UN FELICE VICINATO
Nella seconda metà degli anni '80, due fratelli stanno giocando nel salotto di casa. Passano il tempo a disegnare mostri terribili e spaventosi, e al gioco partecipano anche gli amici del quartiere. Non si tratta di un semplice gioco, per loro è una sfida: dopo aver finito di disegnare, Jared, il più piccolo dei due, fa da giudice. Dal gioco si esce vincitori o vinti. Una volta terminata la competizione, suo fratello Chad accende la console di casa, un Sega Master System, ma come d'incanto gli amici si dileguano: sono gli anni '80, dicevamo, quando la console per il sentire comune è il Nintendo (un po' come oggi, alcuni genitori sanno che i bambini per Natale gli chiederanno quella che loro chiamano a prescindere PlayStation). E così, a casa di Chad e Jared non resta quasi più nessuno, solo un mucchio di disegni sparsi raffiguranti mostri di ogni tipo e qualche gioco da giocare insieme – l'unico problema è che i giochi in co-op per il Sega non sono ancora tantissimi. Uno dei loro amici, Kris, irriducibile, non li abbandona: anche lui a casa ha la stessa console, e così ogni giorno li accompagna nell'avventura. Kris non sarà loro fratello, ma è come se fosse parte della famiglia tanto quanto gli altri, come i loro cugini Ryan e Tyler, che ogni weekend vengono chiamati a raccolta e passano insieme a loro tutto il pomeriggio sul divano, dove se non stanno giocando ai videogiochi staranno di sicuro guardando tutti assieme qualche film o qualche vecchio cartone animato. Ma guardare non basta: dopo ogni visione, tutti insieme devono continuare a parlare, analizzare, ipotizzare, riguardare, perché ai loro occhi quelle opere non sono prodotti usa e getta ma sfide, sfide alla loro immaginazione, e come tali vanno sormontate. La crew cresce così, weekend dopo weekend, anno dopo anno, passando da Metal Slug a Ghouls 'n Ghosts, ed è inevitabile che i gusti si affinino, certo, ma tendano anche a livellarsi su uno stesso sentire comune. I giochi si susseguono uno dopo l'altro, e Chad e Jared provano ogni tipo di Run 'n' Gun; poco importa la difficoltà – che per loro è un concetto quasi vuoto – a loro interessa che quelle ore spese a fare e rifare gli stessi livelli ti portino, alla fine, il senso di soddisfazione e di ricompensa agognato. L'unico problema con questi giochi, secondo loro, è che ci sono troppi livelli e troppi pochi boss: sarebbe molto più divertente se fosse il contrario. Il tempo passa, e la crew trova sempre meno tempo di giocare e guardare vecchi cartoni assieme. Kris deve diventare un musicista jazz, e anche Ryan e Tyler seguono altre strade. Ma loro due, Chad e Jared, continuano a trovare il tempo di sfidarsi e di espandere i propri orizzonti, che adesso cominciano a comprendere anche l'universo Nintendo e una console nata da poco, la PlayStation.
IL DEMONIO
All'interno della storia umana, le culture hanno rappresentato il demonio in migliaia di modi e dandogli altrettanti nomi: dalle visioni luciferine di tenebra e luce, bene e male, a quelle animalesche e ancor più sfumate della capra e del serpente, passando per le interpretazioni che associano il diavolo a un insetto (Belzebù, in ebraico, significava in antichità qualcosa come “Signore delle mosche”). Ogni tradizione ha trovato poi la maniera di codificare il ruolo del demonio a modo proprio, ma tra le sterminate caratteristiche e sfumature ce n'è qualcuna che tende ad accomunarle tutte quante, e che sempre si ripresenta: il diavolo è tentatore, maestro dell'inganno e ama giocare sporco. Fare affari con lui è possibile, ma a proprio rischio e pericolo: incoraggiati dalla fiamma dell'ambizione, il prezzo potrebbe essere la nostra stessa anima.
MDHR
Sono passati anni da quando Chad e Jared spendevano ore e ore a giocare ogni giorno, spesso anche sei giorni alla settimana. Il tempo ha prodotto qualche timido tentativo: Chad ha mandato una lettera alla Sega dicendogli come progettare la console che deve raccogliere l'eredità del Sega Mega Drive – che non ha particolarmente apprezzato – e chiedendogli di progettare quella che lui chiama Tri-Genesis, una console a tre processori. Dalla Sega, però, nessuna risposta. Così, assieme a suo fratello Jared, decidono di inventare un gioco tutto loro, o almeno questa è la fantasia: nel 2001 Chad si reca anche alla Game Developers Conference, ma si rende conto che non esistono gli strumenti adatti per creare qualcosa che sia alla loro portata in termini di budget ed esperienza, e decide di lasciar perdere. Il tempo non ha la reputazione di essere galantuomo e così, ora che sono cresciuti, anche le strade di Chad e Jared si separano. Il mondo del lavoro li ha resi white-collar/blue-collar, agli opposti non solo nel mestiere ma spesso anche nel modo di pensare. I due non hanno più tempo di sfidarsi o giocare assieme, e l'orologio dei videogiochi si ferma su una vecchia PlayStation 2 ereditata da Jared chissà come, dopo la quale viene staccata la spina per lasciare posto al suo lavoro nella compagnia edile di papà, mentre quello dei videogame diventa un semplice svago collezionistico. Il mondo del lavoro ha altri piani anche per suo fratello Chad che, dopo aver sposato Maja, intraprende la strada del designer. E così, anche l'ultimo residuo della crew costituito da Chad e Jared si sfalda, e con esso una parte di quel senso di famiglia che dominava l'intero quartiere.
IL MASNADIERE
La storia dei videogiochi è costellata di boss finali famosissimi e iconici, ma è cosa certa che si possa dire lo stesso per un numero altrettanto grande di penultimi boss. Intuendo e riadattando una regola narrativa universalmente valida, molti videogiochi lasciano il meglio di sé, in termini di design, significato e di esperienza generale, verso la fine. Come scrive Robert McKee1, una semplicissima ma universale regola dello storytelling impone di tenere il meglio per la fine, e se fallisci col tuo finale rischierai di compromettere tutto il resto dell'esperienza. È per questo che bisogna puntare tutto sul climax. Che questo sia sempre vero oppure ammetta qualche eccezione, il climax non è però un singolo momento della narrazione, al contrario è qualcosa che si costruisce e che è costituito a sua volta da più punti, più fasi. Se il boss finale di molti videogiochi rappresenta l'inevitabile apice climatico, il penultimo boss è il momento in cui questa fase presa nella sua interezza ha spesso inizio. E non può certo essere un caso che questi boss, spesso in combutta con l'altro – di cui sono scagnozzi o sottoposti – sono però molto più caratterizzati in termini di design, appeal e background, mentre gli ultimissimi boss sono spesso più concettuali e stilizzati, espressioni pure di idee che incarnano l'essenza dell'opera. Per usare un'analogia cinematografica, se ogni videogioco fosse Via col vento e noi come protagonisti fossimo Rossella O'Hara, il boss finale sarebbe Ashley, certo, ma il penultimo sarebbe Rhett Butler.
UNA SCOMMESSA
Nella seconda metà degli anni 2000 il panorama dei videogiochi vede spuntare come dal nulla una delle tante propaggini del fenomeno di internet: è il nuovo boom dell'indie, che esplode grazie a una marea di strumenti e possibilità che solo fino a qualche anno prima sembravano follia. Chad e Jared rimangono affascinati da quest'ultima emanazione del web, e come ai vecchi tempi si buttano sui giochi che escono in quegli anni: Castle Crashers, Super Meat Boy, Braid, solo per dirne alcuni. Capiscono che il treno sta passando in città anche per loro. Decidono di rispolverare quella vecchia fantasia, quella di creare un videogioco. Si rimettono in contatto e creano una demo, un prototipo ancora molto grezzo, ma capiscono che è qualcosa su cui si può lavorare. A questa demo, però, manca ancora qualcosa, manca un'anima vera e propria. Il panorama indie gli stava insegnando che le possibilità sono infinite per chiunque, ma è come se in tutte le opere viste fino a quel momento mancasse una sorta di intimità familiare, di manualità e tradizione, un cuore caldo; lo stesso problema di cui soffre la loro demo. Chad ha fatto il designer per anni, certo, ma Jared ha passato quegli anni a versare il cemento, e sa qual è il valore di un lavoro lento, metodico, fatto a mano. Si mettono a esplorare più possibilità: acquerelli, pennarelli, pixel art pura. Nulla, però, li soddisfa come gli schizzi fatti da Chad a matita di un personaggio che dapprima ha la testa da incudine, e che poi si trasforma lentamente in una tazza con una cannuccia. L'idea che aleggia da quegli schizzi è quella di sviluppare l'intero gioco nello stile dei vecchi cartoni di Disney e dei Fleischer degli anni '30, ma si tratta di un'impresa utopica per due come loro, che non hanno alcuna conoscenza tecnica di game design, figurarsi di animazione tradizionale. Eppure, ogni volta che mostrano agli amici i vari concept per la demo che stanno sviluppando, quelli rimangono tiepidi; è solo quando alla fine Chad gli mostra anche quello schizzo a matita che tutti si convincono: “Ragazzi, dovreste sviluppare questo”. Ma come fare? L'indie ha insegnato che tutto è possibile, d'accordo, ma quello di cui si stanno rendendo conto Chad e Jared è che non tutto è necessariamente fattibile. Una sera, mentre Chad sta facendo delle prove di disegno, sua moglie Maja, a casa in maternità, lo raggiunge alla scrivania e gli chiede di poter provare a fare uno schizzo anche lei: in fondo, da ragazza la sua passione è sempre stata la calligrafia. Tanto basta a Chad per avere la risposta: è questo quello che cercavo. Maja si unisce al team, e nei mesi di maternità passa tutto il tempo a disegnare e aiutare il marito e il cognato nella loro folle fantasia. Quando finisce il periodo di maternità, la chiamano per chiederle quando riprenderà a lavorare: “Mai”, risponde lei.
Così, nel 2013 Chad e Jared presentano la loro agognata demo. L'idea è quella di fare un piccolo videogioco da otto o al massimo dieci boss, ma accade qualcosa che non si aspettavano. Microsoft li chiama e gli dice che quello a cui stanno lavorando è davvero interessante: vogliono l'esclusività. Il tempo passa e il progetto non fa che espandersi, sino a quando all'E3 del 2015 l'accoglienza per il nuovo trailer è così roboante da fargli capire che dev'essere successo qualcosa, qualcosa che neppure loro riescono a comprendere. A quel punto al team si è già unito anche il vecchio Kris, che ora è un musicista jazz a tutti gli effetti, e presto arrivano anche i cugini Tyler e Ryan (che quartiere creativo che era!). Chad e Jared vedono il progetto espandersi al punto tale da coinvolgere chiunque in famiglia, e capiscono che questa è una scommessa da dentro o fuori, tutto o niente. Loro prendono tutte le fish e le piazzano al centro del tavolo: prima scalano i loro lavori da full-time a part-time, per poi re-ipotecare le case e lasciare definitivamente il lavoro, assumere un paio di animatori ed espandere, assieme al gioco, anche la famiglia Moldenhauer. Nel 2017 arriva il momento del lancio dei dadi: è tutto o niente. Il resto della storia lo conosciamo.
IL PROTAGONISTA
I vecchi cartoons anni '30 di Disney e dei Fleischer hanno sperimentato e creato ogni genere di personaggio e mascotte. Utilizzando il principio dell'universalità, gli autori di cartoni animati di quell'epoca hanno capito che per generare immedesimazione con il proprio pubblico era fondamentale trovare il giusto punto d'incontro, che nel loro caso si concretizzava con personaggi che erano sempre, o quasi, animali: dalle Sinfonie allegre di Disney ai corti dei Fleischer, i protagonisti assoluti o i personaggi di spicco sono sempre animali di ogni specie. Riproporre questa formula al giorno d'oggi è ancora una mossa vincente, eppure sarebbe da chiedersi se non sia più interessante provare a rielaborarla e sperimentare un po'. La Disney ci aveva anche provato, in alcune delle sue Sinfonie allegre, come Music Land, dove i protagonisti sono violini e sassofoni antropomorfi. La cosa non ha però avuto un grandissimo seguito, perché è ovvio che sia più facile immedesimarsi in un essere vivente come uno scoiattolo che in un oggetto inanimato come una tazza.
UNA SCOMMESSA VINTA
La storia dei fratelli Moldenhauer è una storia come quella di tanti, che hanno corso un azzardo e l'hanno vinto. Non ha nulla di importante o particolare da insegnarci in questo senso, e anzi è probabile che non vada enfatizzato troppo il fatto che i due siano usciti vincitori da una scommessa rischiosa. La cosa interessante è però che vista dalla prospettiva di Chad e Jared il successo non è mai stata un'ossessione, né l'obiettivo principale da raggiungere. Sin da quando erano bambini, i fratelli Moldenhauer hanno sempre avuto il desiderio di sviluppare un videogioco, e questa fantasia ha continuato a stuzzicarli e pungolarli per anni, senza mai andarsene davvero. Quando viene chiesto a Jared cosa avrebbe fatto se Cuphead si fosse rivelato un buco nell'acqua, la sua risposta è che semplicemente sarebbe tornato a versare cemento assieme a suo padre, ma che sarebbe stato molto felice di farlo, perché avrebbe finalmente dato sfogo alla sua fantasia originale – sua e di suo fratello a dire il vero – quella di creare un videogioco. Chad e Jared hanno creato Cuphead non perché avessero una particolare predilezione per i cartoni animati degli anni '30 o perché odiassero il loro lavoro e si sentissero frustrati, ma perché si sono resi conto che l'unica cosa importante era cercare di essere sinceri nei confronti della principale fantasia dei loro stessi bambini. È questa forma di sincerità e onestà che li ha portati a coinvolgere nello sviluppo di Cuphead i membri della loro famiglia, che costituiscono nella quasi interezza lo Studio MDHR (al punto tale che Chad e Jared si riferiscono a ogni membro del team, sia esso biologicamente collegato a loro o meno, come a un “Moldenhauer”). Il quartiere nel quale vivevano non ha nulla di fatato, e così neppure il nome Moldenhauer; al contrario, nessuno di loro ha mai posseduto un'educazione in fatto di game design o cel animation, ma solo il forte desiderio di fare qualcosa e rimanervi fedele. Più che un gioco indie, Cuphead è un prodotto a conduzione familiare, e questa dimensione così intima e sincera si riflette tanto nel lato più esplicito del gioco – i due fratelli che fanno una scommessa e devono vincerla, o perderanno tutto, è una facile allegoria della storia dei Moldenhauer – quanto in quello più intimista e personale. Difficile dire se Cuphead, un gioco tributo che non inventa quasi nulla ma intuisce molto, passerà alla storia del videogioco per qualche ragione, ma è sicuro che l'esempio fornito dai Moldenhauer di uno studio a conduzione familiare che possiede principi saldi e interamente basati su questa dimensione può dirci molto su come un certo tipo di indie sia in grado di dare risposte e porre domande che ancora meritano attenzione.
Robert McKee, Story. Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per l’arte di scrivere storie, Omero Editore, 2010.