La migliore recensione di Elden Ring
La creatività del videogiocatore, dalla speedrun ad Iron Pineapple
Si dice spesso, soprattutto per quanto riguarda un certo tipo di open world o di RPG, che i videogiochi siano una forma d’arte unica perché consentono di intraprendere una avventura personalizzata all’interno del mondo di gioco. Ma l’importanza del famigerato “peso della scelta”, al contrario dell’opinione diffusa, non risiede in una altrimenti rudimentale simulazione del libero arbitrio in uno spazio ludico. Anzi, quando è così, il gioco perde rapidamente di interesse a causa della superficialità e della ridondanza di una tale simulazione: ci si ridurrebbe ad affermare la banalità per cui “scegliere ha delle conseguenze”. Piuttosto, “il peso della scelta” è interessante quando diventa una meccanica saliente del design del gioco, ovvero quando l’azione di scegliere, spogliata di tutte le sue zavorre filosoficheggianti, diventa prima di tutto puro gameplay. Prendere il bivio a destra nella palude o a sinistra nelle fogne? Fare un livello in Forza o in Vitalità? Sono queste le domande vitali che il player si pone ed è nelle scelte decisive per il player che deve annidarsi un’eventuale profondità ulteriore del gioco. La scelta, e la varietà delle scelte, è tanto rilevante quanto più quella varietà è significativa, ed è significativa quanto più le scelte hanno un costo. Perdere la strada attraverso la palude e perderla per sempre perché si è scelta un altra via, oppure morire dal prossimo boss in una battaglia che a parità di colpi inferti, avrebbe ucciso il boss se quel livello fosse stato speso in Forza. Sono i costi che rendono interessanti le scelte perché costringono il giocatore all’attenzione e lo fanno immergere nell’interazione conferendo solidità e coerenza realistica alla finzione. Io sono un amante dei videogiochi lineari e dei sensi obbligati, dei bivi che sono solo apparentemente bivi e che si rivelano essere delle strade che girano in tondo. Ma oggi voglio riflettere sul potenziale ludico e filosofico della varietà, non solo quella suggerita ma di fatto illusoria (come la varietà e vastità illusorie di Dark Souls), ma la varietà effettiva e soverchiante di giochi come Zelda: Breath of the Wild o Elden Ring (pur nelle enormi differenze) così stratificati nelle loro possibilità combinatorie da lasciare spesso infastiditi da una proliferazione di possibilità che non si è in grado di gestire. Qual è, se esiste, il valore della varietà in un gioco come Elden Ring?
LUCI DEL(LA) VARIETÁ
Tutte le esperienze ludiche (o artistiche in genere) sono personali, nel senso letterale per cui sono “di qualcuno in particolare”, ma non tutte sono personalizzabili, nel senso che la successione e i dettagli dell’opera stessa nello svolgersi della sua storia, possono variare con effetti decisivi sulla fruizione dell’opera stessa. La successione dei versi dei Quattro Quartetti di Eliot rimarrà sempre la stessa, imperturbabile, nonostante, ironicamente, il tema dell’opera sia la frammentarietà e la perturbabilità della percezione del tempo. La successione degli eventi in Zelda: Breath of the Wild invece cambierà a seconda della partita, e anche lo stesso giocatore, rigiocando il titolo, non darà mai vita alla medesima configurazione degli eventi ludici. Di recente, ad esempio, mi è capitato di rigiocare Elden Ring, e la semplice variazione di un singolo dettaglio strategico di gameplay, quella di non usare mai la Mimic Tear nel corso del gioco, ha mutato profondamente l’esperienza complessiva rispetto alla prima run. Questo, prima di tutto, mi ha ricordato una certa cura meta-ludica che è richiesta a chi si trovi a produrre un testo critico su un videogioco dove c’è una ampia quota di personalizzazione dell’esperienza. Intendo che un bravo critico, difronte a un titolo come Elden Ring, dovrebbe cercare di riflettere, oltre che sulla sua contingente (vista la varietà possibile) esperienza personale e al di là del suo approccio di gameplay, soprattutto sulle conseguenze che la varietà stessa delle scelte possibili, in quanto meccanica di design, ha sulla coerenza generale dell’opera: in effetti, è in quella varietà che si annida la specificità di design di un titolo come Elden Ring, più che nello specifico utilizzo di questa o quella meccanica. A distanza di un anno, la mia opinione in merito a questa varietà meta ludica non è cambiata molto (anzi si è confermata, constatando le difficoltà di bilanciamento del gioco e la sproporzione di alcuni approcci rispetto ad altri, la diluizione del contenuto causata dalla debolezza dell’open world e i problemi di ritmo) ma allo stesso tempo, la stessa soverchiante varietà che indirizza verso un giudizio non esaltante, rende il titolo interessante in un'altra maniera. La mia opinione si è infatti arricchita proprio in direzione di un apprezzamento per un effetto collaterale del design dei Souls che avevo sempre ammirato ma che con Elden Ring esplode proprio a causa della sua stratificata varietà che prende il posto della sintesi espressiva degli altri giochi di Miyazaki: la creatività nella sperimentazione di meccaniche per cui il gioco non era chiaramente inteso ma che sono comunque possibili come by-product del design complessivo.
IL CREATIVO ELEGANTE
Chiunque abbia mai visto su YouTube una speedrun di Dark Souls (e ora anche di Elden Ring) sa che nel tempo una comunità sempre più ampia si è dedicata alla ricerca di metodi creativi per saltare intere porzioni del mondo di gioco con dei “trucchetti”. Non sto parlando dei glitch, che sono delle perturbazioni nel codice, ma di metodi perfettamente leciti dal punto di vista della liceità ludica. Scorciatoie, salti imprudenti, cadute letali da cui si viene graziati grazie agli i-frame di animazioni consentite dal gioco, e così via. C’è tutto un repertorio di metodi creativi escogitati per giocare il gioco contro sé stesso più che per giocare fuori dal gioco come avviene quando si sfruttano dei glitch. Questa pratica è filosoficamente molto avvincente, perché permette davvero l’espressione di una creatività la cui quota è equamente distribuita tra designer e player, molto più di quanto avviene quando, come nella maggior parte del tempo, siamo esecutori di un programma preparato per essere fruito in un certo modo. Non si sta azzardando una gerarchia, ma semplicemente registrando una interessante differenza. Quando lo speedrunner escogita una nuova scorciatoia è molto più creativamente attivo di chi segue la strada più lunga ma prevista dal designer. Ma l’interesse filosofico della pratica dello speedrunner è, come ho detto, che non sta facendo nulla di diverso da quello che fa il giocatore normale, perché continua a muoversi nelle possibilità previste dal codice di gioco, senza sfruttare suoi eventuali fuori pista per un facile sorpasso. Questo ci ricorda una volta di più che più stretti sono i limiti in cui ci si costringe, più evidente sarà la creatività che emerge al loro interno: è per questo che siamo impressionati quando vediamo una grande storia raccontata su un soggetto irrilevante. Vediamo un argomento limitato nella quantità di collegamenti interessanti, e allo stesso tempo una grande abilità nel far fruttare quei pochi collegamenti, e rimaniamo meravigliati. La speedrun è il modo più simile di rendere un Souls simile a un gioco simulativo di guida, non per la componente simulativa legata alla quantità di feedback ricevuti, ma per la precisione dell’esecuzione necessaria, a cui si aggiunge la creatività dell’ideazione della strada da seguire: quindi un processo di scoperta e uno di affinamento in cui l’apporto individuale è fondamentale e quindi creativamente rilevante.
IL CREATIVO CAOTICO
Altrettanto interessante, e all’altro capo dello spettro della creatività ludica rispetto alla sintetica eleganza della speedrun, c'è l’antieconomica passione per i what if più estremi, il piacere della domanda paradossale e la seduzione dell’assurdo, della ricerca delle possibilità e dei limiti del design nel punto in cui la stupidità diventa talmente pesante da piegarsi e fare il giro. Se lo speedrunner ha come ambizione quella del giro perfetto, dell’estasi del millesimo di secondo, del trionfo del risparmio, il creativo caotico non ha regole se non la liceità di design delle sue domande. Mentre il primo assomiglia più al lavoro del maniacale pilota perfezionista di F1, questo secondo è più simile a un collaudatore delirante. Nella community dei souls esiste un nome che eleva quel caos a creatività e l’assurdo a sistematica esecuzione di gameplay: Iron Pineapple, che più dei ricercatori di lore e degli speedrunner professionisti, credo sia il più creativo dei giocatori di Souls online. I suoi video sono il risultato della coincidenza tra un giocatore mediocre e un eccellente conoscitore teorico delle meccaniche del gioco. È l'esatto opposto del giocatore hardcore professionista della speedrun: il riscatto dell'uomo comune, del giocatore scarso ma capace di aggirare le difficoltà giocando in modo pavido ma intelligente. Davanti a un pericolo Iron Pineapple scapperebbe. Ma sempre e comunque in modo creativo. E infatti tra i suoi video più visti ci sono:
Can you beat Elden Ring without attacking?
Can you beat Elden Ring at Level 1 (without being good)?
Can I beat extremely unfair Elden Ring Mod?
Can you beat Elden Ring while over the Max equip load?
Sulle prime, possono sembrare superficiali domanda da nerd, ma in realtà sono dei veri e propri esperimenti sui limiti e le possibilità del design di un videogioco. Quello che colpisce dei video di Iron Pineapple è il resoconto analitico del suo approccio creativo, come se fosse una lezione di reverse engineering delle meccaniche della creatività richiesta per risolvere dei problemi sperimentali. Iron Pineapple si pone una domanda, quella che poi costituirà il titolo del video, e passo per passo espone il processo attraverso il quale ha verificato la possibilità di darvi una risposta, con i tentativi che ha messo in atto rispettando le assurde limitazioni che lui stesso si è imposto, anche arrivando a contraddire la filosofia di design stessa del titolo (come quando si batte un action game basato sul combat system, senza attaccare). Elenca i tentativi andati a vuoto, i vicoli ciechi, le smentite da parte del gioco, i successi, tutto passo per passo seguendo gli snodi e i muri che il gioco stesso mette di fronte, come l’accesso a abilità o aree più avanzate che hanno effetti a cascata sulla possibilità di realizzare gli obiettivi che si pone. Ma appunto, qui l’unico obiettivo, al contrario della speedrun, è quello di finire il gioco, non importa quanto tempo ci si impiegherà a farlo. Una scelta del tutto “antiestetica”, spesso noiosa nell’esecuzione (come nel video in cui ha dimostrato di poter battere il gioco in carico massimo), ma estremamente creativa nei modi escogitati per affrontare le sfide. Esplorare i limiti del design di un gioco è un lavoro interessante perché l’assurdità delle domande che un gioco riesce a rendere sensate in sede di concreta esecuzione, corrisponde alla varietà che il design di un gioco esibisce e alla cura con cui si armonizzano le sue implicazioni. Una armonia che conosce un solo imperativo e una sola condizione quando si parla di videogiochi: che il videogioco sia di fatto battibile. I suoi esperimenti ludici rispondono alla filosofia per cui capiamo come funziona qualcosa quando la facciamo funzionare in modi per cui non era stata pensata: questo chiarifica perché ci fa vedere in filigrana e ci libera da molti pregiudizi legati al conformismo delle valutazioni (soprattutto sui videogiochi). In questo, Iron Pineapple è il più intelligente dei difensori di Elden Ring e della sua unicità proprio quando si rifiuta di recensirlo in modo conformistico ma ne recensisce implicitamente l’enorme complessità, mostrandola in azione. Così un video comico su un tizio che va in giro camminando come una lumaca perché è in carico massimo, invece di essere un semplice video comico, diventa una dissezione molto più originale di tutte le recensioni che troverete online sulla stampa specializzata.
BRAINS IN A LAB
Il potere dell’interazione è anche questo: creare dei meccanismi di feedback loop così intricati e vari che l’eco delle loro onde arriva così lontano che a distanza di anni si continuano a esplorare i limiti e le potenzialità del design di un gioco. Cosa è tollerato nell’ “ontologia” di un gioco e cosa nel gioco è impossibile “oggettivamente", sono domande così intriganti perché delle risposte esaustive e definitive sfuggono ai loro stessi creatori e quindi richiedono la creatività dei giocatori per essere esplorate. Sapremo per sempre che Frodo non si è mai sposato durante Il Signore degli Anelli, ma chi sa dire se un giorno qualcuno riuscirà a battere Elden Ring facendo cadere nel vuoto tutti i boss del gioco?
Potrà sembrare una specificità stupida o trascurabile, ma forse la vera poesia del videogioco sta in questa particolare forma di relativismo ontologico così ben espressa dall’enorme, stancante e poco “soulsiana” varietà di Elden Ring: finché non c’è un esperimento, non ci sono risposte certe su cosa è possibile e cosa no e su cosa debba valere come vero e come falso. Il videogioco può educare a una tale forma di sperimentazione, più caotica e più semplice, meno precisa di quella del laboratorio, ma animata da una curiosità non meno affascinante. Perché, mentre nella letteratura l’esperimento consiste nel leggere il libro per verificare l’informazione, nel videogioco dobbiamo preparare l’esperimento, eseguirlo, correggerlo, riformularlo. Un po’ come se il codice fosse il nostro laboratorio. Una forma di educazione ai limiti e di meraviglia per le possibilità che forse è così potente solo in un videogioco.