Death Stranding e la libertà di essere “femminili”
Un tema presente fra le righe della controversa opera di Hideo Kojima
Attenzione: l’articolo contiene spoiler sull’intera trama del gioco
A ridosso dell’uscita della Director’s Cut dell’ultimo lavoro di Hideo Kojima, divisivo come non fu neppure il secondo Metal Gear Solid, è ancora acceso lo scontro fra chi ha lodato lo stravagante game designer per la sua capacità di commuovere o di offrire esperienze nuove per il medium e chi invece si è semplicemente annoiato a morte per la ripetitività del gameplay.
Death Stranding è un videogioco in cui il concetto al centro dell’esperienza è dichiaratamente la creazione dei legami. Il protagonista si confronta con una vera e propria fobia del contatto umano che gli impedisce i normali rapporti, mentre il videogiocatore ottiene vantaggi pratici dal partecipare agli sforzi della community nel rendere più facili gli spostamenti: lo scambio di “mi piace” diventa quasi una moneta per questo gioco collaterale, più esterno che interno all’universo narrativo.
Se il tema dell’unione come ragione dell’esistenza è ben chiaro, si può individuare in secondo piano un tema affrontato grazie al modo in cui viene affidato ai personaggi maschili un ruolo che, negli stereotipi di genere, è saldamente femminile: l’accudimento del bambino.
I corrieri che vediamo sono perlopiù uomini, ma si collegano al B.B. mediante un cordone ombelicale e lo trasportano sull’addome durante gli spostamenti. Nel caso di Sam, più unico che raro ma non casualmente nostro avatar, questo porta a una graduale riscoperta della propria identità dimenticata e nascosta. Il modo molto emotivo in cui Sam combatte per la salvezza di “Lou” e in cui esprime sentimenti di apprensione e affetto per il bambino, una creatura mai davvero venuta al mondo che gli ricorda il proprio figlio mai nato, è qualcosa che ancora oggi la nostra società definirebbe senza remore un atteggiamento “non virile” o addirittura “da donnicciola”. Calmare Lou cullandolo è necessario per impiegarne le capacità.
Questo affetto manifesto nei confronti del bambino viene condiviso da Deadman, molto espansivo nei confronti del ritroso Sam ma inizialmente restìo a considerare Lou più che una parte dell’attrezzatura. Anche Deadman è un uomo che non ha alcuna remora nell’esprimere le proprie emozioni: facile all’abbraccio e riconoscente alla Bridges per averlo accolto, il personaggio con il volto di Guillermo Del Toro si risente molto di non piacere al B.B. e trae grande gratificazione mano a mano che viene accettato da lui. L’allergia chirale, risposta umana al contatto con il mondo delle CA, ci restituisce non di rado l’immagine di uomini piangenti, immagine che culmina al concludersi degli eventi nel crollo emotivo di un personaggio dipinto fin dall’inizio del gioco come un individuo losco e un potenziale villain, un uomo tutto d’un pezzo e che appare sempre alla guida in ogni situazione ma che arriva a dichiarare di aver nutrito amore in pari misura per un uomo e per una donna.
Questo ribaltamento dei ruoli è avvertibile anche in aspetti minori del gioco: se le scene nella doccia avessero avuto come protagonista una donna, anziché un massiccio Norman Reedus, sarebbero state facilmente bollate come “fanservice alla Kojima”: ricordiamo lo stucchevole eccesso nell’uso del corpo femminile in Guns of the Patriots. Si sottraggono a questa definizione non per ciò che mostrano (del tutto equivalente) ma per via dell’attribuzione di significato del corpo nudo da parte della società, malizioso e invitante se di donna, simbolo di forza muscolare se maschile.
Per contro, la bella Fragile afferma di non gradire il ruolo di baby sitter e la sua stessa figura viene svuotata di ogni potenza seduttiva dal racconto della sua storia, una vicenda che ha reso il suo corpo avvizzito e invecchiato. Neppure Bridget/Amelie, che è Presidente USA, carica al momento mai ricoperta da una donna, assume una connotazione materna in senso positivo, anzi: in contrasto con la tipica madre creatrice e protettrice, questa donna - che rimane a modo suo una madre - è l’agente massimo di distruzione. Certo, abbiamo Mama, la cui famiglia tutt’altro che tradizionale vede una madre donna e caritatevole, ma il punto della liberazione dallo stereotipo machista non sta nella riduzione della figura femminile quanto nell’ampliamento del ruolo di quella maschile e nello sdoganamento di emotività, lacrime di tristezza e coccole ai bambini per personaggi non per questo meno eroici e “duri”.
Questa immedesimazione con uomini emotivi può dare un importante contributo alle questioni di genere all’interno dei videogiochi, ponendosi come un virtuoso “cavallo di Troia” che fa la sua parte nella normalizzazione di ciò che attualmente normale non è. Non quindi il tipo di sdoganamento al quale assistiamo fin troppo di frequente sul mercato videoludico e cinematografico, cioé l’esaltazione della donna fine a se stessa senza alcuna valutazione sostanziale, fatta tanto per gloriarsi di aver “concesso spazio anche a loro” in un capolavoro di paternalismo (o, peggio ancora, per la boria del sostenere di aver “dimostrato” che anche un elemento femminile possa avere rilievo), bensì una reale visione paritaria, quella che non è sotto il riflettore a gridare “guardate, si può fare” per creare scalpore/polemica ma che è inserita nella normalità della narrazione e che passa quasi inosservata, l’applicazione pratica del criterio per il quale ci sarà vera parità solo quando sarà data per scontata. Solo il tempo ci dirà se Death Stranding sarà rivalutato come fu Sons of Liberty col senno di poi (abbiamo già avuto sgradevolmente modo di vedere quanto i corrieri colleghino un mondo isolato), ma quello che già oggi possiamo dire pochi titoli e ancor meno “tripla A” hanno mostrato la bellezza della libertà di vivere le proprie emozioni anche quando si è dei nerboruti uomini d’azione.