“La metafisica è quella branca della filosofia che, andando oltre gli elementi contingenti dell'esperienza sensibile, si occupa degli aspetti più autentici e fondamentali della realtà, secondo la prospettiva più ampia e universale possibile.
Nel tentativo di superare gli elementi instabili, mutevoli, e accidentali dei fenomeni, la metafisica concentra la propria attenzione su ciò che considera eterno, stabile, necessario, assoluto, per cercare di cogliere le strutture fondamentali dell'essere.
All'ambito della ricerca metafisica tradizionale appartengono problemi quali la questione dell'esistenza di Dio, dell'immortalità dell’anima, dell'essere "in sé", dell'origine e il senso del cosmo, nonché la questione dell'eventuale relazione fra la trascendenza dell’essere e l’immanenza degli enti materiali.
Con il termine metafisica si può intendere “ciò che va oltre alla fisica” e perciò “ciò che va oltre alla natura”.
Tratto da Wikipedia
Ho comprato Shin Megame Tensei V al day one nonostante non sapessi a cosa sarei andato incontro, l’attesa durava da un paio d’anni e non vedevo l’ora di averlo tra le mie mani, impaziente di scoprire a cosa mi avrebbe portato quest’esperienza.
Sono un neofita dei Giochi di Ruolo Giapponesi, l’unico approcciato fu a suo tempo Final Fantasy XII su PS2; lo abbandonai dopo poco e decisi di non essere portato per questa tipologia di videogame.
Con mia sorpresa, un paio d’anni fa, è successa una magia: ho giocato, terminato e platinato Persona 5 e mi ha aperto la testa in due.
Non sono mai stato interessato al Giappone, ma negli anni scorsi, per qualche motivo, mi è nata un’improvvisa curiosità nei confronti della cultura nipponica. Mi sono buttato a capofitto in questo nuovo mondo per recuperare anime, manga, film e libri, finché non sono arrivato al punto in cui ho capito che dovevo riprovarci con i JRPG.
Dopo varie ricerche ho scoperto che “l’Internet” indicava come miglior esponente moderno di questo genere Persona 5, cosí ho deciso di comprarlo nella versione Royal - col cavolo che me lo volevo giocare in inglese - e l’ho cominciato. L’impatto iniziale non fu dei migliori, ma un passettino alla volta, un centinaio di dialoghi dopo -quindi le prime tre ore di gioco-, mi accorsi di essere ormai immerso in un modo completamente nuovo per me, sia ludicamente sia narrativamente parlando.
Persona 5 lo ritengo colmo di pesanti difetti, ma nonostante questo lo considero uno dei miei giochi da top 10, proprio grazie al merito di avermi fatto innamorare di questo nuovo mondo: i JRPG.
Approfondendo il discorso dei Persona ho scoperto che, in realtà, sono solo una costola di una serie chiamata Megami Tensei, videogiochi nati secoli fa, amatissimi da una forte nicchia di giocatori. Questi misteriosi Shin Megami Tensei hanno la nomea di giochi difficilissimi, di JRPG cattivissimi, i Dark Souls dei giochi di ruolo giapponesi (so che può sembrare una battuta ma lo si dice davvero).
Appena ho scoperto che, a novembre del 2021, sarebbe uscito il quinto capitolo di questa saga ho capito che era un segno, dovevo affrontare l’inevitabile.
E così feci.
Arrivato il day one, dopo averlo acquistato, portato a casa e installato sulla Switch era finalmente giunto il momento della verità.
Fin dalla prima accensione mi sono trovato dinnanzi a qualcosa di completamente nuovo, tutto sembrava volermi destabilizzare: dialoghi effimeri, inquadrature esasperate, colori vividi e accesi, un’atmosfera densa e palpabile, situazioni assurde e grottesche, un senso di disagio inafferrabile, il tutto condito da una colonna sonora inquietante e distorta.
Tutto questo mi teneva incollato alla Switch, come se stessi giocando ad un videogame per la prima volta.
Dopo decine di ore di gameplay ho capito di trovarmi di fronte a tutto ciò che speravo che fosse: un Persona 5 esente dai suoi difetti e migliore in tutte le sue parti. Un gioco incredibilmente difficile, profondo, che tratta di concetti astratti e filosofici, un gioco da capire e in cui perdersi per poi ritrovarsi. Finalmente avevo tra le mani un gran prodotto, uno di quelli che non trovavo da un po’ di tempo, un’opera così non la vedevo da…Bloodborne, l’unico altro gioco che mi ha fatto sentire esattamente così: spaesato nei confronti di qualcosa a me sconosciuto.
Ciò su cui voglio soffermarmi però non è tanto il gameplay o la narrativa, ma il comparto visivo. Incredibile. Semplicemente indimenticabile (non che gli altri comparti del gioco non lo siano, anzi).
Dovete capire che chi sta scrivendo lavora come disegnatore di fumetti o illustratore -a seconda di cosa mi viene commissionato- perciò mi viene molto naturale perdermi nell’estetica dei prodotti, che siano videogiochi, film o altro. In Shin Megami Tensei V ho praticamente raggiunto la pace dei sensi più e più volte, è incredibile notare come niente sia lasciato al caso: le inquadrature, il design dei personaggi, la regia, le tracce della colonna sonora e ogni singolo elemento è pensato e ricercato.
Potrei facilmente parlare dell’utilizzo dello sfocato, non tanto come tecnica, ma come scelta stilistica.
Nelle inquadrature delle cutscene o dei dialoghi con i png si può notare come ci sia un gioco pesante della messa a fuoco, la sfocatura non nasce come conseguenza, ma come desiderio di espressività della scena. Per fare un esempio: dipingendo un’illustrazione scelgo di rappresentare lo sfondo, dietro il quale si muovono i personaggi, indefinito per rendere ancora più chiari quali sono gli elementi su cui mi voglio focalizzare. In un certo senso è un processo inverso, lavoro per sottrazione, tolgo appositamente la possibilità di mostrare chiaramente ciò che c’è per obbligare a vedere quello che voglio.
Sono queste le decisioni che si prendono dietro a un’opera perché si vuole dare un significato: questa è arte.
Infatti, l’aspetto estetico di un’opera che voglio creare dipende da ciò che voglio raccontare. Pertanto non bisognerebbe ricercare la bellezza nella quantità di pixel o nella potenza grafica, perché la si troverà sempre nelle scelte stilistiche.
In SMTV si ha perennemente sotto gli occhi l’evidente ricerca del bello attraverso l’uso di elementi distorti: come le forme geometriche conosciute che diventano aliene, perché inserite in contesti che la nostra mente ci indica come errati. Mi rimarranno sempre impressi quei momenti in cui il Nahobino -l’alterego del giocatore- corre sulla sabbia dorata di un vasto deserto che ricopre gli scheletri di quelli che una volta erano i palazzi di Tokyo, qua e là vari pilastri disseminati che si estendono ad altezze impossibili e nel cielo enormi strutture sferiche che, silenziose, si stagliano immobili e che, colpite dalla luce del sole, creano raggi d’ombra che arrivano fino al suolo; o come quando ho visitato per la prima volta una delle aree di gioco e mi sono trovato di fronte a qualcosa di completamente diverso da quella precedente nella struttura e nei colori, nei giochi di forme e nel design ludico.
Vi è una sorta di progressione all’interno della complessità delle aree di gioco: la quarta area è molto più complessa da affrontare rispetto alla prima, non solo da un punto di vista di difficoltà dei nemici, ma anche nell’esplorazione stessa. Infatti, mi sono perso più volte e ho impiegato quasi il doppio del tempo, rispetto le altre tre, per riuscire a concluderla.
Se nella prima area di gioco si affronta un vasto deserto nel quale i vari punti di interesse sono visibili in lontananza, la quarta è letteralmente un labirinto di edifici e forme geometriche in movimento che nascondono nemici e segreti.
Mi sono trovato a percorrere degli ambienti nei quali dovevo capire che strada intraprendere perché le architetture rovesciate mi confondevano. Non venivo guidato verso la meta, ma anzi veniva incentivata la mia voglia di perdermi. Un gioco che è costruito per renderti difficile raggiungere l’obiettivo, sembra assurdo dirlo, ma al giorno d’oggi è raro che accada. Purtroppo i giocatori ormai sono abituati a prodotti che prendono per mano e obbligano a finire il gioco, anzi consigliano di diminuire la difficoltà in caso di troppe sconfitte.
In SMTV la mappa di gioco è un dungeon stesso, un labirinto di forme ed elementi che é necessario capire come attraversare. Un quadro metafisico interattivo in cui perdersi. La cosa interessante è che funziona sia a livello estetico sia a livello ludico.
Non dimenticherò mai l’emozione provata quando, per la prima volta, ho mosso la telecamera per guardare il cielo e con mia sorpresa era abitato da cubi, sfere e nastri luminescenti, elementi innaturali che erano resi vividi dal loro essere realmente presenti, perché vivevano delle stesse regole degli altri, allora quella diveniva la nuova realtà, non era sbagliata, solamente diversa.
Incredibile, inoltre, come le tracce della colonna sonora si sposino alla perfezione con il mondo di gioco, tutto ciò che ho raccontato a livello visivo viene amplificato grazie al sottofondo musicale che accompagna perennemente l’avventura. Una OST indimenticabile, composta da melodie dissonanti, suoni all’apparenza fastidiosi, cori inquietanti e chitarre distorte. Tutto questo non fa altro che aumentare ancora di più la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di ultra terreno.
Ci sarebbero tantissimi esempi che vorrei fare per approfondire ancora di più l’aspetto visivo e uditivo del gioco, momenti che mi sono rimasti impressi nella memoria e che vorrei raccontare -come se fosse uno sfogo- però non voglio né fare una lista né rovinare la sorpresa a qualcuno.
A questo punto non mi resta che spendere due parole sulla narrativa: l’aspetto metafisico non si ferma alla sola ambientazione, perché anche i temi trattati sono colmi di astrazione ed elementi al di fuori della nostra realtà. Senza entrare troppo nel dettaglio si parla di divinità: cosa vuol dire essere un Dio e come si fa a diventarlo, ma anche come si fa a perdere la propria divinità perché se n’è persa la Conoscenza.
La maiuscola non è a caso, perché questa parola all’interno del gioco assume un significato veramente centrale, quasi come se fosse una dei protagonisti.
Ma cos’è questa Conoscenza? Perché ottenerla dovrebbe renderti un Dio? Com’è possibile perderla e cosa succede quando ciò accade?
Tutte domande a cui non voglio dare risposta per evitare di rovinare determinati concetti che il gioco ha da offrire. Mi basta dire che spesso e volentieri mi sono ritrovato a ragionare, al di fuori delle mie sessioni di gioco, su cosa stava raccontando SMTV. Sono a dir poco incalcolabili i messaggi audio che ho mandato ai miei amici, appassionati di videogiochi, nei quali spendevo delle ore per delirare sui concetti del gioco. Come sono innumerevoli anche le foto e i video -realizzati giocando- che ho raccolto e con i quali ho intasato le memorie dei cellulari delle persone a me care.
Insomma, questo videogioco mi è piaciuto da matti, se non si era capito.
Ci tengo però a sottolineare che non é tutto oro ciò che luccica. All’interno dell’opera,infatti, ci sono un paio di dungeon -di struttura più classica- che a mio parere spezzano il ritmo dell’avventura.
Il design di questi due livelli non è assolutamente paragonabile alle macro aree - niente di realmente grave o che possa inficiare la qualità del gioco-, ma devo ammettere che in entrambi casi non vedevo l’ora di portarli a termine per poter tornare alle zone principali. Il motivo per il quale dico questo è che i due labirinti sono affrontabili in un solo modo: c’è sempre e solo una soluzione per poter proseguire e per quanto questo non sia un errore in sé, a mio parere, stona rispetto alla libertà che il resto del gioco offre.
Nonostante questi due piccoli inciampi ritengo che Shin Megami Tensei V sia una delle migliori esperienze videoludiche avute nella mia vita: un videogame imprescindibile, un’opera di cui vorrei perdere completamente la memoria solo per poterlo rivivere nuovamente.
Illustrazione di mia realizzazione.
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