Perché abbiamo bisogno di un nuovo Silent Hill
(dopo più di vent'anni non dovrebbe avere senso dirlo ma...attenzione, possibili SPOILER...)
1.SILENT HILL: NASCITA DI UN CULT
“The fear of blood tends to create the fear of the flesh”
Una melodia sbilenca viaggia sulle note di un mandolino gracchiante, una foto sbiadita di una giovane ragazza si dissolve in uno smorto bianco e nero mentre una giovane coppia solleva il fagotto di una neonata in fasce ed un sorriso compare sui loro volti; subito dopo una nebbia avvolge lo schermo e lascia intravedere la figura di una bambina, di spalle accenna un passo davanti a quella che sembra il ricordo di una casa. Di colpo il tono della musica cambia, subentra una partitura più vivace, una sonorità strumentalmente più moderna ma oscura, che prende per mano il fruscio analogico dell’introduzione e ci getta in una atmosfera cupa e malinconica. Un uomo si sveglia di soprassalto da un incubo: lo riconosciamo, è lo stesso che sollevava poco prima la bambina, segue una carrellata di personaggi, NPC che ritroveremo lungo il gioco mentre un’auto sfreccia rapida nella notte guidata da quello che abbiamo capito essere il nostro protagonista insieme alla figlia (è la bambina in fasce? È la stessa figura che abbiamo intravisto nella nebbia?).
L’auto viene superata da un centauro della polizia, condotta da una grintosa poliziotta bionda, siamo negli Stati Uniti d’America, ma poco dopo il nostro uomo noterà quella stessa motocicletta sul bordo della strada, priva della sua pilota.
Una figura femminile, una bambina, attraversa incauta la strada buia, l’auto sbanda nel tentativo di evitare di investirla e mentre gli pneumatici urlano sull’asfalto, una dissolvenza ci lascia immaginare uno schianto.
Benvenuti a Silent Hill, il videogioco di Konami che nel 1999, per Playstation 1, ha rivoluzionato il modo di scrivere il survival horror.
2.COSA CI HA LASCIATO SILENT HILL
Silent Hill è stato fin da subito una pietra angolare nel genere survival horror. Diretto da Keiichiro Toyama e magistralmente musicato da Akira Yamaoka portava un gradino più in alto i puzzle ambientali (inquietanti e macabri ma talvolta essenziali per la lore del gioco) e calava il giocatore in un clima malsano, malato e perverso, contraddistinto da un body horror cronenberghiano, dove la paura si evolve dallo spavento disagiante di un rumore improvviso, di un mostro che sbuca di sorpresa da un angolo (le facili artificiosità che chiamiamo jumpscare) all’orrore per la perdita delle proprie coordinate, per la mancanza di tutti i riferimenti più familiari (beninteso i “salti sulla sedia” ci sono ma non risultano mai forzati bensì congeniali e contestualizzati e soprattutto non sono essi i vettori principali dell’elemento di terrore ma l’angoscia costante che opprime ogni frame).
I giocatori sono chiamati ad impersonare l’everyman Harry Mason che si trova alla disperata ricerca di sua figlia adottiva Cheryl, scomparsa dopo l’incidente della intro, attraverso la desolata e nebbiosa Silent Hill; dovrà affrontare incubi che metteranno a dura prova tanto la sua resistenza fisica (il nostro avatar si troverà spesso a riprendere fiato dopo una corsa o una lotta con qualche belva) quanto la sua tenacia e il suo animo, verrà scosso profondamente dalle mostruosità indicibili che infestano la città tanto nelle strade quanto negli edifici nei quali si intrufolerà alla ricerca di indizi della piccola Cheryl ma orrori ben più profondi lo attenderanno al suono della inquietante sirena che annuncia la transizione nell’Otherworld, dove gli ambienti si trasformano nelle loro versioni allucinate e barkeriane, dove predominano le tinte rubine di sangue, carne e ruggine, manifestazioni di sofferenza e putridume dell’inconscio (di chi?). L’incontro con altri NPC, alcuni alleati, altri subdoli manipolatori, condurranno il giocatore in un labirinto asfissiante di rivelazioni e menzogne in un crescendo emotivo e di pathos debitore del miglior Argento.
La soundtrack di SH, firmata da Akira Yamahoka, è l’ingrediente magico che rende l’esperienza di gioco unica, con i suoi suoni ultraterreni e disturbanti, in qualche modo alieni eppure familiari, ossessivi ed opprimenti. L’intro all’avvio del gioco, così come saranno anche le tracce principali dei capitoli successivi, sempre firmate dal compositore giapponese, rimane una delle più memorabili e riconoscibili tra quelle dei prodotti videoludici di questo genere.
Silent Hill ha anche ispirato un bel film nel 2006 firmato da Christophe Gans, il regista francese già eroico autore della trasposizione cinematografica di Crying Freeman, che ha tentato una rielaborazione personale dei primi tre capitoli, rendendo omaggio alle figure femminili del franchise, forti ma anche fragili, consapevoli, vittime e carnefici (il cosiddetto sequel del 2012, ricco di star del cinema e della tv, è purtroppo un pasticcio inenarrabile, diretto dallo sfortunato M. J. Bassett).
3.UN NUOVO SILENT HILL
Dopo i primi tre acclamati capitoli (Silent Hill 2 in particolare è unanimemente riconosciuto come un caposaldo del genere, per tematiche e atmosfere nonché una galleria unica di originali mostruosità, prima fra tutte Pyramid Head), la serie si barcamenò tra sequel e spin-off accolti tiepidamente. Nel 2014 Hideo Kojima accese gli entusiasmi quando rese disponibile al pubblico la demo giocabile di quello che sarebbe dovuto essere la prossima installazione del franchise per la nuova generazione di console, un Playable Teaser che vedeva l’attore Norman Reedus, fresca star della serie tratta dall’omonimo fumetto The Walking Dead, collaborare per la prima volta con il game designer giapponese e Guillermo Del Toro alla regia, e che si sarebbe dovuto intitolare Silent Hills. Pur salutato con calore dalla community dei videogiocatori e dalla critica come uno dei migliori prodotti videoludici di quell’anno, nonostante fosse alla fine solo una corposa demo della durata di circa 30 minuti, la dipartita forzata di Kojima da Konami uccise nella culla il progetto che alla fine non vide più la luce e da allora, nonostante vari annunci e altrettante smentite, nessun nuovo prodotto con il brand di Silent Hill è più stato messo in cantiere dalla software house nipponica, che ancora ne detiene i diritti.
Silent Hill ha certamente introdotto un nuovo immaginario horror, pur rielaborando con una sensibilità nipponica spunti e suggestioni tutte occidentali, e ha in qualche modo influenzato il medium videoludico, soprattutto nella capacità di costruire un impianto narrativo funzionale alla creazione della tensione e dell’angoscia, tuttavia senza la fortuna che a mio avviso meritava. Un titolo come Resident Evil, rispetto al quale SH era stato inizialmente concepito come concorrente, sviluppatosi secondo un altro tipo di estetica e di filosofia, se vogliamo, ha puntato su una maggiore coerenza narrativa e una sua più riconoscibile mitologia dove l’orrore è molto grafico, le tensione si risolve quasi sempre in una euforia splatter e legandosi anche ad una certa tradizione degli zombie movies (spesso con qualche trappola emotiva un po’ forzata), riuscendo tuttavia a generare un forte interesse (diremmo hype), corroborata anche dalla serie di film prodotta da Paul W. Anderson e da sua moglie, l’iconica Milla Jovovic, protagonista di tutte le pellicole (ma questa è, appunto, un’altra storia).
Far rivivere il franchise di Silent Hill potrebbe certamente essere vista come una operazione puramente nostalgica o una facile via per creare interesse intorno ad un titolo cult, strada già tentata maldestramente con il capitolo Shattered Memories, ma se ne valorizzeranno le idee intelligenti che ne costituivano il sostrato più appetitoso allora forse è quasi un dovere dare una nuova chance alle atmosfere malate e al malessere strisciante della cittadina delle radioline gracchianti, ad esempio:
l’immersione del giocatore nel disorientamento del proprio avatar, nella sensazione di essere persi eppure “osservati” da qualcuno o qualcosa;
l’emergere di una narrazione frantumata dietro personaggi nei quali ci imbattiamo ed eventi del passato legati alla condizione della cittadina e di alcuni dei suoi abitanti;
la progressiva presa di coscienza che siamo legati ad un personaggio perduto, destinato in qualche maniera a doversi mettere alla ricerca di qualcosa o qualcuno smarrito o da ritrovare, un viaggio che rapidamente sconfina in un viaggio introspettivo, un pellegrinaggio che inevitabilmente porta a scontrarsi con i propri demoni e spesso con quelli di qualcun altro;
uno scontro finale, apparente showdown contro un’entità ultraterrena, spesso un banale shoot, rinse and repeat, che svela in ultima istanza un cambiamento, una rinascita o una risoluzione, spesso amara e tragica, a seconda delle scelte che si sono fatte durante il gioco.
Ultimamente (tra l’estate e l’autunno 2021) i rumors su un ritorno su Silent Hill si sono fatti più insistenti, tra passaparola anonimi su clamorosi coinvolgimenti di autori di calibro e presunte conferme da parte di insider più o meno mitomani ma se da un lato potrebbe essere una strategia (di una parte della comunicazione specializzata, del publisher, degli autori stessi) di “tastare” il terreno, la risposta della community comunque sembra essere sempre piuttosto positiva (non dimentichiamo anche la mole di fan movie in rete dedicati a SH).
In un momento storico e sociale dove il clamore e il fomento (termini nostrani che prediligo ad hype) sono la cartina tornasole per convincere anche solo un investitore a mettere soldi in un nuovo progetto, per quanto dal nome evocativo, questa risposta fa ben sperare chi ha amato la Collina Silenziosa.