Quando s'invecchia c'è sempre il momento ricorrente in cui, solitamente la notte prima dormire, si fa il punto della propria vita. Questo vale per me anche per il percorso videoludico.
Ho sempre considerato Silent Hill 2 uno dei miei titoli preferiti di tutti i tempi, una pietra miliare nella mia strada da smanettone di videogiochi. Le motivazioni sono le più diverse, ma quella principale è che la sua storia e le riflessioni che ne derivano sono e rimangono senza tempo. Ciò fa di Silent Hill 2, a dispetto degli anni e dell'obsolescenza tecnica, un'opera videoludica imprescindibile per la propria crescita personale.
Mentre guardavo la conferenza di Konami e bestemmiavo una divinità non ben definita per poi pregarla che Bloober team non rovinasse tutto, mi sono reso conto con una certezza tristezza che le emozioni che ho provato giocando Silent Hill 2 rimarranno, nel bene o nel male, quelle del lontano 2001.
Se la scienza mi permettesse di cancellare tutti i ricordi connessi ad esso, lo farei senza esitazione.
Per rivivere la sua storia come se fosse la prima volta? No. “Rivivere” è un termine inesatto.
Siamo, come esseri umani, irrimediabilmente intrappolati al momento presente. Ed ogni fatto che noi interpretiamo non può che passare da un filtro composto dai ricordi e dalle esperienze che abbiamo collezionato fino a quel punto. Per questo la parola “rivivere” è tremendamente fuori fuoco: io non sono quello di diciannove anni fa e oggi Silent hill 2 scaturirebbe emozioni e riflessioni diverse. Guardando idealmente al passato, mi rendo conto di come il me stesso tredicenne abbia sottovalutato l'opera del Team Silent, nonostante il ricordo indelebile che ha lasciato nella mia memoria.
Ho avuto la fortuna di avere un'infanzia tutto sommato spensierata e per me quella “malattia” che si era portata via Mary, la moglie di James, era un indefinito tragico evento. Difficilmente potevo comprenderne il peso. Un po' come quando da bambino guardavo un lungometraggio Disney: il povero padre di Cenerentola moriva, ma io ero triste il giusto. Ignaro di cosa ci fosse dietro quell'accaduto.
Ma la vita continua, il tempo scorre, e quella malattia diventa sempre più concreta. Acquisisci una consapevolezza che non avresti mai voluto avere. Ed oggi mi chiedo come sarebbe stato immergersi in quella tragica storia con vent'anni di ritardo: le parole tremanti di Mary mentre legge la sua lettera di addio al marito avrebbero avuto lo stesso significato? A quel tempo potevo davvero comprendere la tragicità di un rapporto affettivo distrutto da un male incurabile?
Così ripenso anche alla figura di James: la quintessenza dell'uomo medio investito da qualcosa che non può gestire, incapace di stare a schiena dritta contro le avversità. Una personaggio il più lontano possibile dall'archetipo dell'eroe, ma come tale dolorosamente vero. Egli è il potenziale riflesso nello specchio di ognuno di noi: lo biasimiamo per la sua inettitudine, ma quel biasimo non è che la intima paura di essere come lui. Lo odiamo per il gesto estremo commesso nei confronti della moglie, ma intimamente ci chiediamo se non fosse l'unica cosa da fare, giustificando quell'egoistico atto come un moto di pietà.
Questo è il vero orrore di Silent Hill 2: vomitarti addosso la cruda e spietata realtà. Farti perdere dentro quell'abisso oscuro che è la storia di James, con la paura che ad ogni momento essa possa mettere a nudo te stesso.
Per questi motivi provo un pò d’invidia per quelli che, presi dalla curiosità, decideranno di scoprire il titolo originario ora che il franchise è tornato alle luci della ribalta. A loro auguro di trovarsi nel momento più adatto per giocarlo. Il mio, purtroppo, è già passato.