Non c’è niente di più bello, in una sera di inverno, del rilassarti sul divanazzo e metterti di sottofondo… cosa? Un po’ di Stan Getz? Un film di Totò? Forse, ma in questo momento pensavo più a qualcosa come… una puntata dell’Angry Videogame Nerd! Che, per i pochi profani che non lo sapessero, nulla sono se non dei video di un tizio americano che gioca a roba vecchia di decenni e impreca come un matto.
E sapete perché reputo questi video tra le opere YouTubiche più gustose e rewatchabili che la storia umana abbia prodotto? Perché, al di là delle varie chicche di film-making, del toilet humour e del fatto che l’autore/protagonista James Rolfe abbia caratterizzato alla perfezione i tic del proprio personaggio, i video dell’AVGN sono la desacralizzazione finale dei ninnoli della nostra infanzia. Nello show del nerd i vecchi videogiochi vengono buttati nell’immondizia, dati alle fiamme e sottoposti a pratiche scatologiche che non mi va di approfondire in questa sede. E tutto questo è bellissimo, è soddisfacente. È la fine simbolica di un’illusione disgustosa che, sul serio, in nome dell’amor proprio, dovremmo semplicemente smettere di continuare a consumare presso chi prova a vendercene la carcassa.
Perché si, anche io sono abbastanza vecchio da dire che c’ero in quegli anni ’90 di cataloghi Mattel, spot di Jerry Calà e pubblicità sul Topolino. Erano i tempi del Game Boy, del Nintendo e del Super Nintendo, e mi pareva che l’intero senso dell’esistenza fosse nella scelta tra questa o quell’etichetta sulla stessa cartuccia grigia. Mi pare quasi di ricordare l’odore di quei quadrati di plastica, ma sapete qual è la verità?
Che la maggioranza di quei giochi faceva veramente schifo. L’Angry Videogame Nerd ha saputo probabilmente illustrarlo molto meglio di me: niente salvataggi, password infinite, farcitura di glitch a sorpresa dietro ogni pixel, enigmi impossibili da sbrogliare salvo la lettura di qualche rivista, gameplay che aveva nella difficoltà la sua unica speranza di longevità. Non erano tempi migliori, né tanto meno si trattava di una qualche fantomatica “era dell’oro” per il videogame. Eravamo banalmente noi e la nostra allora fresca biologia ad essere molto migliori. Punto.
Salvo quei pochissimi, ovvi capolavori assoluti che oggi ancora rappresentano una gioia sotto la pressione dei nostri polpastrelli, come la maggioranza dei giochi di Mario di cui qualcuno costantemente (e a ragione) mi accusa di essere un fanboy, la verità è che oggi probabilmente un buon 95% della libreria NES e Game Boy è completamente ingiocabile. E non solo una percentuale molto simile, sebbene inferiore, si applica a quella del Super Nintendo, ma la verità è che anche ciò che risulta ancora giocabile e anche molto buono, presenta caratteristiche di gameplay che, semplicemente, non sono più divertenti. L’incontro casuale nell’RPG è un’interruzione assolutamente indesiderabile. L’assenza di “Continue” non è difficoltà sfidante ma una catastrofe. La mancanza totale di strategia in certi picchiaduro ne rende l’esperienza uno stupido button mashing privo di alcun senso.
Eppure, eppure, eppure. Eppure lo sappiamo tutti: Nintendo che continua a capitalizzare come una matta con riproposizioni di scarsissima qualità di roba di trent’anni fa. Macchine di retrogaming di ogni specie che continuano a vendere e a essere sponsorizzate da questo o quell’influencer. Scadentissime versioni mini-ultra-lusso di ogni pezzo di hardware creato dagli anni ‘70 a oggi. Anche se probabilmente il vero orrore Lovecraftiano, lo Ctulhu, l’abisso, risiede nelle pagine social sul retrogaming. Riproposizioni infinite delle stesse immagini in pixel art, corredate di “Questi si che erano giochi”, “Un tempo i giochi avevano anima”, “Un tempo si che ci divertivamo con poco”, e dell’inevitabile, disgustoso fiume di like che ne consegue.
Io rifiuto tutto ciò e non voglio vivere nel passato perché questa mentalità, banalmente, vuol dire avere rinunciato alla possibilità che il futuro possa continuare a darmi cose belle. Che ciò riguardi i videogiochi o qualunque altro piacere della vita. D’altronde, guardiamoci in faccia: il retrogaming oggi è poco meno che una pratica social. Rigiochiamo a quella vecchia cartuccia di Pac-Man o Space Invaders su un Atari comprato su eBay non perché ne traiamo più alcun reale godimento, ma per instagrammare l’esperienza e poi annoiarcene dopo una dozzina di minuti. Il nostro corpo rifiuta una simile riproposizione del “more of the same” e noi, semplicemente, ci rifiutiamo di ascoltarlo finché la biologia non ha la meglio. Ma non solo: il fatto stesso che i videogiochi probabilmente oggi hanno più anima che mai è segno della pericolosissima cecità in cui questo dogma ci proietta. Abbiamo talmente paura della realtà che ci circonda che il nostro cervello preferisce vivere nella narrazione di una bellezza perfetta, ma mai esistita, piuttosto che fare lo sforzo di ritagliare bellezza reale tra le piccole o grandi amarezze del crescere. E quando abbiamo fatto nostro questo concetto è finita. Abbiamo rinunciato alla vita stessa, siamo forse già morti. Ed ecco allora che torno a guardare un video dell’AVGN che eietta i propri fluidi corporei su una vecchia cartuccia di “Dr. Jekill & Mr. Hyde” e capisco di nuovo tutto. Non posso tornare indietro agli anni ‘90, ma il bello è che va bene così, posso lasciarlo andare. Perché in fondo quel passato non era un granché. E questa vita sarà ancora piena di giochi bellissimi.