L’altra sera, di ritorno dall’università, avevo un po’ di tempo libero e tutte le buone intenzioni di finire un vecchio libro che non toccavo da settimane: mi sono però ricordato che in quel periodo era in corso un evento temporaneo in Final Fantasy XIV, un’occasione per ottenere delle cavalcature rare dal solo effetto cosmetico. Fatto il login mi sono lasciato trasportare da una quest all’altra, da un raid all’altro; a un tratto, ecco che si erano fatte le tre di notte. Il mio libro sarebbe rimasto incompiuto, la mattina dopo mi sarei svegliato tardi e avrei studiato poco o niente. E tutto per che cosa? Come ci sono finito su Final Fantasy XIV, e perché continuo a giocarci?
Da qualche tempo a questa parte mi collego quotidianamente al gioco, per tre o più ore: mi basta lanciare un occhio alla PlayStation 4 e senza rendermene conto ecco che accedo al mio account.
Ho passato 450 ore su Final Fantasy XIV e so che per i giocatori più incalliti sono un poco più di un novellino. In rete si leggono storie ben più estreme della mia: sul subreddit r/ffxiv (la più grande community online dell’MMORPG) non è raro leggere di ore in-game nell’ordine dei mesi, o addirittura degli anni. Nel seguito, partendo dalla mia esperienza personale, cercherò di analizzare le motivazioni che spingono i giocatori a restare su Final Fantasy XIV per tutto questo tempo, con particolare attenzione verso gli “hardcore gamer” del titolo; tuttavia, credo che quanto dirò potrebbe avere valenza generale per una vasta categoria di “giochi senza fondo”, soprattutto quelli che pongono molta attenzione alla componente sociale del videogame.
1. Lasciarsi influenzare
All’inizio ero molto scettico nei confronti di Final Fantasy XIV.
Sono stato, lo ammetto, un fanboy di Final Fantasy: mi sono avvicinato alla saga relativamente tardi, negli anni del liceo, ma ero comunque abbastanza ingenuo da lasciarmi persuadere dalla narrazione dominante che circondava quel brand.
La fu Squaresoft, si diceva, era stata una grande compagnia videoludica, che sotto la guida di Hironobu Sakaguchi aveva sfornato un capolavoro dietro l’altro. Nel 2003, poi, il disastro: la Squaresoft diventò Square Enix, Sakaguchi lasciò, e da lì in poi il declino della compagnia.
Col tempo ho cercato di lasciarmi alle spalle questa visione nostalgica e abbastanza superficiale, ma il pregiudizio verso Final Fantasy XIV, l’MMORPG post-Sakaguchi, era rimasto: sapevo che fosse un gioco online con abbonamento mensile, la quintessenza di una macchina mangia-soldi e mangia-tempo; in più, dai gameplay, saltava subito all’occhio un combat system legnoso e antiquato, oltre a un motore grafico rimasto fermo al 2012.
Non c’era nulla che mi rendesse il gioco appetibile. Poi, venne la pandemia.
Dopo diversi mesi senza mai uscire di casa cominciai a rimbalzare da un’occupazione all’altra, trovandole tutte egualmente insensate: che importava passare quattro ore di fila su una diretta Twitch, o fare lunghe maratone di anime insulsi? I giorni si ripetevano tutti uguali, e senza un briciolo di rispetto per il mio tempo ero vulnerabile a ogni forma di indirizzamento: desideravo che qualcuno mi dicesse cosa fare.
In generale, la pandemia ha avuto un ruolo chiave nello spingere le persone a videogiocare, tant’è che il settore ha fatturato quasi il 22% in più dal 2020 al 2021; e, di pari passo, da parte dei consumatori è anche aumentata la domanda di “consigli”, oggi tipicamente forniti al pubblico dagli influencer.
Uno degli streamer più influenti nella storia di Final Fantasy XIV è senza dubbio stato Asmongold, un intrattenitore americano che al momento in cui scrivo ha 2,4 milioni di follower su Twitch. Noto giocatore di World of Warcraft, nel luglio del 2021 ha deciso di portare sul suo canale dei gameplay di Final Fantasy XIV, spingendo una grossa fetta della sua utenza a spostarsi sul gioco: in breve, la sola visibilità fornita dallo streamer (e da alcuni suoi colleghi) ha portato a una congestione dei server della Square Enix, portandola alla paradossale situazione di dover dichiarare “sold out” un prodotto digitale, e forzandola ad attivarsi per incrementare la banda dei propri server. La pubblicità di Asmongold ha funzionato nonostante la sua fanbase fosse composta da giocatori di World of Warcraft, che è facile pensare avessero trascorso mesi o anni della loro vita nel titolo Blizzard: questa è la potenza degli influencer nel mercato odierno, e come per ogni prodotto ciò dipende dall’intensità della domanda che va ad intercettare; per motivi che vanno al di là della pandemia (che, si spera, resterà un evento singolo e irripetibile), il pubblico desidera ardentemente lasciarsi influenzare.
Nel mio caso, ho installato Final Fantasy XIV dopo essere capitato sul canale YouTube di Phenrir Mailoki, una nota giornalista e influencer videoludica. Già in passato avevo seguito qualche sua live, e mi ero fatto l’idea che fosse molto legata al brand di Final Fantasy; cosicché, rimasi abbastanza colpito da un video in cui disse che il suo Final Fantasy preferito era il XIV, proprio l’MMORPG che i più neppure considerano canonico. Ero intrigato, e dopotutto il gioco offriva un corposo free trial per i nuovi utenti: provare, pensai, non mi sarebbe costato nulla.
2. La meraviglia
Un censimento condotto il 2 luglio 2021 riporta che, in tale data, vi erano in Final Fantasy XIV ben 951.307 account attivi, dove per attivi si è inteso che avessero almeno o un personaggio di livello 60, oppure un personaggio creato nei due mesi antecedenti il censimento. Questa quantità di giocatori è impressionante, ma non li categorizzerei tutti come “hardcore gamer”.
In Final Fantasy XIV, infatti, è facile raggiungere il livello 60 con la propria classe primaria limitandosi a svolgere le “Main Quest”, missioni che portano avanti la trama principale del gioco.
Di quel quasi milione di giocatori, quindi, molti potrebbero essere arrivati al livello 60 solo perché intrigati dalla trama dell’MMORPG: e in effetti, dal punto di vista narrativo, il gioco è ben più profondo di quanto mi sarei mai aspettato.
Final Fantasy XIV non si limita a citare i Final Fantasy classici a mo’ di fanservice, ma li amalgama tra loro mantenendo coerente una narrazione scritta a centinaia di mani, in uno sforzo creativo di world building di proporzioni che non avevo mai visto prima.
Avviandolo per la prima volta, il giocatore comincia il suo viaggio alle porte di una delle tre grandi città della regione di Eorzea. Ben presto, si renderà conto che le antiche foreste di Gridania, le alte mura di Ul’dah, le torri marittime di Limsa Lominsa, ogni angolo del mondo del gioco ha una lore millenaria che è possibile sviscerare in-game.
Ogni oggetto, ogni quest, ogni NPC aggiungeranno un piccolo tassello all’epica del “Warrior of Light”, protagonista della storia che lungo le Main Quest sarà sballottato tra divinità oscure, intrighi di corte e guerre secolari.
Quanto addentrarsi nella lore, starà alla curiosità del giocatore; in ogni caso, l’impostazione narrativa di questo MMORPG è uno dei suoi più grandi punti di forza, che contribuisce a renderlo immersivo e adatto a una reale forma di gioco di ruolo.
Da un lato, c’è da dire che la scrittura di Final Fantasy XIV trova i suoi limiti proprio nella ridondanza e nei tempi connaturati alla sua tipologia di gioco. Infatti, ogni quest deve tener conto che potrebbero essere passati mesi tra uno step e l’altro che ne porti al compimento: spesso allora i personaggi si lanciano in estenuanti e verbosi riassunti di quanto fatto in precedenza, che allungano a dismisura lo svolgersi degli eventi.
L’altro lato della medaglia è che l’ampio respiro del gioco ha consentito agli sceneggiatori di creare personaggi molto ben caratterizzati, che non si lasciano inquadrare in semplici stereotipi. Da questo punto di vista Final Fantasy XIV gioca con regole semplificate rispetto ai giochi single player: gli sceneggiatori, infatti, non avevano alcun limite di tempo a schermo per sviluppare le loro storie, il che gli ha consentito di mostrare lo sviluppo di una gran quantità di personaggi, contribuendo a creare una narrazione corale difficilmente replicabile in altri titoli.
Giocato per seguire la sua storia, Final Fantasy XIV diventa simile a una lunghissima visual novel, in cui la quantità di dialoghi a schermo surclassa i momenti interattivi. Tuttavia, ciascuna delle quattro espansioni di Final Fantasy XIV dura nella sua trama principale poco più di un Final Fantasy classico: non è il comparto narrativo a convincere gli “hardcore gamer” a restare nel gioco per mesi o anni della loro vita.
3. L’intrattenimento
Dei 951.307 giocatori attivi totali, 456.035 di loro (circa il 48%) ha portato la classe del “Dark Knight” almeno al livello 60. È un dato interessante, perché quella del Dark Knight è una classe che non è disponibile all’inizio del gioco, ma si sblocca solo accedendo ai contenuti della seconda espansione di Final Fantasy XIV, Heavensward.
I livelli di Final Fantasy XIV non sono legati al personaggio, bensì alla classe: un giocatore può avere sia un Black Mage sia un Dark Knight, ma i punti esperienza guadagnati da un certo “job” non sono condivisi con l’altro.
Come detto in precedenza, andando avanti nelle Main Quest con la propria classe primaria si possono raggiungere alti livelli senza mai dedicarsi farming (il ripetere compulsivo di azioni volte al conseguimento di punti esperienza); allo stesso tempo, le classi secondarie non saliranno neppure di un livello, e rimarranno a quello iniziale.
In altre parole, quasi mezzo milione di persone ha iniziato il gioco con una certa classe di partenza, l’ha livellata abbastanza da concludere la prima espansione del gioco, e solo a quel punto ha portato un Dark Knight al livello 60. Ciò una buona dose di farming, ed è chiaro che non ha nulla a che vedere col comparto narrativo del gioco. Chi desidera farmare, non lo fa per vedere “come va a finire la storia”.
Per questi giocatori, mi chiedo, è divertente farmare in Final Fantasy XIV?
È una domanda complessa, in quanto richiederebbe di chiarire cosa si intenda per “divertimento”. In questa sede, per evitare fraintendimenti semantici, mi limiterò a osservare che Final fantasy XIV, piuttosto che essere “divertente” come lo si intende nell’uso comune in italiano, può essere incredibilmente soddisfacente.
Per chi abbia avuto esperienza con qualche MMORPG questo non dovrebbe stupire, dal momento che il combat system di base, in Final Fantasy XIV, è di stampo abbastanza classico.
Ogni azione è indotta staticamente da una “skill”: ciò significa che, volendo ad esempio balzare sul nemico con una lancia per poi scartare all’indietro, basterà la pressione di un singolo tasto che attivi l’apposita abilità.
Senza addentrarci nei tecnicismi, basti sapere che entro il livello 60 ciascuna classe avrà a disposizione almeno una ventina di skill da dover gestire, ognuna con effetti, tempi di “cast” (per essere eseguite) e di “cooldown” (per potersi ricaricare) diversi: per superare con successo un dungeon particolarmente ostico, il giocatore dovrà essere in grado di concatenare l’ordine con cui eseguire le proprie abilità (ovvero di gestire la “rotazione” delle sue skill), gestendo al contempo il posizionamento del proprio personaggio nella maniera più efficiente possibile, per evitare gli attacchi dei nemici o delle trappole ambientali.
Da questo punto di vista, mi ha ricordato l’ultima opera di Hideo Kojima, il videogioco Death Stranding. Mi rendo conto che questo parallelismo regga fino a un certo punto, ma permettetemi di trascurare le sostanziali differenze tra i due titoli, per concentrarmi invece su una caratteristica che li accomuna: l’attenzione che pongono verso l’ottimizzazione.
In Death Stranding, compito del giocatore è di ottimizzare il punto d’equilibrio di Sam, con la continua microgestione di questa componente ludica; a questa, poi, si aggiungono tante altre microgestioni: dell’inventario, dell’itinerario, degli strumenti da portare con sé e di quelli da abbandonare lungo il cammino, del combat system, dei veicoli, delle strade asfaltate e dei materiali da costruzione.
A differenza dei gameplay ad azione dinamica (come il “carta sasso forbice” di Sekiro, o il “trial and error” di Celeste), l’aspetto gestionale di Death Stranding offre poco spazio per i “fallimenti”: l’obiettivo del giocatore non è tanto “consegnare i pacchi con successo”, quanto piuttosto farlo nella maniera più efficiente possibile.
Final Fantasy XIV ha un combat system basato sulla gestione di rotazione delle skill e posizionamento; operare tante piccole scelte nella maniera più efficiente possibile è soddisfacente, così come lo è il consegnare pacchi per i “Muli” di Death Stranding: regala il semplice piacere di tanti piccoli compiti ben eseguiti, che conducono infine a un “perfect score”.
Al di là del combattimento, in Final Fantasy XIV anche l’equipaggiamento riveste un’importanza cruciale, e per ottenere le migliori armi e armature è necessario via via ampliare la quantità di elementi ludici da gestire. Le classi di crafting, ad esempio, rispetto alle classi di combattimento rappresentano un “minigioco” a parte, e dovranno gestire materiali, denaro e inventario con lo scopo di ottimizzare qualità o quantità degli oggetti prodotti.
La gestione del crafting e del combattimento sono solo alcune delle feature del gioco, che è in realtà fin troppo vasto: si può pescare o gareggiare in corse di chocobo, coltivare o arredare casa, comandare uno squadrone o imbastire un concerto.
Lo scheletro di fondo è tuttavia sempre lo stesso: le singole componenti ludiche di Final Fantasy XIV sono tutte relativamente semplici da eseguire, ma richiederanno una certa dose di impegno per poter essere gestite nella maniera più efficiente possibile. Tirando le somme, mentre si è connessi al gioco si è quasi sempre oberati di compiti, e il giocatore sarà rapito da quello che succede a schermo per ore ed ore.
Il “piacere dei numeri” e dell’efficiente è molto comune nei giochi di ruolo e gestionali, e non è un caso se è alla base di qualunque applicazione di gamification. Tuttavia, al desiderio di ottimizzazione c’è di solito un limite dettato dal buon senso. Io stesso, di fronte alle consegne più ardue di Death Stranding, mi sono reso conto che ottenere un “perfect score” implicava un rapporto costo/benefici troppo sproporzionato a favore dei costi, in termini di tempo richiesto e frustrazione provata; al che, ho rinunciato all’idea di portarle a termine. Ciò non è successo per Final Fantasy XIV: ho continuato a giocare. E come me, così hanno fatto molti altri.
4. Gli altri
La prima cosa cui feci caso quando feci il primo accesso in Final Fantasy XIV, a dire il vero, non furono né i paesaggi sconfinati né la qualità della sceneggiatura. Come per ogni JRPG classico, cominciai nel più totale spaesamento, confuso dalla miriade di menù e sottomenù, dall’HUD indecifrabile e da una minimappa che non sapevo leggere.
Mi diressi verso quella che credevo fosse la mia prossima missione, attraversai un piccolo pontile, ed ecco che mi si aprì uno squarcio sulla piazza centrale della mia città di partenza, l’hub centrale di migliaia di giocatori: e loro erano lì, a danzare e suonare, a parlare tra loro, a giocare.
Tutte quelle figure a schermo, avventurieri esperti dalle armature scintillanti, non erano NPC: erano persone reali, che stavano impiegando il loro tempo nel mio medesimo modo. Non rivolsi la parola a nessuno, ma non ce n’era bisogno: subito la confusione svanì, e fu sostituita dalla voglia di capire come potessi entrare in questa grande community.
A proposito di community, ho citato in precedenza r/ffxiv: ad oggi, la board di Reddit conta oltre 636.000 utenti, ed è il più importante riferimento online per i giocatori di Final Fantasy XIV. Le dinamiche del subreddit, per chi abbia giocato la saga di .hack//G.U., sono esattamente le stesse del “Community Forum” attraverso il quale Haseo, il protagonista, interagisce con gli altri personaggi del gioco: molti utenti creano dei thread per cercare aiuto per un dungeon, per sfoggiare i loro oggetti rari o i loro personaggi di livello massimo, o semplicemente per condividere vignette, creazioni artigianali o meme a tema Final Fantasy XIV.
Partecipare a una community online contribuisce a trasformare il modo in cui si rapporta la propria vita a un gioco: non basterà più spegnere la PlayStation per smettere di giocare, quando prendendo il telefono in mano si sarà invasi di notifiche e aggiornamenti al riguardo, che non permetteranno mai di staccare del tutto con la testa.
D’altro canto, Final Fantasy XIV esercita una costante spinta gentile affinché si crei un ambiente comunitario e di cooperazione all’interno del gioco. Per quanto infatti esistano delle meccaniche competitive, sono solo un aspetto secondario di un gioco che punta tutto sul PvE di gruppo: per affrontare un dungeon, i giocatori devono saper collaborare. Ognuno di loro è indispensabile per completare la sfida, e allora gli insulti e i comportamenti scorretti diventano un’arma a doppio taglio: lanciarsi in improperi contro l’healer che ti ha fatto morire non conviene molto, perché se quell’healer decidesse di abbandonare la partita, sarebbe impossibile concluderla. In più, molte mappe prevedono la risoluzione di enigmi ambientali e meccaniche non direttamente esplicitate dal gioco, cosicché l’unico modo per apprenderle in-game è attraverso il dialogo con altri utenti.
Se da un lato è indubbio che laddove vi sia un elemento sociale possano scaturire legami reali tra persone, e l’MMORPG diventa allora un pretesto per passare del tempo con i propri amici, credo sarebbe da ingenui non rendersi conto che questo utilizzo “virtuoso” del mezzo riguardi al più un piccolo sottogruppo di utenti.
Per dare una dimensione numerica a questa categoria, basti pensare che al luglio 2021 soltanto 103.019 giocatori (l’11% degli utenti attivi) appartiene a una gilda da 2 a 49 membri.
Certo, per quanto io ne possa sapere molti utenti potrebbero stringere amicizia al di fuori di una gilda, così come una gilda potrebbe contenere 50 e più persone tutte amiche tra di loro; sto allora assumendo trascurabili queste eventualità, nell’ipotesi che siano abbastanza rare.
Guardiamo, piuttosto, a un altro dato: sempre al luglio 2021, 391.407 giocatori (ben il 41% del totale) possedevano la cavalcatura (“mount”) rara “Kirin”. Ottenerla è un procedimento lungo: viene infatti data solo a chi ha collezionato altre sei mount rare, ciascuna ottenuta come drop raro e casuale di un differente dungeon di difficoltà “estrema”. Senza entrare nei particolari, basti sapere che per averla è necessaria una dose non indifferente di grinding (l’abbattimento intensivo di nemici per ottenerne i drop), e tutto per ottenere una ricompensa dai soli effetti cosmetici: un giocatore disposto a impiegare così il suo tempo è esemplificativo di cosa intendo per “hardcore gamer” di Final Fantasy XIV, per quanto non ancora completamente caratterizzante.
Come mai questi giocatori valutano accettabile il grinding, cosa soppesano nella loro valutazione costi/benefici? Certo, una cavalcatura scintillante non ha effetti nel gioco: ma come detto in precedenza, il gioco non finisce quando si spegne la PlayStation. Se è vero che una mount rara non ha particolari effetti di gameplay, ha invece importanti effetti reputazionali all’interno della community.
Per meglio capire ciò di cui sto parlando, è necessario rendersi conto che il “role play” di un MMORPG non ha nulla a che vedere con i suoi corrispettivi offline. Ogni giocatore di MMORPG ha parecchie storie del genere: una volta, ad esempio, salii in cima a un monte altissimo, e in mezzo al nulla trovai un giocatore seduto sull’erba, che ammirava il panorama; un’altra volta assistei a una gara tra fabbri, che circondati da una folla esultante cercavano di ottenere per primi degli item di qualità elevata; un’altra volta, ancora, incontrai un giocatore in difficoltà, e lo aiutai a sconfiggere un boss. Le potenzialità per creare la propria storia che offre Final Fantasy XIV sono sconfinate.
Strutturalmente, Final Fantasy XIV è un gioco statico, il classico open world con mappe enormi e per lo più vuote: ma sarebbe sbagliato accostarlo agli open world single player, perché è l’interazione tra giocatori a rendere memorabili quei luoghi, e a far sì che ogni passeggiata tra le lande di Eorzea possa in realtà riservare imprevedibili sorprese e nascondere storie da intrecciare alla propria. Esiste però anche l’altro lato della medaglia.
Una volta, ero seduto a una locanda in attesa di cominciare la mia prossima quest. Mi notò anche un giocatore di livello più basso del mio, che faceva per andarsene in quel momento: arrivato sull’uscio della porta, si girò verso di me e mi rivolse un rispettoso inchino; dopodiché, se ne andò. Mi sentii in quel momento un avventuriero veterano, orgoglioso; e tuttavia provai anche un’altra sensazione. Nel pieno della mia immersione ruolistica, mi sentii giudicato dall’altro giocatore: la mia armatura, dopotutto, era orribile! Un’accozzaglia di pezzi di colori e forma diversi, raccattati qua e là senza troppo impegno. L’altro giocatore non mi disse nulla, non ci scambiammo neppure una parola, ma non ce n’era bisogno: mi vergognai del mio equipaggiamento, e desiderai averne uno più appropriato al mio status di avventuriero di alto livello.
In Final Fantasy XIV è la community a rendere possibile l’immersività, dal momento che gli altri giocatori sono parte integrante della propria esperienza; allo stesso tempo, è proprio la medesima community che autoalimenta il fenomeno di inseguimento dello status reputazionale. È memorabile incontrare un avventuriero veterano, che sfoggia un’armatura rara e un’arma leggendaria: ma dall’incontro, è inevitabile scaturisca il confronto, e spesso ci si sente in difetto del proprio equipaggiamento, e se non di quello allora del proprio livello o delle proprie competenze, e via dicendo.
Ottenere una mount rara o un’arma scintillante non è né divertente, né soddisfacente: averla non significa raggiungere un obiettivo desiderato, ma colmare un difetto percepito.
5. Un mercato gentile
Non è un caso che Final Fantasy XIV attribuisca un’importanza enorme alla cosmesi, o per usare un gergo interno al gioco, al “glamour”: le opzioni di personalizzazione dei giocatori sono vastissime: si possono variare colore o tipologia di vestiario, capigliatura, accessori e via dicendo, fino a ottenere l’estetica che più aggrada.
A differenza dei free to play, per lo più Final Fantasy XIV non si fonda sulle microtransazioni per ottenere oggetti cosmetici, e questo elemento credo sia fatidico per garantire la fidelizzazione dell’utenza.
Certo, esiste uno shop interno dedicato a questo genere di cose, ma dal momento che i giocatori già pagano un canone mensile per accedere al gioco, gli sviluppatori hanno preferito rendere disponibile la maggior parte degli oggetti direttamente in-game: ottenerli comporta un costo in termini di ore di gioco – e, quindi, di abbonamenti mensili da pagare. È una differente scelta di marketing, e pur non essendo un esperto di economia ne capisco il senso: giocando a Final Fantasy XIV non mi sono mai sentito “preso in giro”, cosa che mi avrebbe disincentivato dal cercare attivamente di migliorare l’estetica del mio personaggio.
Ad esempio, prendiamo giochi come Genshin Impact: la sua natura di macchina mangia-soldi viene resa evidente ad ogni nuovo accesso, con spam e notifiche fin troppo insistenti. Il gioco ricorda di continuo che sì, alla miHoYo vogliono proprio prosciugarti il portafoglio: hai difficoltà nei combattimenti? Paga per velocizzare i tuoi progressi; hai personaggi troppo deboli? Paga per spacchettarne di nuovi; vuoi cambiare il costume della tua succinta eroina? Paga, paga e continua a pagare. Non credo che un marketing di questo tipo possa funzionare in generale; ma del “generale” non importa affatto agli sviluppatori, dal momento che basta una piccola percentuale di giocatori in particolare (le cosiddette “balene”) a generare guadagni inimmaginabili.
La natura commerciale di Final Fantasy XIV, invece, si palesa solo al momento del pagamento del canone mensile. Di fatto, dopo aver eseguito l’accesso al gioco non si sente mai parlare di denaro reale, neppure una volta. Il mondo di Eorzea riesce ad essere immersivo anche perché cela molto bene le sue ambizioni economiche: piuttosto che puntare a guadagni enormi nel breve periodo, Final Fantasy XIV è costruito come un prodotto che duri nel tempo, e vuole costruirsi un’utenza disposta a pagare abbonamenti per anni (se non decadi). In quest’ottica, farli sentire come dei polli da spennare non aiuterebbe molto.
Naturalmente, il modello di Genshin Impact stravince a livello economico: se Final Fantasy XIV ha generato entrate per 370M$ nel 2020, nello stesso anno (pur avendo rilasciato il suo gioco a settembre) la miHoYo ha chiuso con entrate per 774M$.
Quello che sicuramente ottiene la Square Enix, con la sua strategia di marketing, è un profondo engagement dell’utenza: Final Fantasy XIV può entrare nel cuore dei suoi giocatori, ha la loro attenzione e il loro tempo, e questo può avere un ritorno economico che val di là del singolo prodotto, ad esempio nell’acquisto di merchandising a tema o di altri giochi legati al brand di Final Fantasy.
Il singolo utente, in tutto ciò, il più delle volte si dimentica di star usufruendo di un prodotto - allo stesso modo in cui accade lasciandosi trasportare da un qualunque single player ben costruito. Il canone mensile di Final Fantasy XIV costa 12.99€: una cifra che si può facilmente arrivare a ritenere giustificabile, qualora ci si rendesse conto che il gioco sia diventato una parte importante della propria vita.
6. L’abitudine
Come ho detto in precedenza, ho cominciato a giocare a Final Fantasy XIV durante la pandemia. In quei giorni, per me l’importante era solo far scorrere il tempo il più veloce possibile, in attesa di un qualcosa che potesse dare una svolta alla mia vita.
La sensazione di vivere una vita insignificante e in attesa di un fattore esterno salvifico, ottenuto senza sforzo: se da un lato è molto comune leggere di simili storie legate al COVID-19, mentirei dicendo di non averla già provata prima. Per citare l’opera di Tatsuhiko Takimoto, Welcome to the N.H.K., credo che in molti abbiano sperato, a un certo punto della propria vita, che la bella Misaki bussasse alla porta per tendergli una mano e salvarli dalla loro condizione.
Il COVID-19 era un problema del mondo reale e con una soluzione reale, ma difficilmente si può dire lo stesso dei disagi psicologici, fatti di pensieri vaghi e faticosi da riordinare, catene invisibili che possono intrappolare per mesi o anni in un’attesa buzzatiana, grattando via a poco a poco il senso critico e delegittimando sempre di più il rispetto che il proprio tempo meriterebbe.
In questo clima, per me Eorzea rappresentava un piccolo mondo colorato e accogliente, un rifugio in cui annegarmi. Col tempo, ho cominciato ad accendere la mia console come fosse una pillola per il malumore; l’oppressione della solitudine svaniva subito tra le folle del mercato di Ul’dah, o nelle melodie dei bardi nella piazza di Limsa Lominsa.
Prima ho detto che mi “annegavo” nel gioco, ma in realtà questa cosa non è del tutto vera. Piuttosto, mi ricreavo attraverso un avatar, immerso in un mondo ordinato e obbediente a regole ben determinate, in cui comprendevo ciò che mi circondava e avevo il controllo del mio agire su esso. Di ritorno da una sessione di gioco, a console spenta, mi rendevo però conto che la sensazione di controllo era del tutto illusoria, che avevo gettato il mio tempo in un’attività ricreativa che si esauriva entro i confini dello schermo. Gettato nel caos della vita reale, per calmarmi di solito mi mettevo a scorrere compulsivamente i nuovi thread su r/ffxiv; per poi riaccendere la console, e rialimentare questo circolo vizioso.
Finita la pandemia, avevo ormai consolidato Final Fantasy XIV come un’abitudine: ad ogni ostacolo o fallimento, senza rendermene conto, rimpiombavo tra le braccia del gamepad.
Per quante altre persone è così, in Final Fantasy XIV? In precedenza, ho detto che il 41% dei giocatori è disposta a grindare ferocemente per sole finalità cosmetiche e reputazionali: quelle persone, verosimilmente, partecipano alla community di Final Fantasy XIV da utenti attivi o da semplici lurker (che si limitano a leggere i thread), e allora per loro il gioco non finisce dopo aver eseguito il logout, e si protrae per decine e decine di ore. Per loro, il gioco diventa un’abitudine.
C’è tuttavia un fattore cruciale da evidenziare: le statistiche riportano infatti che quel 41% di giocatori ha conseguito la cavalcatura “Kirin”, ma non dicono nulla su quanto lunghe e quanto frequenti fossero le loro sessioni di gioco.
C’è una differenza sostanziale tra un’abitudine poco invasiva e una deleteria, che diventa vizio o patologia: l’intensità con la quale ci dedichiamo ad essa, e quindi l’impatto che ha sul resto della nostra vita. È infatti evidente che un giocatore che passa qualche ora nel weekend su Final Fantasy XIV ha un rapporto col gioco differente rispetto a chi ci gioca cinque o dieci ore al giorno.
Nelle discussioni su Reddit, molti utenti affermano di giocare dalle 3 alle 5 ore al giorno di ritorno dal lavoro o dalla scuola, e intorno alle 10 ore al giorno nei weekend. Per la mia esperienza, direi che sono numeri abbastanza verosimili; tuttavia, non rappresentano un campione significativo, ed è impossibile avere dati precisi in merito senza avere a disposizione i log d’accesso degli utenti.
Possiamo però immaginare che chi passi così tanto tempo a giocare sia una specifica sottocategoria degli utenti di Final Fantasy XIV: quelli che se lo possono permettere, ovvero soprattutto lavoratori part-time e studenti.
7. Conclusioni
Se sono qui a scrivere questo articolo è perché rientro in quest’ultima categoria di giocatori. 3 ore al giorno da dedicare a un singolo videogame, tutti i giorni tranne quando se ne dedicano il doppio o il triplo: questo riassume il modo in cui mi sono rapportato a Final Fantasy XIV.
Ovvio, ci sono stati dei momenti di pausa, di solito dopo delle sessioni di gioco troppo lunghe ed estenuanti, o dopo alcuni momenti di lucidità in cui mi sono limitato a chiedermi cosa stessi facendo. Lo stesso anime di Welcome to the N.H.K., citato in precedenza, è stato uno dei fattori che mi ha spinto a prendermi una pausa dal gioco. Nella serie il protagonista, Satō, conosce le meraviglie di un MMORPG, guarda caso chiamato “Ultimate Fantasy”: ne rimarrà inghiottito, e rischierà di perdersi ancor più di quanto già non lo fosse. Molto di quello che accade a Satō o alle sue conoscenze online è estremizzato, e legato a una cultura nipponica che difficilmente permetterebbe repliche nel mondo occidentale; tuttavia, le dinamiche emotive dei personaggi in scena restano verosimili anche per uno spettatore italiano, ed è per questo che appaiono così agghiaccianti.
In più, c’è anche un altro motivo per cui è necessario che io mi prenda lunghe pause dal gioco, e anche in questo potrei tracciare un parallelismo con le vicende di Satō: essendo uno studente disoccupato, a un certo punto devo farmi due conti in tasca, e fare dei tagli alle mie spese.
Questo però non ha eliminato il fatto che ormai avevo sviluppato un’abitudine al gioco, un atteggiamento mentale molto difficile da eradicare: probabilmente tornerò a giocare, di tanto in tanto, perché sento il forte desiderio di farlo. Che questo sia un bene o un male, che ognuno lo decida per sé: lungi da me l’idea di fare la morale ai giocatori più “appassionati”, che credo debbano fare ciò che preferiscano del loro tempo.
Per quanto mi riguarda, credo che “crea dipendenza” sia una frase utilizzata troppo spesso nelle recensioni per sottolineare un lato positivo di un videogame, un fattore che può renderne giustificabile l'acquisto. Non apprezzo questo modo di vedere il giocare, e dal momento che la dipendenza da videogiochi è nei manuali di diagnostica dell’OMS, direi che bisognerebbe avere massima cautela nei confronti di un gioco che possa “creare dipendenza”. Final Fantasy XIV è uno di questi giochi in virtù della sua immersività totale: esso può diventare un abitudine duratura nella vita dei giocatori, a console accesa o spenta, e il senso di attaccamento al gioco è autoalimentato dalla sua stessa community.
Final Fantasy XIV mi ha regalato momenti meravigliosi e storie che mi rimarranno nel cuore, e so per certo che esiste un modo di viverlo in maniera “sana”; tuttavia, credo anche che nasconda dei pericoli eccessivi per i giocatori, che potrebbero a un certo punto abbassare la guardia del senso critico, e arrivare ad abituarsi a un gioco senza fondo.
Per apprezzare quanto di bello può offrire Final Fantasy XIV, servirebbe un’utenza con abbastanza accortezza da scegliere di non approfondirlo, e di ignorare del tutto le meccaniche “sciupa tempo” del gioco. Mi rendo conto di quanto questo appaia paradossale: un gioco che, per essere apprezzato senza divenire un peso per il giocatore, necessita di essere esperito solo parzialmente.
Il punto è che l’unico elemento che può esaurirsi in un tempo accettabile, nel gioco, è la narrativa principale imbastita dalle Main Quest: la trama di Final Fantasy XIV ha (di espansione in espansione) un inizio, uno svolgimento e dei titoli di coda, e credo sul serio che possa lasciare qualcosa nei cuori dei giocatori.
Oltre alla narrativa, il gioco si avviluppa in una serie di compiti che sono inesauribili nella breve durata, e che tuttavia il giocatore poco attento al suo tempo potrebbe desiderare di portare a termine.
Ironicamente, il gioco stesso fornisce un campanello d’allarme sulla sua natura. Se infatti il giocatore scegliesse di alloggiare in una locanda per riposarsi, nella sua camera da letto potrebbe trovare un diario con il riassunto di tutte le quest svolte fino a quel momento. Il titolo del diario è: “The Unending Journey”.
A questo punto, forse, sarebbe meglio dedicare il proprio tempo a qualcos’altro, che possa essere esperito da cima a fondo nell’arco dell’unica vita che abbiamo.