Narrazione e linguaggio non-verbale: uno studio semiotico, parte 1
Verso un uso pratico della semiotica applicata al videogioco
Quanto segue è un estratto del mio elaborato presentato nel 2022 come tesi triennale in semiotica del testo, con relatori i professori Stefano Bartezzaghi e Martina Federico. Ho cercato di mantenere tutti i punti fondamentali del testo originale, tagliando però alcune parti che ho ritenuto accessorie e scremando inutili lungaggini (come spiegare cosa sia un “inventario” in un videogioco) che avevo incluso mio malgrado per via del pubblico di non-videogiocatori a cui l’elaborato era diretto. Invito chiunque troverà di interesse il contenuto che segue a divulgarlo e rimaneggiarlo secondo la sua sensibilità, avendo quantomeno la cortesia di citarne le fonti (me stesso incluso).
Buona lettura.
Il regime non-verbale come narrazione nel videogioco: analisi semiotica di Dark Souls
Premessa
Come fa notare Massimo Maietti (autore che verrà preso spesso come riferimento nel corso di questo testo) nel suo ultimo lavoro1, l'ipertesto ludico presenta delle caratteristiche peculiari che si prestano ad una florida applicazione di teorie semiotiche normalmente incompatibili, o solo parzialmente compatibili fra loro. Inoltre, la recente comparsa di una grande quantità di analisi metodologiche su questo oggetto rappresenta un'opportunità di comprenderne meglio il funzionamento. È opinione di chi scrive che l'unico modo per rendere utile l'analisi di queste ultime sia tramite l’applicazione di un metodo semiotico.
Citando Maietti:
“[...] va osservato come l'approfondimento degli aspetti timici e passionali, del tutto trascurati dalla letteratura videoludica a favore dei più facilmente analizzabili aspetti cognitivi, possa conferire alla semiotica un punto di vista privilegiato, se non esclusivo, su una dimensione assolutamente essenziale della testualità interattiva2. ”
Prima di passare all'effettiva analisi del testo è doveroso fare delle premesse. In questo studio analizzeremo nello specifico il regime non-verbale della comunicazione in Dark Souls. Vale a dire che l'analisi si concentrerà sugli elementi audio-visivi e interattivi che, seppur supportati e ulteriormente tematizzati dalla presenza di linguaggio verbale (sottoforma di testo o dialogo doppiato), acquisiscono senso in virtù della loro presenza/assenza e del loro rapporto con il simulacro del giocatore.
Introduzione
«L’informazione videoludica specializzata continua a trattare, giudicare e valutare il videogioco alla stregua di una semplice merce, una forma di intrattenimento, un passatempo per ragazzini. La grande maggioranza delle riviste di videogiochi, tradizionali e online, non sono che “magalog”, cataloghi ufficiali, brochure promozionali, guide all’acquisto, in larga parte finanziate dalle stesse aziende i cui prodotti dovrebbero giudicare in modo “imparziale”. Non sorprende, allora, che l’attenzione di questi pseudocritici, o meglio recensori, sia riservata in massima parte agli aspetti tecnologici ed estetici del videogame. […] La cosiddetta critica videoludica è ossessionata dall’imperativo della comparazione numerica, della quantificazione astratta, della misurazione scientifica della “qualità” del gioco, impropriamente e ingenuamente misurata con parametri che, da trent’anni a questa parte, non sono mai cambiati (“grafica-sonoro-giocabilità-longevità”). […] Nessuno vuole ammetterlo, ma le riviste di videogiochi sono le prime a promuovere la ghettizzazione socioculturale del videogame. Da qui la necessità di sopperire a questi imbarazzanti e anacronistici corto circuiti interpretativi.» M. Bittanti (2004)
Se si può affermare con sicurezza che i tentativi di analisi da parte di studiosi provenienti dai più disparati percorsi formativi ci siano stati, si può e si dovrebbe anche affermare che tra i vari studi sui videogame non vi è alcuna coesione di fondo, alcun metodo di ricerca consolidato che sia stato adottato dalla comunità critica, insomma non esiste una direzione chiara. Non è un'accusa tuttavia quella che qui si vuole muovere, piuttosto si vuole constatare quanto ancora oggi si riveli difficoltoso discutere circa le specificità dell'oggetto, in mancanza di strumenti teorici formali. A tal proposito ricordiamo quanto l'argomento in passato abbia affascinato molti autori di spessore come Caillois, Huizinga e il nostrano Eco, i primi due in particolare si spesero molto per proporre modelli in grado di rendere giustizia alla complessità del fenomeno ludico. Definire i confini e le caratteristiche di quello che chiamiamo gioco corrisponde già di per sé a un'impresa titanica e spesso le teorie di questi autori si scontrano con la modernità e le nuove forme tecnologiche che i giochi stessi assumono. Il loro contributo resta (e lo vedremo più avanti) indubbiamente prezioso, ma appare evidente che la colossale mole di segni di diversa natura che vanno a comporre il testo videoludico complichi ulteriormente un campo di ricerca troppo vario e troppo articolato per essere esaminato esaustivamente nel complesso. Pertanto la strada più ragionevolmente percorribile sembra quella di coprire con diverse istanze d'analisi – usando all’occorrenza metodi provenienti da diverse discipline – i molteplici aspetti di un videogame, troppo diversi nella forma anche all'interno di una stessa opera, senza contare le infinite possibilità combinatorie che si incontrano se si guarda al medium nell'insieme. Seguendo questa linea di pensiero si è scelto dunque di astenersi da giudizi di natura tecnica, ad esempio, sulla qualità della programmazione o dei VFX, per concentrarsi strettamente sul risultato finale, la generazione di senso, che tutte le differenti componenti dell'ipertesto concorrono a creare con l'aiuto del lettore, o giocatore, più che mai parte attiva del processo.
Il focus sulla non-verbalità
A questo punto verrebbe spontaneo chiedersi: se i videogiochi basano la loro capacità di comunicare su un insieme di elementi, di cui persino il giocatore fa parte, perché escludere dall'equazione il linguaggio verbale?
L'esclusione degli elementi para-testuali dall'analisi fa parte del metodo dei mondi possibili videoludici, come avremo modo di vedere nel secondo capitolo, tuttavia per quanto riguarda i molteplici utilizzi del linguaggio verbale è necessario precisare che la loro esclusione è frutto di una personale scelta metodologica. Mentre è indubbio che, agli occhi del lettore/giocatore, il regime verbale e quello non-verbale avranno sempre un peso variabile sulla bilancia della sua comprensione della fabula3, per via di una moltitudine di fattori risulta evidente che l'unicità fondamentale - nonché il fulcro stesso - di questo medium risieda nell'interattività, intesa qui come la risposta meccanica del lettore/giocatore agli stimoli endogeni proposti dal sistema di gioco, ovvero un elemento ludico di natura non-verbale. Inoltre, stante che la buona realizzazione del comparto verbale di un videogioco supporta e talvolta sostiene quasi interamente le macro-enunciazioni diegetiche dell'opera videoludica, saranno sempre i contenuti audio-visivi che caratterizzeranno i topic estetici di un prodotto ludico, il suo stile riconoscibile pregno di valori timico-passionali, inscindibili dalla sua narratività profonda.
1. Panorama teorico
In questo lavoro cercheremo riscontro di come la disciplina della semiotica possa essere considerata il metodo che maggiormente si addice alla costruzione di un’analisi testuale sul medium videoludico. Si ritiene che gli strumenti qui raccolti, nonché la diretta applicazione del modello di analisi proposto, possano avere un’utilità nel campo dello sviluppo di videogiochi e, in particolar modo, della loro critica. Come anticipato, i nostri sforzi si concentreranno sull’analisi del regime non-verbale, nonché sui legami tra l’interattività e il complesso apparato narrativo costruito attorno e grazie a quest’ultima.
Nello specifico non mireremo a esaminare per intero il titolo preso in causa, ma a identificare, tramite una serie di esempi, sinergie e meccanismi di produzione di senso impossibili da evidenziare guardando all’insieme del testo. Un simile approccio è stato più volte consigliato anche da studiosi del settore come D’Armenio:
“Il primo passo di un’analisi accurata consiste nel segmentare il testo in parti più piccole, sulla base della coerenza interna alle sezioni. Il testo videoludico è un tipo di testo eccezionalmente complesso, composto da sostanze dell’espressione molto diverse, di cui è richiesta una partecipazione attiva da parte dell’utente. Ne consegue che separare le sue componenti in sezioni più malleabili sia di estrema importanza. […] Questo non significa che per analizzare un videogioco bisogna descrivere tutto, perché una selezione è sempre necessaria, soprattutto quando dell’analisi si vogliono illustrare i risultati.4”
1.1 Altre influenze
Nel secondo capitolo affronteremo un discorso dettagliato sulla semiotica dei mondi possibili, approccio derivante dalla semiotica interpretativa di stampo statunitense, allo scopo di illustrare quelle che sono a tutti gli effetti le fondamenta del metodo d'analisi scelto per questo lavoro. Tuttavia vale la pena soffermarsi su due correnti accademiche che hanno indubbiamente contribuito a formare lo scenario odierno dei game studies. La prima e più importante - per quanto concerne il presente studio - è la semiotica generativa greimasiana che, seppur non centrale sul piano metodologico, ci fornisce dei concetti chiave fondamentali per descrivere le proprietà (Vedi 2.4) degli oggetti via via analizzati. La seconda corrente, più giovane e con esponenti dalla formazione decisamente più eterogenea è la cosiddetta ludologia, che inaugura dall'inizio degli anni 2000 un approccio nuovo allo studio sui videogiochi, concentrato quasi unicamente sulle meccaniche ludiche.
1.1.1 Il debito con la semiotica generativa
Con un approccio interpretativo alla semiotica si cerca generalmente di collocare il fruitore di un testo all'interno del percorso di generazione del suo senso, attribuendo il ruolo di significante alle sue competenze enciclopediche che divengono quindi un presupposto della strategia comunicativa del testo stesso. In tal modo si può rendere conto della partecipazione del ricevente del messaggio alla sua costruzione, processo che nel caso dei videogiochi si palesa con innegabile evidenza.
Tuttavia di fronte a un oggetto complicato come un testo sincretico multimediale, diversi studiosi hanno ritenuto più opportuno appoggiarsi al versatile modello teorico di stampo generativo5. Per avere un quadro completo degli studi accademici in materia di videogiochi risulta perciò necessario illustrare con più chiarezza il modello teorico greimasiano. Il modello generativo divide il senso in differenti livelli di complessità crescente, che Traini definisce «un meccanismo di generatività che permette agli elementi più profondi e più semplici di generare elementi più superficiali e complessi.»6
La distinzione tra i vari piani è mostrata nella seguente tabella che riassume il percorso generativo del senso secondo Greimas.7
Per quanto concerne la presente analisi basterà distinguere i due macro-livelli di pertinenza in cui si può dividere un testo: il livello profondo - quello delle strutture semio-narrative - nel quale «si situano elementi di tipo logico-semantico [...] per poi trasformarsi, attraverso i meccanismi dell'enunciazione, negli elementi discorsivi.»8 e il livello superficiale delle strutture discorsive.
Il livello più profondo si distingue come quello più astratto grazie al quale è possibile concettualizzare attori (i personaggi), spazi e tempi dell'enunciazione, riconducendoli a categorie universalmente applicabili. Lo stesso vale anche per l'agire dei singoli attori trasformati in attanti - o "archetipi" di personaggio - le cui vicissitudini vengono sostituite nel livello profondo da rapporti di congiunzione o disgiunzione tra soggetti, oggetti e valori per una maggiore comodità di analisi. Lo strato superficiale di un testo, invece, è ciò che si analizza quando si entra nel merito dell'enunciazione per come si presenta al lettore, adorna di elementi discorsivi che consentano la piena manifestazione del suo senso specifico, oltre le invarianti narrative che interessano la testualità tutta. «Qui le relazioni, i valori, gli attanti e le modalità vengono arricchiti sia da attori, spazi e tempi, sia da temi e figure (componenti sintattica e semantica).»9 Secondo il modello generativo quindi, qualsiasi testo può essere indagato su più livelli di pertinenza dove nel più profondo il senso si articola secondo semplici logiche di tipo semio-narrativo. La narratività intesa come sequenza ordinata di azioni modalizzante passionalmente starebbe quindi alla base di qualsiasi esperienza comunicativa e sociale. La fondamentale differenza che ci separa dal metodo generativo è l'allontanamento da un intento di tipo strutturalista. Sarebbe una pretesa del tutto irrealistica applicare il già esistente percorso generativo del senso - pensato per rendere conto di una testualità lineare - a un tipo di testo completamente diverso. Improponibile, perlomeno in questa sede, anche proporre un modello di percorso generativo del tutto nuovo che possa abbracciare qualunque testo sincretico interattivo. Ciononostante la teoria greimasiana contiene princìpi fondamentali senza i quali sarebbe impossibile tentare di descrivere semioticamente un testo narrativo. Ci serviremo quindi solo di alcuni princìpi di semiotica generativa - come modalità, categorie timiche e il quadrato semiotico - durante il processo di identificazione di topic e isotopie. Sarà utile inoltre prendere in prestito la terminologia riguardante i ruoli attanziali - o attanti narrativi - fondamentali: Soggetto, Oggetto, Destinante, Destinatario, Aiutante e Oppositori per meglio distinguere le volontà degli attori nei confronti del protagonista. Chiarito lo scopo che avranno nei seguenti capitoli, possiamo vedere come Greimas suddivideva gli attanti in sei figure distinte, così riportate da Traini:
Il modello prevede che un attante-Destinante trasmetta un Oggetto desiderato (con dei valori) a un attante-Destinatario. Il Destinatario può delegare il compito di ottenerlo ad un terzo attante-Soggetto, oppure può diventare lui stesso Soggetto e attivarsi per congiungersi ai valori investiti nell'Oggetto (talvolta infatti sono i valori stessi a costituire metaforicamente l'Oggetto ricercato). In entrambi i casi, l'attante-Soggetto viene sostenuto da attanti-Aiutanti e ostacolato da attanti-Oppositori. La relazione basata sul desiderio, e quindi sulla ricerca, che intercorre tra Soggetto e Oggetto costituisce il nucleo del modello attanziale. Ma cosa spinge un Soggetto a ritenere desiderabili i valori che lo portano a volere una congiunzione con un determinato Oggetto e non un altro? Inoltre, cosa determina se un Soggetto è in grado di avere successo nella sua ricerca o meno? Nel rispondere a queste domande, Traini parla di un carico modale10, che determina sia il Soggetto, costituendo le sue competenze - cioè capacità, abilità o conoscenze - sia l'Oggetto, stabilendo le ragioni e le volontà che stanno alla base della richiesta partita del Destinante. Quando parliamo di modalizzazione o modalità ci riferiamo a ciò che avviene in un testo quando un individuo-soggetto viene dotato di un volere, un potere o un sapere che si traducono in una performanza orientata secondo valori e passioni. Le categorie timiche invece intervengono al livello più profondo delle strutture semionarrative, il quadrato semiotico, e connotano positivamente o negativamente individui e oggetti. Se infatti è tramite le componenti sintattica e semantica (situate al livello discorsivo superficiale) che valori, attanti e modalità vengono tematizzate, esiste già al livello più profondo e astratto una distinzione tra positivo e negativo, "buono" o "cattivo", euforia o disforia. Basterà quindi che anche il più astratto degli elementi analizzati sia connotato positivamente per identificarne un primo valore narrativo e, per opposizione semantica, a quel punto esisteranno anche un opposto e un contrario connotati diversamente nel quadrato semiotico.
1.1.2 La ludologia, un approccio non-semiotico
È stato doveroso prendere in considerazione anche correnti di studio che non si appoggiano alla semiotica. Tesi principale della ludologia è che i videogiochi, in quanto giochi, non vadano studiati come macchine narranti produttrici di senso, ma in quanto sistemi di interazione il cui unico successo comunicativo sarebbe quello di illustrare regole e meccaniche di gioco all'utente.
Posizione piuttosto estrema che subito traballa di fronte agli innumerevoli esempi di giochi che presuppongono la comprensione di elementi visivi, modalizzanti anche al livello delle strutture semio-narrative, per poter decifrare una meccanica di gioco strettamente legata al sistema di regole che ordina il funzionamento del livello espressivo immediatamente manifesto e ludico. Nonostante la diffusa convinzione, tra i ludologi, che la componente narrativa di un gioco sia poco più di un accessorio necessario al marketing per la vendita del prodotto finale, emergono anche posizioni più moderate, come quella di Jesper Juul11, che tentava un approccio che riconoscesse la coesistenza di almeno due componenti, quella ludica concernente i sistemi di regole e quella narrativa che richiederebbe di trattare i videogiochi come opere di finzione a tutti gli effetti.
Nel luglio 2001 è stato fondato Gamestudies.org, The International Journal of Computer Game Research, il cui intento è dedicarsi alla ricerca e analisi del videogioco. Il sito è stato co-fondato da Juul insieme ad Espen Aarseth, che può essere considerato uno dei maggiori rappresentanti della ludologia. È opportuno sottolineare come le ricerche inaugurate da Aarseth siano state importanti, ma come sostiene Enzo D'Armenio, «hanno dovuto necessariamente formarsi in una cornice di eccessiva radicalità.»12 e ancora, «risulta evidente che considerare le sole meccaniche di gioco significa non esaurire affatto le possibilità di significato che i videogiochi arrangiano.»13 Nonostante Juul abbia trovato una posizione meno estrema di Aarseth, anche il suo pensiero è limitato, tornando a citare D'Armenio in proposito:
“Lo studio di Juul soffre a nostro avviso degli stessi problemi di molti degli approcci della ludologia[...] L’errore è quello di considerare, ancora una volta, il videogioco in generale, quasi come un resoconto meccanicistico.14”
Lo studio delle produzioni di senso non può prescindere da un quadro teorico che – quale che sia la considerazione che i singoli studiosi attribuiscono ai differenti regimi testuali - deve trovare fondamento nella semiotica. In assenza di ciò si può forse auspicare a produrre una descrizione più o meno esaustiva delle caratteristiche formali di un testo sincretico, ma tali produzioni non possono condurre ad una comprensione globale del medium, e soprattutto non possono costituire una base per un'applicazione pratica in fase di produzione di un videogame.
2. Strumenti d’analisi
In primo luogo, se si vuole parlare di videogiochi, bisogna possedere una consapevolezza anche minima delle caratteristiche comuni a tutte le forme di attività ludica. Roger Caillois, nel suo tentativo di proporre una teoria allargata del gioco, fornisce una definizione di base applicabile a qualunque forma del "giocare". Teorizza anche una suddivisione in quattro categorie fondamentali ordinate su un asse con due estremi opposti: il bisogno e la tendenza naturali al gioco e al divertimento istintivo, spensierato; e la necessità di ordinare l'attività ludica secondo convenzioni, istituzionalizzazioni o regolamenti (rispettivamente, la paidia e il ludus)15.
Inoltre nel suo I Giochi e gli Uomini definisce universalmente il gioco come un'attività:
1. libera: a cui il giocatore non può essere obbligato senza che il gioco perda subito la sua natura di divertimento attraente e gioioso;
2. separata: circoscritta entro precisi limiti di tempo e di spazio fissati in anticipo;
3. incerta: il cui svolgimento non può essere determinato né il risultato acquisito preliminarmente, una certa libertà nella necessità di inventare essendo obbligatoriamente lasciata all'iniziativa del giocatore;
4. improduttiva: che non crea, cioè, né beni, né ricchezza, né alcun altro elemento nuovo; e, salvo uno spostamento di proprietà all'interno della cerchia dei giocatori, tale da riportare a una situazione identica a quella dell'inizio della partita;
5. regolata: sottoposta a convenzioni che sospendono le leggi ordinarie e instaurano momentaneamente una legislazione nuova che è la sola a contare.
6. fittizia: accompagnata dalla consapevolezza specifica di una diversa realtà o di una totale irrealtà nei confronti della vita normale.16
Così come nessun videogioco, in quanto gioco, può dirsi estraneo alle proprietà sopra elencate, lo stesso si può dire per le categorie fondamentali: Agon, Alea, Mimicry e Ilinx. Sarebbe a dire che anche se in misura costantemente variabile, ogni videogioco contiene al suo interno una o spesso più di queste quattro funzioni intrinsecamente legate all'atto del giocare. La semantizzazione, ad esempio, della difficoltà di gioco avrà molto a che vedere con i meccanismi dell'Agon, mentre la scoperta di un segreto attraverso la speculazione su elementi dell'ambiente circostante richiede una buona dose di immedesimazione, quindi di Mimicry, come la intendeva Caillois.
Senza scendere nel dettaglio per ciascuna di esse, né sui rapporti di affinità e simmetria che Caillois identifica fra loro, limitiamoci per ora a constatare che in virtù della corrispondenza con diversi aspetti presenti in diversa misura in qualsiasi videogioco, useremo le quattro categorie fondamentali come uno dei tanti strumenti che talvolta ci aiuteranno a descrivere le proprietà e le funzioni narrative profonde.
2.2 Da gioco a videogioco, un cambio di prospettiva
Il proposito di comprendere le enunciazioni che valorizzano in particolare le azioni del giocatore sul piano passionale, ma anche quelle che, senza avvalersi della verbalità, arricchiscono la fabula con parti necessarie alla sua intera costruzione, rende necessario un approccio teorico in grado di affacciarsi su diversi approcci della vasta teoria semiotica.
Se è vero infatti che da un lato la teoria generativa di stampo greimasiano ci mette nelle condizioni di spiegare quali processi si nascondano dietro le sanzioni che investono, positivamente o negativamente, il simulacro del giocatore, condizionando così la sua sfera passionale; dall'altro l'abbondante quantità di feedback cognitivo che il giocatore riceve, e che fa coincidere gli universi doxastici del giocatore con quello/i dei personaggi a schermo, si rivela cruciale per la sua comprensione finale del testo, fatto che si può comprendere solo tramite l'impiego di un approccio interpretativo. Tra i vari contributi menzionati nell'introduzione, quello che spicca nel lavoro di Massimo Maietti, Semiotica dei Videogiochi (2017), è l'intento di proporre un modello semiotico in grado di travalicare le classificazioni proposte negli ultimi due decenni, basate in larga misura su concetti vaghi e privi di alcun principio di fundamentum divisionis come quello di "generi videoludici", secondo cui i games verrebbero ripartiti e quindi analizzati sulla base di somiglianze e differenze. Maietti non solo rifiuta tali categorizzazioni, ma si spinge a sostenere che sia infruttuoso, se non addirittura impossibile, tentare di produrne una che sia soddisfacente e, soprattutto, che lo rimanga nel tempo. Il punto di forza fondamentale della teoria di Maietti, che ha determinato la scelta d’impiegarla, è in sostanza la sua predisposizione ad adottare strumenti di provenienze teoriche diverse.
2.3 Circoscrizione dell'oggetto di studio: l'esclusione del paratesto
L'idea di fondo che permea il nostro quadro teorico è che la narratività videoludica richieda di essere studiata con la semiotica proprio per via della sua mutevolezza. In accordo con questa idea sembrerebbe essere anche Maietti, quando sceglie di non adottare una definizione univoca di "videogioco"17 e preferisce sondare la significatività degli enunciati caso per caso. Nonostante questo presupposto di flessibilità, «il metodo semiotico impone che la prima operazione analitica sia la pertinentizzazione dell'oggetto di studio.»18
A rigor di metodo si dovrebbe quindi quantomeno escludere ciò che di sicuro non rientrerà nell'interesse dello studio. A tal scopo, l'autore introduce il concetto di paratesto descritto da Genette.
“L’opera letteraria è, interamente o essenzialmente, costituita da un testo, vale a dire da una serie più o meno lunga di enunciati verbali più o meno provvisti di significato. Questo testo, però, si presenta raramente nella sua nudità, senza il rinforzo o l’accompagnamento di un certo numero di produzioni, esse stesse verbali o non verbali, […] delle quali non è sempre chiaro se debbano essere considerate o meno come appartenenti ad esso, ma che comunque lo contornano e lo prolungano, per presentarlo, appunto, nel senso corrente del termine, ma anche per renderlo presente, per assicurare la sua presenza nel mondo, la sua ‘ricezione’ e il suo consumo, in forma, oggi almeno, di libro. Questo accompagnamento, d’ampiezza e modalità variabili, costituisce ciò che ho battezzato altrove […] il paratesto dell’opera. E attraverso il paratesto che il testo diventa libro e in quanto tale si propone ai suoi lettori.”19
Sebbene Genette concentrasse i suoi sforzi sulla rivalutazione dell’importanza semiotica attribuita ad elementi quali, il titolo, la firma dell'autore celebre, le illustrazioni, e così via; Maietti propone un utilizzo della nozione di paratesto che riadatta i concetti chiave in essa contenuti al nostro oggetto di studio, sfruttandola per attuare una separazione. Egli esclude prima di tutto con un criterio della sostanza del paratesto tutti gli elementi non-immateriali atti a ricevere input e a produrre output da e per il giocatore/lettore, ascrivendoli al campo paratestuale. Sarebbe a dire le periferiche fisiche che consentono l'accesso all'opera come lo schermo, la console, il controller, mouse, tastiere, pedane a pressione, visori VR (virtual reality), ecc... L'esclusione dal campo di ricerca si estende anche a tutte le informazioni che, anche se espresse sul piano dell'espressione immateriale e codificato proprio del videogame, mantengono una funzione pragmatica per il giocatore empirico, i più comuni esempi sono i riferimenti all'anno di produzione, agli autori o editori del titolo, le istruzioni per il corretto avvio/uso del software, e così via. Tuttavia vale la pena menzionare che non si esclude che particolari enunciazioni paratestuali, in particolare, ma non esclusivamente, quelle che comunicano al giocatore informazioni sul suo simulacro (interfaccia, istruzioni sui comandi, ecc.; che non sarebbe scorretto chiamare marche d'enunciazione) possano essere contestualizzate dagli autori, entrando di conseguenza a far parte dello strato semiosico di significazione profonda. In casi simili ci si troverebbe di fronte a una particolare isotopia orchestrata dagli autori a scopo evidentemente narrativo e andrebbero perciò considerati come paratesto solo sul piano di superfice della forma, ma facenti parte a tutti gli effetti del piano dei contenuti dell'opera.
In questo senso è possibile intravedere un limite del concetto di paratesto, per come lo ha inteso Maietti, applicato al videogioco; laddove ciò che è paratesto e ciò che non lo è diventa interamente una decisione autoriale, e distinguerlo diventa parte delle competenze presupposte nel lettore/giocatore modello, forse si presenta anche il dubbio che l'esclusione a priori degli elementi paratestuali materiali potrebbe essere messa in discussione.
2.3.1 Narratività e interazione
Chiarita la rilevanza del paratesto, resta da identificare il “luogo” in cui avvengono le isotopie che ci consentano di identificare un insieme di informazioni e proprietà, a tratti manipolabili e a tratti no, come un'unica opera dotata di un inizio, una fine e una coerenza interpretativa. Maietti inquadra i campi dell'interazione e della narratività come gli ingredienti determinanti che mescolandosi producono senso.
Nella concezione maiettiana la narratività, in senso greimasiano, non è localizzata esclusivamente nei momenti interattivi (tesi propria della ludologia che infatti rifiuta), ma necessiti di questi ultimi per poter creare effettive isotopie che consentano una coerenza interpretativa sia sul piano assiologico che su quello della fabula. Dice Maietti in proposito:
“[nella ludologia] I momenti in cui la narrazione non lascia spazio all'interattività vengono omologati al procedere testuali di altri media, e pertanto non sono riconosciuti come appartenenti a pieno diritto al videogioco, perché non ne sfruttano le caratteristiche peculiari. Da un punto di vista semiotico, però, questa istanza di espulsione dal campo di analisi degli stati di gioco non interattivi non può essere accolta. Non solo, infatti, gli stati non interattivi possono risultare necessari alla costruzione e alla comprensione della fabula, che rappresenta ovviamente uno dei livelli più importanti all'interno della complessità espressiva dei game; ma svolgono inoltre il ruolo di valorizzatori sia cognitivi (ad esempio, nel caso in cui venga suggerita un'azione da compiere una volta che l'interazione sarà ripresa ) sia passionali, rivestendo di valori i personaggi e le loro azioni, tracciando assiologie con cui il giocatore è chiamato a confrontarsi nelle sue scelte d'azione all'interno del gioco.”20
Affermando quindi che, come vorrebbe la scuola generativa, la narratività permei in effetti tutte le diverse fasi enunciazionali dell'iper-testo, possiamo affermare con certezza anche che l'esito finale della comprensione del testo ludico è inscindibilmente legato alla performance interattiva del suo fruitore.
2.3.2 Gameplay come forma di cooperazione testuale
Sulla base di quanto visto finora possiamo stabilire che il momento in cui l'interazione si allinea con la narratività, dando inizio al processo di cooperazione interpretativa vero e proprio - che chiameremo anche gameplay - corrisponde al momento del cambio di punto di vista da quello reale del lettore a quello simulacrale. Quando ci riferiamo al simulacro (o protesi, avatar digitale, estensione virtuale, ecc.) ci si vuole riferire, insomma, a quell'oggetto o insieme di oggetti facenti parte il mondo di gioco, i quali posseggono la proprietà di modificare il loro stato in risposta a un input che il giocatore inserisce direttamente tramite la periferica di controllo. Questa contorta definizione può essere ulteriormente sfruttata per chiarire una volta per tutte cosa intenderemo per interazione, avendo già operato le dovute precisazioni sulle sezioni interattive esclusivamente paratestuali. Usando quindi il termine simulacro o un suo equivalente nell'accezione di cui sopra potremo dire che: tratteremo come interazione narrativamente significativa qualsiasi potenziale variazione di un dato stato dell'iper-testo, la quale è stata risultato del cambio di stato di uno o più oggetti-simulacro.
2.4 Lector in gameplay: mondi possibili videoludici, individui e proprietà
“[negli scacchi] Il pezzo [oggetto controllato dal giocatore n.d.a.] è un'unità di gioco che significa tutte le mosse che può fare in quella data situazione; ovvero è un individuo fornito di precise proprietà e queste proprietà sono le proprietà di poter fare certe mosse immediate (e non altre) che preludono a una rosa di mosse future. In questo il pezzo è sia una entità espressiva che veicola certi contenuti di gioco sia qualcosa di strutturalmente simile a un personaggio di una fabula, nel momento in cui si apre una disgiunzione di possibilità.”21
Si può osservare come ciò che afferma Eco sui pezzi degli scacchi, nel paragrafo riportato sopra, calza alla perfezione la nostra descrizione di simulacro. Non solo, possiamo dire valga anche per il resto degli individui che troviamo nei videogame. Naturalmente per poter affermare che un dato individuo è fornito di precise proprietà, dobbiamo avere ben chiaro un insieme finito di proprietà che esso potrebbe avere o non avere, un insieme che nel gioco degli scacchi corrisponde al regolamento, un testo di natura lineare. Ricavare da esso tutte le proprietà potenzialmente acquisibili da ciascun pezzo in un dato momento della partita non solo è possibile, anche se molto difficile, ma rappresenta proprio lo scopo del buon scacchista. Eseguire la stessa operazione nei confronti dei pezzi che popolano la scacchiera videoludica sarebbe al di fuori dalla nostra portata, perché il loro “regolamento” non è di facile lettura e si manifesta non-linearmente. A venirci in aiuto sarà un ultimo tassello fondamentale.
Come lascia intuire il suo nome, la semiotica dei mondi possibili videoludici prende ampiamente spunto dalla teoria dei mondi possibili22 di Eco. Utilizza perciò molti concetti ad essa affini come quello di individui dotati di proprietà, sulla base delle quali si configura l'accessibilità, cioè il grado di corrispondenza tra le proprietà essenziali, di due mondi possibili: il mondo possibile Wf (quello finzionale) nei confronti del mondo possibile di riferimento previsto dalla strategia testuale (che Eco chiamava Autore Modello23). Il mondo possibile di riferimento adottato poi durante la fruizione dal lettore/giocatore empirico può essere il mondo reale24 (W0) o un mondo possibile di natura inferenziale (Wi) basato sulle sue competenze intertestuali, e sulle abduzioni prodotte grazie ad esse.
“Definiamo come mondo possibile uno stato di cose espresso da un insieme di proposizioni dove per ogni proposizione o p o -p. Come tale, un mondo consiste di un insieme di individui.”25
Se in una narrazione lineare un mondo possibile è un susseguirsi di azioni che ne modificano lo stato (Wfs1 ad inizio lettura, che ad ogni cambiamento di proprietà diverrebbe Wfs2, Wfs3, e così via) lo stesso non si può dire per una narrazione non lineare. Prendiamo ad esempio un racconto non-interattivo qualsiasi: durante la fruizione propone ai lettori diverse disgiunzioni di probabilità di fronte alle quali ognuno di loro si cimenta in passeggiate inferenziali26, generando mondi possibili (Wi) che verranno necessariamente smentiti o confermati da uno stato successivo del Wf della fabula che, previa prosecuzione della lettura, non potrà che verificarsi. Se questo può esser vero per alcune sezioni obbligatorie dei videogiochi, non può essere affermato per la loro totalità enunciazionale. A generare controfattuali per i numerosi Wi del giocatore empirico non sarà infatti una sequenza precisa di stati di Wf, essendo lui stesso a determinare buona parte degli eventi (e di conseguenza delle proprietà) che costituiscono il susseguirsi della fabula. Tuttavia sarebbe assurdo affermare che, per via della libertà di azione potenzialmente infinita del giocatore, non vi siano degli stati di Wf previsti e inevitabili. Il dilemma si potrebbe risolvere ripensando parzialmente ciò che rappresentano i cambiamenti di stato in un dato mondo possibile. In altre parole è ciò che suggerirebbe Maietti definendo in questo modo la totalità dell'iper-testo ludico:
“come un insieme K composto da n mondi possibili in cui ogni mondo abbia accesso ad almeno un altro mondo [...]. Ogni mondo possibile corrisponde ad uno stato di gioco distinto dagli altri per il variare di almeno una proprietà di almeno uno dei suoi individui. Se, in accordo coi principi della logica modale, una proposizione è necessaria quando è vera in tutti i mondi possibili, ed è invece possibile se vera in almeno uno di essi, definiamo le proposizioni necessarie come pertinenti alle proprietà essenziali del gioco e quelle possibili come variazioni di proprietà accidentali. In questo modo si dispone di un criterio per distinguere le proprietà essenziali da quelle accidentali: quelle che subiscono almeno una variazione all'interno di almeno uno dei mondi possibili appartenenti a K sono proprietà accidentali, quelle che rimangono stabili sono invece essenziali.”27
Invece di passare a stati differenti dello stesso Wf, il videogioco fa corrispondere ad un cambiamento di stato l'accesso ad un differente Wf(2,3,n,...). In questo modo è possibile esaminare un qualsiasi stato ipotetico di una partita a partire dalle proprietà essenziali che di sicuro porteranno a determinati sviluppi della fabula, così da poter formulare ipotesi verosimili sulle potenziali proprietà accidentali accessibili in un dato momento del testo. La distinzione tra le diverse proprietà viene ulteriormente approfondita. Sia le proprietà essenziali che quelle accidentali possono essere strutturali o crome28. Una proprietà si dice strutturale quando, data una sequenza di input inseriti dal giocatore che portano il mondo di gioco da uno stato Wf1 a uno stato Wfn, il variare di solamente tale proprietà in Wf1 provocherebbe l'inaccessibilità allo stesso Wfn. Se invece, a parità di input, lo stato Wfn raggiunto da Wf1 sarebbe lo stesso, eccetto che per la proprietà variata, allora tale proprietà si potrà dire croma. Infine tra le proprietà accidentali vi sono quelle interattive che variano per volontà dell'utente o, come descritto in 2.3.2, per conseguenza diretta dell'agire dell'utente. Naturalmente tutte le proprietà interattive fanno parte dell'insieme di quelle accidentali, poiché come abbiamo visto le proprietà essenziali devono essere vere ed invariate in tutti i Wf di K. Pertanto, non potranno subire cambiamenti, agendo da effettivi limiti imposti dal testo.
Maietti (2017), Semiotica dei videogiochi, Edizioni Unicopli, Milano.
Maietti, op.cit., p. 165
«Nella critica formalistica, il complesso dei materiali di una narrazione, analizzati in successione rigorosamente logico-temporale, indipendentemente dalla disposizione in cui l’autore ha voluto presentarli nell’intreccio dell’opera.» Definizione tratta da www.treccani.it. Nello specifico tratteremo il termine nell’accezione usata da Eco (1979), in Lector in fabula, Bompiani, Milano.
D’Armenio (2014), Mondi Paralleli. Ripensare l’interattività nei videogiochi. Edizioni Unicopli, Milano, p.70
Secondo Marrone: «uno strumento teorico particolarmente efficace poiché permette di distribuire e di articolare fra di loro le varie osservazioni [...], ipotizzando le tappe della sua progressiva costituzione.» [Marrone (2011), Introduzione alla semiotica del testo, Editori Laterza, p. 23]
Traini (2013), Le basi della semiotica, Bompiani, Milano, p. 95
Greimas e Courtés (1979), Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, trad. it. a cura di P.Fabbri, B. Mondadori (2007)
Ibidem.
Marrone, op.cit., p. 24
Traini, op.cit., p. 122
Jesper Juul (2005) Half-Real. Video games between real rules and fctional worlds, Cambridge MA: The MIT Press.
D’Armenio, op.cit., p. 24
Ivi, p. 42
Ivi, p. 26
R. Caillois (1981), I giochi e gli uomini: La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano, pp. 28-29
Ivi, p. 26
«Le difficoltà, le incertezze, le incompatibilità che impediscono di definire in modo analiticamente produttivo cosa sia un videogioco […] rappresentano piuttosto un autentico momento d’empasse della ricerca accademica sui game, indice dello stadio ancora primitivo in cui versa questa disciplina. La nostra scelta sarà allora di rinunciare, in un primo momento, alla formulazione di una definizione di videogioco, che invece di rappresentare il momento propedeutico all’elaborazione di un modello d’analisi, ne costituirà piuttosto un esito, un possibile punto d’arrivo.» [Maietti,op.cit., p. 53]
Ibidem.
Genette (1989). tr. it. Soglie, Torino, Einaudi, pp. 3-4
Maietti, op.cit., p.70
Umberto Eco (1979), Lector in Fabula, Bompiani, Milano, p. 218
Illustrata per intero nell’ottavo capitolo di Umberto Eco (1979), Lector in Fabula, pp. 163-230.
«L’Autore e il Lettore Modello sono pensati da Eco come pure strategie testuali, inscritte nei testi. […] Il creatore dell’ipertesto mette a disposizione del fruitore un insieme coerente di possibilità testuali che vengono attualizzate attraverso l’agire nel mondo reale di un giocatore empirico […] è possibile affermare che il Creatore Modello determina ciò che all'interno del mondo di gioco può e non può accadere, il giocatore determina ciò che effettivamente accade all'interno dei limiti della struttura che il creatore ha istituito.» [Maietti, op.cit., pp. 113-114]
NdA: La rilevanza dell'accessibilità, nei confronti di W0 dipende dal grado di corrispondenza con la realtà che si vuole raggiungere nell'opera ludica. Può essere determinante solo nel caso in cui si stia valutando l'efficacia, ad esempio, di un simulatore di volo, ma è trascurabile nei contesti narrativi dove il mondo Wf condivide solo alcune proprietà con W0 e, solitamente, a meno di una loro rilevanza voluta dall'autore nelle strutture discorsive, le proprietà condivise con W0 sono trascurabili perché poco rilevanti oppure fanno parte della base di metaproprietà («condizioni metalinguistiche di costruibilità delle matrici di mondi» Eco, op.cit., pp. 197-198) che si danno per scontate e che non varrebbe normalmente la pena di elencare esplicitamente (come la proprietà di qualsiasi oggetto di essere soggetto alla forza gravitazionale, o di avere una struttura molecolare precisa, ecc.).
Eco, op.cit., p. 171
«Per azzardare previsioni che abbiano una minima probabilità di soddisfare il corso della storia, il lettore esce dal testo. Elabora inferenze, ma va a cercare altrove una delle premesse probabili del proprio entimema. […] Per azzardare la sua ipotesi il lettore deve ricorrere a sceneggiature comuni o intertestuali: “di solito, tutte le volte che, come avviene in altri racconti, come risulta dalla mia esperienza…”» [Ivi, pp. 157-158]
Maietti, op.cit., p. 148
Ivi, p. 149