Elden Ring, l'evoluzione che (non?) volevamo
La strada intrapresa da From è più facile che interessante?
Gli spoiler saranno segnalati.
Dopo anni di attesa, di domande, di curiosità e di hype, Elden Ring ci ha infine illuminati con la luce della grazia e abbiamo finalmente scoperto che cosa bolliva nella misteriosa pentola di From Software, gustando la sua tanto ambita rivoluzione, il “gioco più ambizioso”.
Mentre come al solito e come per ogni questione di questo mondo i social si dividono in "capolavoro" e "merda", proverei a fermare un po' le bocce per chiederci, con più attenzione: che minestra è Elden Ring? Di per sé, gustosa, con qualche ingrediente nuovo, con ingredienti vecchi cucinati meglio... per la stessa, identica ricetta.
Era quello che volevamo?
Trovandosi in controllo dell'avatar in Elden Ring all'interno della cappella dell'attesa si viene travolti da un senso di già visto che ha dello schiacciante. Non c'è letteralmente niente di diverso da Dark Souls 3 e l'unica cosa che può essere fatta è sperare che quella sensazione finisca presto.
Finisce presto? Mmmmh. Mica tanto. Personalmente, mi sono sentito in un parco giochi DLC di Dark Souls 3 fino a che non ho smosso la trama sconfiggendo Radahn, decine di ore dopo l'inizio. A quel punto, però, l’Interregno diventa davvero qualcosa che vive autonomamente e che si regge su principi diversi. Quello che non abbiamo avuto in Dark Souls 2 né tantomeno in Dark Souls 3 (ovviamente, nel primo caso cercando disperatamente l’amore dei fan di un gioco molto più curato e nel secondo caso trattandosi di un sequel che sceglieva la facile via del mostrare il “semplice” futuro), qua in Elden Ring è presente e anche con una certa forza.
Ma quindi, mi è piaciuto Elden Ring? Sì, mi è piaciuto molto. Ma ha una marea di problemi e non è il corso che mi auguro per il genere Souls. Vi racconto perché, con la sola pretesa di aggiungere al dibattito il parere di qualcuno che non si straccia le vesti né grida al miracolo.
I pregi di Elden Ring...
Come di consueto, From Software ci sbatte in faccia una direzione artistica ispirata, atmosfere spaesanti e doppiaggi coinvolgenti e inquietanti. L'Interregno è bello nel senso più stretto del termine. La variazione sul tema da fuoco a luce è tutto sommato molto riuscita: l'aspetto del mondo di Elden Ring ricorda, ma si mostra diverso, dalla cupa Lordran, trovo si distingua bene come sia un mondo che si è nutrito di luce.
Il gameplay è davvero molto divertente. È vario, è tutt'altro che scontato e palese ma la sua profondità è molto meno criptica rispetto ai titoli precedenti. Ci sono molte scelte diverse che si possono fare in merito al personaggio, non un'infinità, rispetto a quello che si potrebbe pensare, ma sono molte. Certo, alcune abilità rompono il gioco, ma trattandosi di cose che vanno trovate e che, se non sai dove sono, difficilmente ottieni presto, non lo reputo un problema, anzi: se sapendo giocare il gioco diventa facile, per me è un pregio perché vuol dire che alle run successive non dovrò rompermi i maroni altre 50 ore per farmare.
Come detto, la ricetta è la stessa: un mondo alla fine che ricorre agli ultimi e ai rinnegati come ultima speranza di salvezza. Ci sono però elementi di novità che svolgono bene il loro compito: i grandi attori delle sorti dell'Interregno, Ranni, Radahn, Miquella, Godwyn, riescono a essere letti dal giocatore molto meglio degli sfuggenti dèi di Lordran o degli alieni esseri di Yharnam, si riesce quasi a empatizzare con loro e a sentire, non solo capire, i loro moventi quantomai ambigui. Proprio questa ambiguità è un altro aspetto positivo: più che mai siamo di fronte a entità complesse da identificare come positive o negative e l'indecisione sul da farsi con loro non è una semplice assenza di informazioni, anzi, è puntualmente un dilemma da sbrogliare decidendo su quale idea - spesso ugualmente legittima - puntare.
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Se risulta abbastanza chiara la spietatezza di scelte come bruciare tutto nel caos o deviare l'intero mondo con una maledizione, scegliere tra l'avvento dell'Era delle Stelle con tutte le sue incognite, la restaurazione dell'Ordine Aureo in chiave mortale o la fine della persecuzione di una specie dannosa ma incolpevole come i non morti è qualcosa che va al di là del good/bad ending.
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Anche i personaggi secondari sono mediamente molto più vari e interessanti rispetto al passato, le loro storie - se si riesce a mandare avanti le loro quest tradizionalmente macchinose - sono ben leggibili e del tutto contestualizzate nell'ambientazione del gioco.
...e i suoi problemi
Purtroppo, questo quadro bellissimo è letteralmente impastoiato da problemi che non sono frutto di inesperienza né di limite tecnico, ma proprio di poco coraggio se non di negligenza. Non sono problematiche legate a quello che i più si aspettavano o meno, desideravano o meno, da questo titolo, sono proprio criticità del gioco in sé.
Per prima cosa, l'importanza storica di un gioco del genere non può che essere relativa. Anche se tutto ciò che abbiamo amato nel game design dei Souls è presente in Elden Ring in forma raffinata, questa non è nient'altro che una raffinazione di cose ampiamente già viste e giocate. Ok, è "meglio" di com'era prima, ma è sempre la stessa solfa. È bello da giocare, ma l'ho già giocato. Elden Ring è clamorosamente d'impatto, come struttura di gioco... se da 10 anni non giocavi ai titoli From Software. Tra l'altro, pur ritenendo Sekiro un titolo eccellente solo in termini di gameplay mentre uno zero assoluto in termini di trama, personaggi e messaggio, non ho dubbi nell'affermare che sia stato un lavoro molto più ragionato, molto più coraggioso e molto più, se vogliamo, rispettoso. Vale la pena anche far notare che, prima dell'uscita di Elden Ring, si parlava di quest’ultimo come della sintesi di tutta l'esperienza From: bene, è platealmente falso. Sekiro qua non c'è, siamo solo in un Dark Souls 3 nel quale puoi saltare e attaccare dopo una parata. Siamo tornati indietro a gran velocità. Per questa ragione, anche se in termini di escapismo e di scenari affascinanti si tratta di un titolo assolutamente pregevole, non credo si possa negare la gravità di un problema che purtroppo è sentito da un po' di anni e comincia a diventare sensato chiedersi se la rivoluzione di From non sia finita nello scorso decennio e Hidetaka Miyazaki non abbia da tempo esaurito le cose che aveva da dire. Elden Ring è il blockbuster di casa From: "vi piace Dark Souls con le sue build e la sua esplorazione? Lo facciamo gigantesco, con tantissime build e open world".
L'Interregno, per quanto bello, è funestato dal problema che trovo sia il più pesante in assoluto (e il più diffuso) per un titolo open world: si vede che è finto e che è solo un enorme parco giochi in attesa che l'avatar del giocatore ci si muova dentro. Finché il giocatore non si avventura in una location, questa è vuota e inutile. Quando ci si avventura, è comunque spesso vuota e inutile perché popolata solo da mob vaganti in aree chiaramente non pensate per "vivere di vita propria". Per esplorare, si compiono salti e spostamenti fatti apposta per le possibilità di movimento del nostro avatar o della sua cavalcatura (non è chiaro come le altre persone si spostino, trovando barriere architettoniche o geografiche invalicabili ogni pochi metri). La morfologia delle regioni è un puzzle disastrato con monconi di roccia, rupi, altopiani convenientemente posizionati e, quando il world designer non sapeva come risolvere un problema, ci abbiamo messo una corrente d'aria o un teletrasporto per aggirare la regola standard di esplorazione.
Arrivati ormai all'ennesimo titolo in cui il mondo è tutto strano, frastagliato, contorto e scomposto perché "il tempo è stagnante", "i cicli lo hanno sconvolto", "l'apocalisse è imminente", "è un incubo", credo che dovremmo guardaci nelle palle degli occhi e dirci onestamente che From ha rotto i coglioni con queste scuse di bassa lega e che è il caso che studi un po' di world building sforzandosi di non ripararsi dietro a comodi paravento. “Il mondo è sconvolto” sempre guarda caso come serve all’avatar per avanzare. Ma pensa le coincidenze. Dai, basta boiate e impegnatevi un po’. Il mondo di Elden Ring non è altro che una landa dalla conformazione improbabile e inverosimile piena di gente da menare per il solo gusto di menarla, nessuno spessore, nessuna storia, nessuna vicenda tale da far capire che quelle terre sono vissute. Plastica pura.
Questo difetto si ripercuote anche sulla narrazione: nonostante le entità alle prese con i massimi sistemi di quel mondo siano molte di più e molto più attive rispetto ai Lord di Dark Souls, alle prese con piani enormi che coinvolgono il destino, la rivoluzione totale dello status quo, il movimento delle stelle, perfino loro sono condannate all'immobilità finché il giocatore non svolge le loro quest. Non c'è personaggio che abiti l'Interregno capace di muovere un solo passo se il personaggio non lo prende a calci nel deretano. Mano a mano che si gioca, questo problema assume connotati demenziali: nonostante il costante schierarsi del personaggio, le quest proseguono invariate annullando il peso di quella scelta e quindi l'importanza del decidere quale tesi appoggiare. Nell'articolo su The Witcher 3 ho parlato della cosa dal punto di vista di un gioco invece molto riuscito.
Si può notare una grande approssimatività anche in altre soluzioni adottate. Il mistero di Radagon, introdotto davvero benissimo alla Chiesa dei Voti e permanente nella mente del giocatore per tutto il corso dell'avventura come qualcosa di cruciale, viene risolto con un cambio di modello e un prompt. Benché le premesse avrebbero consentito di studiare una più raffinata soluzione dell'enigma, lo si è invece liquidato con un risparmio di tempo a mio avviso molto inelegante. È un vero peccato, dal momento che l'effetto dirompente della rivelazione ne risulta pressoché intatto e che, se meglio gestito, avrebbe potuto rivaleggiare con la scoperta dei Grandi Esseri in Bloodborne.
Non è raro trovarsi di fronte a dialoghi con scelte... non multiple. Ovvero, il gioco chiede di selezionare un'opzione ma c'è una sola opzione selezionabile. Abbastanza discutibile, come scelta, e raccontare le cose meglio senza costringere a fingere di star colloquiando con i NPC sarebbe stato certamente più apprezzabile e anche più professionale.
Le catacombe sono più differenziate rispetto ai chalice dungeon dei quali sono eredi, ma sono nuovamente utili solo al potenziamento del personaggio e solo in casi rarissimi hanno un rilievo di lore, cosa ben diversa rispetto alle promesse magnifiche del periodo precedente al lancio del gioco. Per un mondo che propone di farsi esplorare per riscoprirne la storia, questo è davvero un bel problema. Se vedo una grotta e inizia a non fregarmene niente, c’è qualcosa che è andato molto storto.
Veniamo poi a quello che è forse il più maleodorante dei problemi di Elden Ring: il riciclo. Nei vari Soulsborne abbiamo visto varie forme di riciclo degli asset e dei modelli, quando ben contestualizzato, quando molto pigro. Ecco, in Elden Ring, già affetto da una riproposizione di modelli e animazioni da Dark Souls 3, abbiamo probabilmente l'iterazione più disastrosa di questa grande tradizione di casa From: non solo il riciclo è pigro, ma è anche reiterato oltre ogni decenza al punto che spesso un boss o un nemico comune (che prima era un boss) suscitano reazioni di seccatura e frustrazione, gravissime già in un gioco più lineare ma semplicemente devastanti in un open world che dovrebbe premiare l'esplorazione e invece ripropone costantemente la stessa creatura fino alla nausea. Più volte, nell’arena dei boss, si pensa “sarebbe stato meglio trovare una stanza vuota che il solito cagone già incontrato venti volte”.
Tutti questi punti non derivano da qualcosa che “non poteva esser fatto meglio”, derivano dalla scelta delle priorità nello sviluppo del gioco e queste priorità non contemplavano, ai primi posti, la cura e l’autorialità quanto piuttosto il “woah, guarda che mondo davvero gigantesco e guarda quante cose puoi fare”. Sbagliato? No, hanno venduto benissimo. Ma dei motivi per cui i Souls sono i Souls non è rimasto che lo strategic swordplay. In termini di “fato” del genere Souls non può non esserci un po’ di dispiacere nel veder finire così quello che relativamente poco tempo fa era il brand più lodato per aver reinventato generi e per aver indotto molti a tentare di seguirne la scia senza successo, nel vedere la serie campionessa del decennio scorso finire come una scatola bella e colorata senza niente dentro. Elden Ring, il gioco più ambizioso, dicevamo. Sarebbe questa l’ambizione?
Quali strade per il genere Souls?
Una delle vie è quella imboccata: il (super) giochillo fine a se stesso, ben fatto per passare numerose ore a fare cose già fatte ma via via sempre più rifinite fino a un’eccellenza che non è chiaro chi stia cercando e perché.
Un’altra strada potrebbe essere, dopo questo sfoggio di game design bulimico, iniziare a lavorare per sottrazione e capire che cosa arricchisce l’esperienza e che cosa invece non è altro che materiale riempi-ore. I Souls sono un filone nato grazie all’ispirazione di ICO. Chi scrive vi confessa che vorrebbe davvero vedere un titolo “alla ICO o alla Shadow of the Colossus” con un gameplay Souls (visto che il gameplay di ICO e SotC è una tassa). Niente lande fini a loro stesse, niente mob piazzati in favor di ascia, niente grandi mondi sull’orlo del collasso e neppure grandi mondi in salute, nel caso, quanto piuttosto un ritorno al disorientamento e all’inquietudine dello spaesamento, al silenzio e all’atmosfera.
Elden Ring è stato presentato come un franchise, è data per certa l’uscita di un DLC e potremmo prevedere anche dei sequel visto che, volendo, di cose da raccontare ce ne sono, quindi pare che la scelta sia stata fatta almeno per i prossimi anni. Credo si possa dire che ci troviamo a un punto di svolta abbastanza centrale: From continuerà a vivere di rendita e i Souls attenderanno qualcuno in grado di raccoglierne l’eredità oppure riuscirà a rinfrescare il proprio comparto creativo, magari con menti nuove e talentuose, e riuscirà a fare i passi successivi sulla strada che ha aperto?