Era il 200X, facevo un Istituto Tecnico Industriale Statale a indirizzo Informatico, per capirsi, quel tipo di Liceo che si considera venga scelto da chi non ha voglia di studiare.
La lezione era quella d’informatica e il compito era semplice: scegliere un progetto e programmarlo per fine anno, una sorta di tesina interattiva. Totale libertà per il linguaggio usato e il tema. Naturalmente, da buon secchione e nerd, la mia scelta ricadde subito sul fare un videogame. Quale occasione migliore?
Il lavoro era da fare in gruppo, trovai un compagno e cominciammo a scegliere che cosa fare.
Scartammo subito i giochi da tavolo, bello, ma non ci interessava molto una partita a scacchi o a dama.
Scartammo anche i classici cloni di Space Invaders o Pong, volevamo fare un gioco che avesse senso, semplice, interessante e che ci saremmo divertiti a programmare. Che cosa si può fare in questo caso? La risposta ci venne in mente quasi subito: raccontare una storia. Un’avventura grafica.
Era deciso, ci mettemmo subito a scrivere una sceneggiatura. Grandi idee: finali multipli, dialoghi a scelta, personaggi interessanti e ambientazione fantascientifica thriller. Colpi di scena a profusione.
Mancava solo lo strumento giusto.
All’epoca, i miei soldi venivano spesi sopratutto per le riviste di videogame, “Giochi per il mio computer” e “The Games Machine” erano un rito che non mi facevo sfuggire, e sì, le compravo per i dischi. Ricordo a tutti che all’epoca Steam era il launcher per i giochi Valve e che la maggior parte di noi ragazzi aveva la camera inondata di cd masterizzati di dubbia autenticità. Emule e Nero Burning ancora adesso mi scatenano una sorta di PTSD. \s
Comunque, tornando alle riviste, in uno dei dischi trovai una piccola perla: the white chamber.
Faceva parte dei freeware che ogni tanto si aggiungevano al gioco principale e si prospettava interessante: un’avventura punta e clicca a tema horror fantascientifico.
Creato nel 2005 dallo Studio Trophis come progetto universitario, in circa tre anni, tra un esame e l’altro.
La protagonista si sveglia da una bara in un’astronave e cerca di capire dove sono finiti tutti. L’immancabile amnesia, il misterioso laboratorio (la stanza bianca) mandano avanti la trama, il tutto condito da scene gore e una colonna sonora dark ambient/industrial.
Ci si muove puntando e cliccando, naturalmente, mentre le interazioni si limitano a un “usa” e a un “guarda”, con un inventario a scomparsa nella parte superiore dello schermo.
I puzzle sono semplici, ma godibili, la trama è interessante e l’impatto grafico non è male, amatoriale, ma con uno stile che mi piace un sacco, come se David Cronenberg fosse stato messo a dirigere un cartone animato della Kinder.
Era perfetto, esattamente quello che cercavo per il mio progetto scolastico.
Mi andai subito a cercare il motore grafico usato per crearlo, imbattendomi così nel Wintermute Engine. Avevo trovato lo strumento.
Bastava inserire gli sprite con le animazioni, gestire il click, fare i moduli per l’inventario, il menù e i dialoghi, inserire la musica. Il tutto suddiviso per stanze fisse.
Io disegnavo, il mio compagno scriveva la trama, rivedevamo tutto e poi lo programmavamo insieme in aula. Così il prototipo del nostro gioco nacque: un omino che camminava per una stanza bianca, entrava in una porta e passava al livello successivo.
Il più era fatto.
Pregustavo già i dialoghi, le scelte, il colpo di scena, far vedere il gioco ai miei amici, chiedere i loro consigli e avere le loro recensioni. Sarebbe stata la nostra opera prima e, dopo il Liceo, Ingegneria Informatica all’Università, così da poter raggiungere il mio sogno di diventare uno sviluppatore di videogame. Avrei aperto un’azienda e mi sarei trovato su “Giochi per il mio computer”, la rivista che preferivo delle due.
Erano passati quattro mesi, non avremmo mai finito in tempo. Ero impegnato con i disegni degli ambienti, la sceneggiatura non era finita e il Wintermute Engine era rimasto fermo. Inoltre, non c’era solo informatica da studiare.
A fine anno, la mia professoressa ricevette un gioco di dama fatto da noi, in Turbo Delphi: Il mio sogno si ridimensionò.
Ora The White Chamber non esiste più.
Lo studio Trophis non esiste più.
Il loro sito è in bianco, Wikipedia ci dice che On 26 December 2009, Studio Trophis had closed its doors, as all the other members were busy with their own projects and lives.
Su IndieDB si può ancora giocare a quello che risulterà essere il loro unico titolo e con l’archivio web e si possono esplorare i loro progetti, e i loro sogni.
Richard Perrin, uno dei creatori dello Studio Trophis, forse ci crede ancora. Come suo progetto personale ha creato lo studio Locked Door Puzzle, nella cui homepage spicca una remastered di the white chamber. C’è da dire però, che di tutto ciò non si sono più avute notizie dal 2014.
Il motore grafico Wintermute Engine non esiste più. Dal sito dead-code si può ancora scaricare, ma a tutti gli effetti sembra abbandonato dal 2012. I punta e clicca non vanno più come una volta.
“Giochi per il mio computer” non esiste più dal 2012 e non ricordo nemmeno l’ultima volta che sono andato in edicola.
Persino Turbo Delphi non esiste più, addirittura dal 2006, probabilmente noi fummo gli ultimi a usare quel software, con buona pace dei giochi da tavolo.
Ma allora questo articolo cos’è? Non è certamente una recensione di the white chamber, anche se vi consiglio comunque di recuperarlo: se vi piacciono i punta e clicca, dura solo un paio di ore.
Questo articolo è una scusa per riflettere che niente è per sempre, i nostri sogni sono cambiati, le nostre speranze sono diverse.
Siamo cresciuti, e di quel gioco che avremmo voluto fare rimane solo il titolo, “Bandera Gaguin”, e forse, qualche disegno in mezzo ai fogli sparsi nei quaderni del Liceo, chiusi chissà dove.
Siamo cresciuti e ci siamo ridimensionati. Io, ad esempio, non voglio più finire su una rivista di videogame, potrei magari mettermi a studiare il nuovo Godot Engine, o magari divertirmi con LÖVE o TIC-80, ma no, basta, non ho più intenzione di fare punta e clicca.
Forse un giorno.
Per ora voglio provare a fare un walking simulator introspettivo, o magari un platform 2D pixel perfect, o magari un action RPG in terza persona souls-like, o magari…
Sarà bellissimo. Vedrete.