Ho sempre trovato No Man’s Sky un gioco estremamente affascinante, anche al suo day-one, quando lo comprai per 60.00 Euro. Credo di essere stato una di quelle poche persone che lo abbia sempre apprezzato. La sua possibile infinitezza, non solo mi affascinava, ma mi spaventava, mi terrorizzava. L’impossibilità di poter esplorare tutto l’esplorabile, all’interno dell’opera di Hello Games, è forse il passo più vicino, dell’essere umano, alla realizzazione dell’infinito. Un gioco sterminato, un gioco che non ha confini, poiché essi stessi vengono proceduralmente ricreati all’infinito. L’orrore cosmico dell’inconoscibilità, del non limite, della mancanza di un termine, della fine. L’universo nella sua incalcolabile vastità programmato su software. Esplorare l’inesplorabile, sapendo che non potrai mai vedere tutto. L’universo infinito, illuminato da infinite stelle, corpo di una divinità che nasconde la sua faccia nell’oscurità del creato e siede su un trono composto dal caos.
L’impossibilità di avviare No Man’s Sky, per il terrore dell’infinito, mi affascina, mi mette di fronte alla mia finitezza. Mi ricorda che sono un essere umano, che la mia vita avrà un termine, che non c’è più tempo da perdere, ma quanto sarebbe bello perdersi vagando per le stelle in cerca di mondi di pixels sconosciuti, inesplorati e alieni? Quanto sarebbe bello cedere alle nostre credenza, squarciare il velo di Maya e scoprire che c’è altro oltre alla realtà? E se così fosse, perdersi nella storia, nell’arte, nella noia. Smettere di avere l’urgenza di vivere, fermarsi per l’eternità nel battito del tempo della nostra vita. Non guardare mai indietro. Godere di tutto, del tempo finito gettato in attività non retribuite e inutili. Ammazzare il tempo, con la promessa che l’infinito ci attende. Scoprire che il cielo non appartiene a nessuno, e che abbiamo l’eternità a nostra disposizione per conoscerlo e farlo nostro.
Ma così non è. Però è bello, ogni tanto, fermarsi e chiedersi “e se fosse?”.
No Man’s Sky mi terrorizza.