[ATTENZIONE! SPOILER WARNING PER NIER:AUTOMATA E MGS:V]
Singhiozzando ed annaspando, la Next-gen è finalmente arrivata. E ad ogni cambio generazionale, le domande che mi pongo sono più o meno sempre le stesse: quali figate vedremo con questa nuova potenza tecnologica? Quali possibilità si aprono?
Quando si è piccini e, soprattutto, quando la stessa industria videoludica lo è, diventa abbastanza facile meravigliarsi. Ricordo ancora le immagini della tech demo di Namco per Playstation 2, in cui c’era la tipa vestita in bianco che ammiccava alla telecamera. Là il solo salto grafico era qualcosa di pauroso che ti spaccava la mascella. E sì, parlo di immagini perché ho potuto vedere l’intero video da cui era stata estrapolata la foto solo decenni dopo grazie a Youtube. Pensate la vecchianza.
Ma senza andare così avanti nel futuro, la stessa introduzione del controller analogico nella generazione precedente è stata a modo suo una piccola rivoluzione. Ape Escape per Playstation 1 giocato attraverso gli stick mi dava una sensazione di controllo unica ed abituarmi ad essa è stata quasi un’avventura a sé.
Come un drogato alla sua terza dose di eroina, tuttavia, la sensazione di stupore non è rimasta la stessa nel corso degli anni. La prestanza computazionale aumentava e con essa le prestazioni grafiche, ma la sensazione di meraviglia che provavo (che potremmo chiamare in termini da professoroni il tasso marginale di figata) non era più così prorompente. Certo, rimaneva sempre interessante, da un punto di vista tecnico, vedere che l’intero cast de Il Signore degli Anelli (orchetti inclusi) poteva stare a schermo senza cali di frame rate, ma pad alla mano che cosa mi rimaneva? Alla fine si trattava degli stessi archetipi a cui ero stato abituato molto tempo fa, ma migliorati a livello tecnico. Il che, sia chiaro, rimaneva una figata stratosferica, ma come detto prima il mio tasso marginale di figata decresceva all’aumentare della potenza “bruta”. Battezzo quindi la teoria del tasso di figata decrescente: all’incrementare della tecnologia corrisponde un aumento di figaggine minore al precedente.
Questa teoria si applica anche ad un altro cambio di paradigma che abbiamo avuto nella storia del videogioco, ossia quello avvenuto attraverso il multiplayer online. Che figata era giocare a Ragnarok Online nelle lunghe notti d’inverno assieme al mio caro amico healer cinese? Per non parlare di Ultima Online. Era davvero una svolta e lo rimane, poter giocare con persone da tutto il mondo, ma anche il multiplayer online ha mostrato, devo dire quasi in maniera a me sorprendente, i suoi limiti.
Limiti derivanti, permettemi qui un’asocialità che non mi appartiene, dall’essere umano. Se c’è una cosa che mi ha insegnato il giocare online è che puoi creare il miglior multiverso di sempre, ma la maggioranza delle persone che lo abiterà sarà sempre la stessa: dei disturbati mentali rosiconi che sfogano la loro frustrazione insultandoti la madre. Non fraintendetemi, grazie a Lineage II, World of Warcraft e Final Fantasy XIV ho conosciuto persone fantastiche, ma dal punto di vista strettamente ludico credo che anche il gioco online, dopo una fantastica evoluzione, si sia un po’ attorcigliato su se stesso ed incancrenito riproponendo sempre la stessa minestra riscaldata.
Ed alla fine, oggi per me si ripropone lo stesso dilemma. Sì, ok, figata l’SSD, figata la sua applicazione per creare immediatezza nel videogioco, ma davvero lo vogliamo adoperare solo per caricare più velocemente il prossimo Call of Duty o il prossimo Fifa? Il videogioco è interattività, risposta agli stimoli del giocatore che il software registra ed ai quali replica di conseguenza. Non è un’auto da corsa. Non ci serve che vada più veloce, per quanto auspicabile, ma che risponda ai nostri input in modi a cui non abbiamo ancora pensato.
Mi ci sono volute due generazioni, prima della nuova, per fare un po’ di ordine nella mia testa e focalizzare esattamente cosa vorrei vedere evolversi e che io personalmente chiamerei “vera” next-gen. Siccome non sono un genio, per mia fortuna ci hanno già pensato alcuni noti game designer a tracciare una via alla quale guarderei con interesse. E, grossa sorpresa, queste persone non hanno cominciato ieri.
Come detto prima, l’unicità del videogioco sta nella sua interattività, ma come è stata sfruttata? Redigere una lista completa sarebbe troppo lungo e noioso, pertanto prenderò solo ad esempio quelle opere videoludiche in cui, secondo me, si è cercato di fare un passo avanti.
Il caso più importante che mi viene in mente si trova in Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, all’interno del quale è stato prevista la possibilità di sbloccare una sequenza animata alla condizione che tutte le basi dei videogiocatori, registrate online, siano prive di testate nucleari. Se ciò avverrà, questo filmato sarà disponibile per tutti. Ci sono due modi per arrivare a questo risultato: disarmare volontariamente una testata costruita oppure invadere una base avversaria per rimuoverla. Si tratta di una meccanica semplice, quasi banale da un punto di vista strettamente ludico, ma meno banale è il messaggio che, attraverso l’interattività permessa dal videogioco, Kojima ha voluto regalarci.
La prima cosa che ho pensato è stata infatti:”Non ci devono essere missili nucleari in TUTTE le ps4 del mondo? Bah, ma è impossibile, basta uno stronzo per rovinare tutto, non vedrò mai quel filmato.” E dopo aver finito di farfugliare quelle frasi da gamer rosicone, mi è esploso il cervello. Il messaggio era proprio quello: vedere un mondo senza delle armi così terribili è tanto difficile da essere impossibile, soprattutto se esso dipende dagli egoismi del singolo. Ma nel piccolo universo di Metal Gear Solid a noi giocatori è stata data la possibilità di lottare ed impegnarci in uno sforzo collettivo per avere un mondo migliore. Per una volta la formula vuota che sentiamo molto spesso (“le azioni del giocatore avranno un peso”) in quel caso ha avuto un significato concreto. Immaginate quanto possa essere potente veicolare un messaggio autoriale in questo modo, sia esso una visione politica o semplicemente artistica.
Per me quello di The Phantom Pain risulta un esempio perfetto, perché unisce la profondità di un gioco single player con le possibilità d’interazione, non troppo pervasive in questo caso, derivanti dall’online. Ed in questo fortunato connubio, si è fatto un importantissimo passo in avanti nell’utilizzo delle potenzialità del medium videoludico. Ma non si tratta di certo dell’unico.
Il secondo, per me forse più memorabile a livello emotivo, si trova in Nier:Automata. Nell’opera di Yoko Taro ci viene data la scelta, una volta finito il gioco, di aiutare un altro videogiocatore a finire la sezione bullet hell che si trova nelle parti finali dell’avventura. Di fatto, completare quella parte senza aiuti, per me che non sono per niente un esperto del genere, sarebbe stato impossibile. Ma la figata (e qui il tasso di figata marginale va alle stelle) è che tutto ciò avviene in modo delicato, diluito, passo per passo. All’inizio fallisci(e bestemmi) ma un messaggio spunta sullo schermo:”Non demordere, anche io ho sofferto come te”, by Sventrapapere92. Ed eccola lì, la navicella di Sventrapapere92 comandata dalla CPU, che ti fa da scudo umano e ti aiuta a superare quell’ostacolo prima insormontabile. Andando avanti in quell’inferno di proiettili, alla fine il mio coraggioso aiutante cade, viene distrutto. Ma grazie al suo sacrificio mi permette di vedere finalmente la fine.
E lì, arrivato al traguardo, capisco tutto. Capisco il peso del sacrificio dell’eroico Sventrapapere92, caduto per permettere ad un incapace come me di farcela. Ne sono conscio perché anche a me, adesso, viene fatta la stessa offerta che tempo addietro è stata fatta a lui: avrò la possibilità di aiutare qualcun altro nella stessa difficile prova in cui mi sono cimentato. Un gesto indubbiamente nobile, ma non senza un prezzo: la cancellazione dei dati di salvataggio. Tutti i miei progressi, forse la cosa più preziosa per un giocatore, andati. Non ci penso due volte, ma il carinissimo POD mi ricorda il peso della mia azione: “l’aiuto che darai potrebbe finire ad una persona che odi o a qualcuno che non se lo merita, nonostante tutto questo vuoi ancora farlo?”. Ed è qui che quel maniaco e sadico di Yoko Taro mi permette di compiere un vero sacrificio. Un atto di eroismo, nel suo piccolo, che forse regala l’ingenua illusione di aver fatto qualcosa di epico. Un’epicità, quella di sacrificare qualcosa a noi prezioso per beneficiare uno sconosciuto, che difficilmente troveremo nella vita di tutti i giorni.
Ci sono tantissimi altri esempi su cui sarebbe bello soffermarsi, ma con questi spero di aver chiarito il mio punto di vista.
Forse si tratta solo del sogno irrazionale di un bambino, ma spero che il progresso tecnologico possa aiutare il medium videoludico a creare esperienze più simili a quelle che ho descritto e che non si sostanzino nella mera iterazione di modelli già visti e rivisti ma con più poligoni. Avere il potere di salvare la vita, seppur virtuale, di uno sconosciuto rischiando la nostra come ultimo gesto eroico, non è forse questo qualcosa di veramente next-gen? Se c’è davvero qualcosa verso cui dovrebbe tendere il nostro medium, per me, è sicuramente questo aspetto.