All’inizio, Silicon Arcadia era il mio blog sui videogiochi. Aveva un sottotitolo: retrogaming emozionale. Ci scrissi alcuni post fra il maggio del 2013 e il febbraio del 2014 e rimase online fino al 2015. L’avranno letto poche decine di persone. Quel blog divenne poi un libro, rimasto in commercio fino a qualche mese fa, anche questo letto da pochissimi – quello che ancora se ne salva riaffiorerà qui nel corso del tempo, riveduto e corretto.
Al di là di questo, non ho mai smesso di parlare di videogiochi. Su YouTube, dal 2015, e su Twitch, dal 2017, tuttavia la mia storia con il medium videoludico risale all’infanzia, alle sale giochi rivierasche fra gli ‘80 e i ‘90, all’Amiga e al Super Nintendo.
Questo scrivevo nel 2013, introducendo Silicon Arcadia:
Oggi per venderti la nuova Xbox ti dicono che è social, che è connessa con tutti, che il gioco è solo la scorza e che c’è molto di più, come se si vergognassero; quando la mia scatoletta grigia stava sotto al televisore c’era meno ipocrisia: il suo scopo era anti–social, era la disconnessione, l’isolamento, e mediante l’isolamento la fuga.
Un portale per altri mondi in qualche modo nega il mondo in cui si trova, perché ne avremmo bisogno altrimenti?
Niente di quello che era fuori era anche dentro, perché non ci stava. Nessuno sapeva ripetere la realtà quindi, deformazione per deformazione, tanto valeva sognare. E noi, imberbi ed impuberi, semplicemente eravamo lì. I nostri occhi, che dallo stesso televisore traevano già giapponi di sogno, divoravano l’iride dei pixel credendo a quello che vedevano.
Ciò che hai amato davvero, negli unici anni in cui puoi davvero amare, lo amerai per sempre. Questo viaggio nasce come l’eco nostalgica di un atto d’amore, quello che le multinazionali del divertimento ci somministrarono tanti anni fa e cui rispondemmo con tutto l’ardore della nostra giovinezza. Le passioni della vita, le lotte vane, i gomiti alzati, le entrate da dietro, le spinte al momento del salto, le menzogne, le seduzioni, tutto ciò che ha avuto forza o disperazione non ha avuto che l’ombra di quella scintilla: quando premevi più forte il tasto per saltare più in alto, come un idraulico sulla testa di una tartaruga, tu eri in comunione con l’universo poiché nulla ancora ti divideva da esso. Dopo, ti sei arrangiato.
Se esista davvero un recupero, oltre al balsamo del ricordo, non so dire; se gli attimi che talvolta riverberano di quella scintilla siano autentici o repliche contraffatte, io lo ignoro. C’è stato un mondo in cui non c’erano risposte perché non c’erano domande. Quel mondo verrà qui celebrato attraverso le sue vestigia: i videogiochi.
In prima battuta, a spingermi a parlare di videogiochi era il desiderio di restituire, agli altri e a me stesso, un’emozione recondita (per questo l’idea originale riguardava il retrogaming). Naturalmente, a questo si affiancò ben presto l’esigenza di sviluppare un discorso critico dato che come tutti i divoratori di videogiochi sono cresciuto dibattendomi e dibattendo fra voti, classifiche, confronti e asprissime contrapposizioni fra parrocchie nemiche. L’altra faccia della medaglia e un’infanzia alla seconda, questa, dove l’età dell’imprinting da difendere a spada tratta si è sempre riflessa, come una condanna, sul livello della discussione.
Per fortuna, non ho solo videogiocato, e quanto appreso altrove si è rivelato strumentale al tentativo di rendere giustizia a un medium così potente da un punto di vista espressivo da non meritare l’infimo spessore del dibattito che di solito lo accompagna.
Parlare di videogiochi è importante perché i videogiochi sono importanti. Lo sono esteticamente, socialmente ed economicamente e chiunque possa arricchire la discussione intorno a essi dovrebbe farlo, idealmente senza pretese di completezza o esclusività siccome di fronte a un medium così complesso le capacità di ciascuno avranno sempre bisogno di quelle degli altri per essere compendiate. Come non mai, un discorso sui videogiochi non può che essere parziale, incompleto e bisognoso di quello altrui: troppo complessa e ricca è la materia, troppo variegate le competenze che intervengono nella realizzazione e nell’interpretazione delle opere multimediali interattive per pretendere che la propria prospettiva possa ambire a essere esauriente. Al massimo, sarà rilevante per qualcuno, utile nel rendere giustizia a un ambito che, su internet, troppo spesso pare meriti gli stereotipi che ancora lo accompagnano.
Dal dogmatismo infantile dei fan al conflitto di interessi lampante che non imbarazza certa “critica”, dall’ignoranza del medium che non ferma la stampa generalista dal parlarne (male) alla pretesa che la competenza videoludica derivi esclusivamente dall’esperienza videoludica, dalla “recensione” come totem formale all’idea del voto numerico come parametro immutabile di giudizio… sono innumerevoli e gravissimi i problemi che ammorbano la discussione pubblica sui videogiochi. Per questo, c’è bisogno di parlare di videogiochi in modo diverso, al di fuori del “recensionese” figlio del marketing surrettizio di siti e influencer e dell’hype perenne e rissoso delle fanbase acritiche che quel marketing avidamente sorbiscono.
Siccome non si può farlo da soli, non lo farò da solo. Su Silicon Arcadia, che oggi rinasce, scriveremo in tanti, ciascuno a modo suo, in completa libertà e senza seguire nessuna linea editoriale o ideologica. Terremo ferma soltanto l’indipendenza finanziaria rispetto agli attori economici del settore, condizione necessaria a un discorso che si voglia libero, critico e rilevante.