, hai sviluppato una mente incredibilmente audace e ingegnosa. Sull’onda del fermento che sta muovendo la nazione, decidi di gettarti a capofitto in un importante progetto per l’evoluzione della tua città: la costruzione del canale di collegamento da Kyoto allo storico Lago Biwa, il più grande del Giappone nonché luogo di miti e leggende millenarie. Sai che il cemento per costruirlo è valuta preziosa, a causa della scarsità di aziende che lo producono in Giappone. Sono soltanto due le realtà a cui potersi affidare: Asano Cement e Onoda Cement, e caso vuole che ti sia fatto amico le persone giuste. Fra la tua cerchia di conoscenze c’è proprio la famiglia Mitsui, cioè quella che gestisce la ditta Onoda; ed è qui che inizi a scoprire e mettere in pratica le tue doti imprenditoriali.
Un’occasione del genere non può essere sprecata, perciò decidi di rischiare e andare all-in. Acquisti una notevole quantità di cemento dalle fabbriche Onoda, la fai caricare su una barca e salpi dalla prefettura di Yamaguchi, percorrendo più di 500 km fatti di baie e insenature per giungere a Kyoto. Un’intuizione che si rivela un successo, perché questa fornitura di materie prime si rivela fondamentale per la costruzione di un’infrastruttura molto importante per lo sviluppo della capitale. L’evento si rivela epifanico, per due motivi, sia per per sentimento di maggiore appartenenza al Giappone che per averti fatto scoprire dove ti possa portare la tua intraprendenza.
Kyoto, 1889
Sono passati trent’anni dalla tua nascita. Tre decadi in cui hai assistito in prima persona ai cambiamenti che stanno portando il tuo paese a essere sempre meno arroccato su sé stesso. Studiandone la storia, hai scoperto che il tormentato periodo Muromachi (1336-1573) trovò parziale sollievo nell’arrivo dei portoghesi, finiti quasi casualmente sulle coste giapponesi nel XVI secolo. Hai letto di come, per passare il tempo durante le lunghe e gravose traversate, i marinai lusitani si ingegnassero creando giochi di carte e che questi fossero poi tramandati al popolo orientale. La fascinazione fu tale che persino l’aristocrazia nipponica finì per appassionarsi all’esotico passatempo delle Karuta, storpiamento della parola Carta. Ogni mazzo era composto da 48 carte contrassegnate da 4 semi: Isu (spade), Koppu (coppe), Pau (bastoni) e Ôru (denari). Ogni seme marcava le carte dall’1 al 9 e le tre figure: Kaba (cavaliere), Sôta (fante) e Rei (re).
Provasti un senso di frustrazione nello scoprire che gli shogun del periodo Edo (1600-1868) videro nelle Karuta, ma più in generale nell’influsso europeo, una minaccia per la cultura e la tradizione nazionale. Arrivò quindi la decisione di chiudere le frontiere e bandire i giochi di carte, ritenuti immorali per il loro aspetto edonistico e traviante. Essere beccati a trasgredire significava essere additati come negazionisti dei precetti dell’imperatore; nei casi più gravi si rischiava addirittura di essere bollati come seguaci della cristiana, con conseguente pena di morte.
Fortunatamente la minaccia delle navi nere del commodoro americano Perry persuase il Giappone a interrompere quel cocciuto isolamento. Anche perché, come avverrà un secolo dopo nella Cina del rivoluzionario Deng Xiaoping, il Giappone si rese conto che, sotto sotto, per crescere ed evolversi avrebbe aiuto copiare chi stava meglio di sé. Perciò ben venga l’ingresso dell’occidente! E ben vengano le sue tentazioni ludiche! Specie se queste possono allietare persone come te, che adesso possono finalmente dilettarsi nel gioco d’azzardo alla luce del sole. Certo, il fascino di aggirare le regole ti ha sempre solleticato, ma in fondo ti senti sollevato dal non dover più ritrovarti invischiato in circoli illegali di dubbia matrice.
L’era Meiji (1868-1912) è una vera e propria rivoluzione per gli usi e costumi del tuo Giappone, e a simboleggiare questa rinnovata apertura al mondo esterno c’è il Rokumeikan. Di costruzione recente, l’edificio dal gusto architettonico tipicamente europeo diviene presto luogo di incontri, feste, ma anche scambi internazionali. E fra le sue mura si alimenta proprio la diffusione delle sempre più amate carte da gioco. Possiamo dirlo: è scattata la Karuta-mania, e la tua mente alacre coglie una nuova opportunità. Perché dall’essere un frutto proibito per ricchi annoiati, con la giusta idea imprenditoriale potrebbero diventare un passatempo per tutti i ceti.
Dopo aver cominciato in giovane età come costruttore edile, decidi di prendere in mano la tua vita lavorativa e virare altrove, per soddisfare veramente la tua anima ludica. Negli anni ti sei costruito una carriera come artigiano di giocattoli, riuscendo a fondare una bottega tutta tua nel quartiere di Ohashi, in quel di Kyoto. Ti sei anche creato una nutrita clientela e, un giorno, è uno dei tuoi clienti più assidui a farti notare l’assenza di un’insegna fuori dall’attività. La tua prima reazione è composta ma scocciata: non hai tempo per pensare a questioni così polverose e burocratiche. «Roba da adulti», borbotti fra te e te con fare stizzito quando il cliente se ne va, mentre ti arrovelli per elaborare un piano per far spopolare i giochi di carte.
È sera, la giornata lavorativa si è conclusa e giunge il momento di rincasare. Ripensi alle sue parole quando, lungo la strada per la tua dimora, ti accorgi che effettivamente tutte le botteghe del quartiere hanno un’insegna che ne adorna l’esterno. Per quanto una parte di te sia caparbiamente immatura, la comprensione delle dinamiche di mercato non ti manca e capisci che quel cliente tutti i torti non li aveva. <<Ogni bottega che si rispetti ha un nome>>, pensi ad alta voce, mentre ti distendi sul futon. Fissando il soffitto, affastelli i pensieri per trovare la risposta a un dilemma che scopri essere più complesso di quanto avresti creduto. Provi a non pensarci e a cercare riposo, ma l’impellenza di trovare un nome sono più forti della stanchezza. Improvvisamente, ecco che arriva l’illuminazione. Ti alzi, prendi lo yatate dall’armadio e segni sul primo foglio che trovi la data odierna e il nome che hai deciso simboleggerà la tua creazione. Finalmente puoi crollare, soddisfatto, fra le braccia di Morfeo.
“23 settembre 1889,
Yamauchi Nintendo”
La mattina seguente ti svegli con un sentimento rinnovato. Adesso che la tua bottega ha un nome, tutto assume connotati più concreti, e capisci che è arrivato il momento di fare quel salto di qualità a cui stai lavorando. Costruire e vendere giocattoli ti soddisfa, certo, ma ripensi ai divertimenti fra le mura del Rokumeikan e al vizioso mondo delle carte da gioco. Ripensi a quei giorni passati a sfuggire alla legge di bisca in bisca, obnubilato dai piaceri del gioco d’azzardo. Perché non rendere alla portata di tutti quello che fino ad anni fa era un passatempo tanto appetitoso quanto inaccessibile? Ti decidi quindi ad assemblare un gruppo di giovani volenterosi che, come te, credano con fervore nel progetto. Un team di lavoro con cui fondare un vero e proprio impero delle carte, in barba agli ormai obsoleti moralismi delle autorità.
Studiando il mercato, tra le tipologie di carte in circolazione la tua scelta ricade sulle cosiddette Hanafuda. Nel lento processo di sdoganamento delle Karuta, ti sei accorto che potresti avere più facilmente successo affidandoti a un modello che corra sul labile confine tra semplice passatempo e gioco d’azzardo. Un processo iniziato fra XVI e XVII secolo, con le prime carte Tenshô e Unsun Karuta spacciate come semplici “giochi di prestigio” ma finite comunque vittime del ban. Si passò poi ai modelli Dôsai e Mubeyama Karuta, creati per imitare le carte da gioco per bambini (cioè le Iroha e Uta Karuta) e ingannare così gli ispettori dell’imperatore.
Arrivi alla conclusione che le Hana Karuta, rinominate poi come Hanafuda, potrebbero essere il compromesso ideale. I mazzi sono sempre da 48 carte, ma questa volta i numeri vanno da 1 a 12 per rappresentare i mesi dell’anno e soprattutto con illustrazioni vicine alla tradizione giapponese. Lo stile ricalca quello dei giochi Uta-Awase e Kai Ôi, cioè gli antenati delle carte vere e proprie, quando al loro posto venivano utilizzate conchiglie appositamente adornate. Anziché adottare lo stile grafico europeo, quindi, le Hanafuda riprendono quello stile illustrativo fatto di rappresentazioni floreali e faunistiche delle terre nipponiche.
Ti serviranno uomini e donne in gamba, però, perché le catene di montaggio sono ancora un lontano miraggio e avrai bisogno di molta manodopera per la produzione di un oggetto del genere. Sì, perché le carte necessitano di essere realizzate a mano mediante un tedioso processo che unisce sottili lamine di gelso ad argilla e cellulosa. Non solo: anche le affascinanti stampe tradizionali che le adornano vanno realizzate mediante appositi stampi artigianali in legno.
Kyoto, 1907
I presupposti affinché un’idea così onerosa riuscisse a fare breccia con facilità nel mercato giapponese non c’erano, ma tu sei riuscito comunque nell’impresa. E diciamocelo: l’idea di scegliere le carte Hanafuda è stata azzeccata, ma la buona riuscita del progetto è da ricondurre anche a una tua certa propensione al gusto del proibito. Mentre rifornisci di carte i negozi di giocattoli di tutta Kyoto, di tanto in tanto il pensiero ritorna agli anni del proibizionismo, quando la febbre dell’azzardo ti portava a cacciarti in contesti illegali della peggior specie. E ti ritorna in mente quella notte quando, in una bisca fuori dai sobborghi, l’occhio ti cadde su una persona dall’aria insolita. Capisti subito che lui non era il tipico frequentatore di bische, perlomeno non sotto il profilo del vestiario. Indossava scarpe di pelle e un abito di stampo occidentale in lana, di un rosso sgargiante che trasudava opulenza ed esclusività. Ciò che attirò ancora di più la tua attenzione fu il quantitativo di sigarette che consumava senza soluzione di continuità. Incuriosito, chiedesti informazioni su di lui al biscazziere di turno che ti rivelò il suo nome, o meglio, il suo soprannome: il Re delle Sigarette. Indagando, anni dopo scopri che il suo vero nome è Murai Kichibei e che deve il soprannome non tanto al vizio, quanto al fatto che egli è nientepopodimeno che il proprietario della Nihon Senbai. Ecco spiegato il perché trasudasse opulenza: la sua azienda ha il monopolio sul tabacco in tutto il Giappone!
Sono anni duri, quelli di inizio 1900. La tua nazione accusa le ferite dello scontro bellico che imperversa con la Russia e molte aziende finiscono inevitabilmente sul lastrico. Ma tu non vuoi fare la loro stessa fine. Il sol pensiero di tornare alla vita di prima non ti fa dormire la notte e ti provoca forti crampi allo stomaco. Anche perché, per quanto la crisi economica a causa della guerra giochi il suo ruolo, in cuor tuo sai il mercato delle carte è in fase di saturazione da ancor prima della guerra. Non sono molti i clienti rimasti a Kyoto e prefetture limitrofe a cui poterle piazzare: le tue carte da gioco costano, vuoi per la cura manifatturiera, vuoi per gli alti costi di produzione. Ma come la vita ti ha già insegnato, che è quando sei con le spalle al muro che l’ingegno si aguzza; ed eccola arrivare, l'epifania.
Ripensando al Re delle Sigarette, capisci che un’alleanza potrebbe rivelarsi fondamentale per permetterti di portare avanti il tuo sogno imprenditoriale. Anche se questo significherebbe associare le tue carte al controverso mercato del tabacco. Per quanto contrastante, questa mossa riconferma la tua audacia, nonché visione, capacità di adattamento e fiuto per gli affari. Oltre ai farmaci, le sigarette sono l’unico prodotto a godere di una rete di distribuzione nazionale, fattore che permetterebbe alle tue carte di potersi diffondere in tutto il Giappone. Per la loro natura peccaminosa, tabagismo e gioco d’azzardo sembrano nati per andare a braccetto.
Riesci a prendere un appuntamento alla Nihon Senbai. Dopo pochi giorni, ti dirigi verso l’ufficio di Kichibei, situato nel più grosso palazzo nel distretto di Toranomon, a Tokyo. Mentre attendi il tuo treno, cammini ossessivamente fuori dalla stazione mentre ripercorri mentalmente il piano da esporgli, dove sigarette e carte saranno prodotti complementari da proporre al cliente per un’esperienza ancora più completa. La tua idea di business dovrà essere quanto più convincente possibile o i tuoi sogni ludici andranno in fumo. O forse sarebbe più corretto “non andranno”, in fumo (ironia, nda).
Dopo un attimo di esitazione, ti decidi di varcare il portone in legno finemente intarsiato all’ingresso del palazzo, ritrovandoti in una sfarzosa hall dove ad accoglierti c‘è una signorina piuttosto imbellettata. «Il sig. Kichibei era qui poco fa» ti risponde, un’informazione che avevi già colto dalla cortina fumogena che aleggia fra le mura della stanza di ricevimento. Fortunatamente per i tuoi nervi non devi attendere molto: dopo pochi minuti, il “Re” è pronto a riceverti. Sali al terzo piano, varchi la porta del suo ufficio e ti accorgi presto di trovarti di fronte a una persona taciturna, di poche parole: dopo averti ascoltato in silenzio esporre il tuo piano machiavellico, basta un suo semplice cenno con la testa per farti capire di essere a cavallo.
Kyoto, 1930
Quando pensi al tuo passato, capisci di aver vissuto una vita piena di soddisfazioni. C’è un unico tarlo che, sotto sotto, scava la tua mente: non aver nessun figlio maschio a cui affidare l’azienda che con tanta lena hai costruito in tutta la tua vita. Provi a non pensarci, e per farlo ti culli malinconico nei ricordi di gioventù, provando a rivivere nella mente le sensazioni di quegli anni da fuorilegge, rifugiato nell’intimità delle bische di Kyoto. Ripensi anche ai primi anni della tua impresa (in tutti i sensi) nel mondo delle carte da gioco. Un sorriso torna a solcarti il viso quando a salirti alla mente è quella notte insonne che portò alla concezione del suo nome:
“23 settembre 1889,
Yamauchi Nintendo”
L’importanza di chiamarsi Nintendo
Quando pensiamo a un brand, un elemento importante ma che spesso passa in sordina è la motivazione del nome scelto per definirlo. La sua sigla deve essere memorabile, suonare bene all’orecchio, e possibilmente rispecchiarne l’animo che ne ha mosso la nascita e la sua storia. Per esempio, “Samsung” in coreano significa “Tre stelle”, unendo il potere della simbologia spesso religiosa del numero 3 all’eternità delle stelle nel firmamento. Oppure “Sony”, cioè l’unione delle parole “sonus”, suono in latino, e “sonny”, slang americano per indicare il target giovanile.
Sono abbastanza sicuro che molti di voi non ne sapessero il significato, ma poco male. Negli anni, l’obiettivo delle compagnie è quello di costruirsi un’immagine così forte da renderla intrinseca del brand, al netto del significato originario del nome iniziale. Chiedere a un videogiocatore cosa susciti in lui la parola “Nintendo” spesso significa accendere il proiettore di un cinema mentale dove a essere trasmesso è un film dalla color correction calda e avvolgente, dalla colonna sonora rassicurante e con attori a cui ci si affeziona facilmente.
Più passa il tempo, più la Grande N palesa la volontà di slegarsi dai canoni del mondo videoludico odierno. Mentre le opere diventano sempre più mature e prossime alla realtà, sia nei temi che nella realizzazione tecnica, Nintendo conserva tenacemente la sua verve più squisitamente ludica. Tolti gli ovvi meriti anagrafici, se oggi un platform come Super Mario Odyssey riesce a piazzare più di 20 milioni di copie è proprio in quanto baluardo di quella giocosità pura, genuina, a tratti puerile ma che è ormai merce rara. Sony e Microsoft sono riuscite nell’ammirabile intento di creare piattaforme meno identitarie e dove ogni espressione videoludica trovi spazio con facilità. Una democrazia ludica che ha evidenziato (e anche assecondato) una tendenza di mercato che sembra voler mettere da parte la giocosità fine a sé stessa. Red Dead Redemption, God of War, Horizon, The Last of Us, Death Stranding, Spiderman: queste sono soltanto alcune delle opere più giocate, chiacchierate e vendute dell’ultima generazione. Cambiano le tematiche, ma tutte hanno in comune una certa propensione ad abbracciare un’espressione artistica che alcuni definirebbero “più completa” o “più matura”, ma che spesso può finire per essere solo “più cinematografica”.
Potremmo parlare in lungo e largo della volontà, o forse potrei dire dell’urgenza che le case videoludiche stanno manifestando con questo tipo di approccio. Un’urgenza che, anziché essere dettata da un qualche tipo di esperienza acquisita e quindi da una scelta stilistica, pare più esserlo dalla quantità di investimenti economici in ballo da parte dei vari publisher. Un’urgenza che, a parer mio, rischia di imbastardire troppo un medium che, con le milionarie vendite dei Super Mario Odyssey e i Breath of the Wild di Nintend-iana fattura, dimostra come questo trend non sia una necessità puramente commerciale. Certo, usare il mercato videoludico per creare qualcosa di “serio” è una scelta condivisile e a tratti fisiologica. Basti pensare a Metal Gear Solid, baluardo del videogioco adulto ma che non sacrifica quella componente più tipicamente giocosa, che si tratti di meccaniche, dialoghi o direzione artistica.
Oggi fare un videogioco 18+ è decisamente più alla portata di tutti, vuoi per consapevolezza che per mezzi tecnici. Ma quando esasperato, è un approccio che dimostra un qualche tipo di sindrome di inferiorità nei confronti della più matura arte cinematografica. E sembra evidenziare una qualche sorta di imbarazzo nei confronti della presenza della parola “gioco” in “videogioco”. Lo stesso Kojima di MGS ha peccato in tal senso con il succitato Death Stranding, un titolo impreziosito da elementi tipicamente cinematografici ma che trae la sua vera forza dalla componente più ludica. Chi di voi ha trovato più soddisfacente guardare quell’interminabile loop di cutscenes finali anziché immergersi nella parte ludico-gestionale e psico-geografica del mondo creato da Hideo? Il tutto impreziosito da elementi decisamente puerili: dopo aver affrontato BT, Muli e Terroristi, non c’è niente di meglio che piroettare in acqua grazie al cappello da lontra.
Negli ultimi decenni, Nintendo si è accorta di avere più successo quando gioca nel suo campionato e non cerca di seguire la scia delle rivali. Se si esclude la sfortunata GameCube e la dimenticabile Wii-U, non è un caso che Nintendo 64 abbia ingiustamente venduto meno della metà delle unità di SNES piazzate nella generazione precedente. Nonostante titoli del calibro di Super Mario 64, Mario Kart 64, il duo Ocarina of Time & Majora’s Mask e GoldenEye, nulla poté contro lo strapotere della creatura di Ken Kutaragi. L’approccio adottato da Sony per l’esordio sugli scaffali di PlayStation era dirompente e soprattutto puntava a una platea fino a quel momento trattata quasi da imberbe. E dopo l’avvento della ancor più apprezzata PlayStation 2, qualcuno ai piani alti di Nintendo capì che c’era bisogno di cambiare traiettoria.
Se Sony traeva forza dalla sua appartenenza al mondo “macho” e “cool” dei gadget elettronici, Nintendo decise di rivendicare il proprio ruolo di giocattolaio del nuovo millennio, una mossa che prese concretezza nel 2006 con il lancio di Wii. Una console a cui viene attribuito un successo a tratti falso, ma che ha innegabilmente rappresentato un cambio di passo importante per Nintendo. Dagli spot “Get N or Get Out” per N64 o quelli in stile Chris Cunningham per GameCube, il focus si spostò al divertimento per tutta la famiglia. Pubblicità che sembravano partorite più dal reparto marketing di LEGO che da quello di un’azienda videoludica: non a caso, recentemente le due compagnie hanno siglato un tanto tardivo quanto scontato sodalizio. Scontato proprio per il tipo di comunicazione, spesso fanciullesca e mirata a trasportare in mondi paralleli lontani dalla realtà.
Cosa significa Nintendo?
Per Nintendo, il mondo videoludico degli anni 2000 fu come tuffarsi in un mare mosso, dove stare in superfice significava venire sballottati dalle onde generate dalla sfida fra Sony e Microsoft. Anziché lottare per non naufragare, Nintendo decise di immergersi nel proprio mondo e osservare il turbinio della marea dal fondale. L’enorme successo commerciale della generazione Wii non era da attribuire alla conta dei poligoni, ai TFLOPS di un hardware nato vecchio o all’hype malato tipico della console war. Wii era quel luogo accogliente dove potessero sentirsi accettati anche coloro che erano soliti scostarsi dall’ostica agorà videoludica. Sarebbe azzardato non tenere di conto anche della componente economica (249€ contro i 399€ di Xbox 360 e i 499€ di PS3), una sfaccettatura importante ma superflua ai fini di questo racconto.
Con tutto questo in mente, prendiamo gli ideogrammi della denominazione sociale di Nintendo: “任天堂”. La loro traduzione diventa “lascia la fortuna al cielo”, o anche “lascia la sorte nelle mani degli dei”. Un significato che rispecchia l’idea che Nintendo vuole proiettare di sé, dove l’ideogramma “dō” può essere tradotto in “santuario”, o anche… “luogo accogliente”. Peccato che della veridicità di questa traduzione degli ideogrammi non ne sia sicuro neppure Hiroshi Yamauchi, storico presidente che dal 1949 al 2002 ha portato Nintendo a diventare il colosso che oggi conosciamo e apprezziamo.
A tal proposito, c’è un’altra interpretazione: non è ufficiale, ma sembra calzare decisamente a pennello il vissuto del fondatore Fusajiro Yamauchi. Sì, sto parlando di quel ragazzo che è passato da far costruire canali per la città di Kyoto a creare quella che oggi conosciamo come Nintendo. Come avrete letto, la gioventù di Fusajiro fu turbolenta, combattuta fra un’accesa verve lavorativa e una certa tendenza ai piaceri della vita. Passava nottate dentro a quelle bische clandestine, luoghi proibiti e libidinosi ma che gli permisero anche di saggiare con mano le potenzialità delle carte Hanafuda. E se vi dicessi che è proprio da questi luoghi loschi che deriva il nome della “innocente” Nintendo?
Vi ho raccontato di quanto fosse complesso produrre le carte Hanafuda, un prodotto che ambiva a essere di larga diffusione ma limitato da antitetiche procedure artigianali. Delle carte prodotte quotidianamente, un discreto quantitativo veniva scartato in quanto non rispettava gli standard qualitativi richiesti. Ma a un certo punto Yamauchi decise di riciclare questi scarti per rivenderli a prezzi più accessibili e ampliare ulteriormente il suo bacino di clienti. Il nome che venne dato a questa serie di carte fu Tengu, traendo ispirazione dalle tradizionali creature del folklore nipponico caratterizzate dal lungo naso rosso. Se Yamauchi scelse questo nome fu sì per l’iconografia del suo Giappone, ma anche per celebrare, in maniera forse neanche troppo celata, il periodo più scabroso della sua gioventù.
Come ogni epoca proibizionista, anche quella Edo portò alla creazione di un sistema di messaggi in codice che permisero ai più audaci di aggirare il ban del gioco d’azzardo. Occorre precisare che la parola “hanafuda” (花札), che si traduce in “mazzo di fiori”, prende origine dalle illustrazioni floreali con cui venivano abbellite le carte. Allo stesso tempo, gli ideogrammi delle parole “fiore” (花) e “naso” (鼻) sono sì graficamente diversi ma in giapponese si pronunciano entrambi “hana”. Aggiungiamoci che, nel periodo Edo, la figura del Tengu veniva utilizzata dal ceto contadino per indicare l’eccentricità del vestiario dei visitatori portoghesi. Esatto, proprio quei portoghesi che importarono le carte da gioco nel Paese del Sol Levante. A questo punto, i giocatori di contrabbando fecero 2+2: perché non sfruttare questa combinazione di mitologia e giochi linguistici in loro favore? Se sapevi in quale locanda entrare, bastava avvicinarsi al bancone e strofinarsi con insistenza il naso (quasi a farlo diventare simbolicamente rosso, in stile Tengu) per far capire al locandiere le tue reali intenzioni. In questo modo, saresti stato segretamente accompagnato in una saletta dove poter dare sfogo alla ludopatia, in barba al proibizionismo.
Non scopriamo certo oggi quanto sia complesso interpretare correttamente il sistema degli ideogrammi asiatici. Per esempio, riprendiamo quelli della parola Nintendo:
“任天堂”
Non notate una certa somiglianza con quelli della parola Tengu?
“天狗”
花札
Anche sulla base di quanto appena raccontato, successive interpretazioni traducono “Nintendo” non più in “lascia la fortuna al cielo”, bensì in “lascia le hanafuda libere”. Una traduzione che, per quanto non trovi ufficialmente riscontro da alcuna parte (così come non lo trova la traduzione attuale), calza alla perfezione con il sentimento che ha guidato Yamauchi alla fondazione di Nintendo.
“Nintendo e l'importanza del gioco d'azzardo” è un testo romanzato basato sulle informazioni storiche tratte dal libro “La storia di Nintendo”, di Florent Gorges e Isao Yamazaki. Potete acquistarlo su Amazon da questo link.