Roma è ancora popolare per i videogiocatori americani. L’indecisione tra lode della Repubblica e fascinazione per l’Impero.
Pochi periodi storici hanno affascinato gli uomini come la Repubblica romana ed il suo successore, l’impero. Fiumi di inchiostro sono stati scritti su questo argomento, dal classico Storia e Rovina dell’Impero romano dello storico inglese Edward Gibbon, a libri che sottolineano l’importanza delle virtù romane nel mondo moderno, come la corrente neo-stoica tanto in voga negli ambienti filosofici statunitensi ed il cui esponente forse più conosciuto è Martha Nussbaum1.
Gli USA non sono rimasti immuni al prestigio di questa eredità. Il campidoglio americano che svetta nella capitale USA venne costruito sul modello di una villa palladiana, a sua volta una delle maggiori reinvenzioni dell’architettura classica. Thomas Jefferson, terzo Presidente di quella nazione, immaginava come cittadino ideale del nuovo Stato il piccolo agricoltore, partecipante alla vita politica in modo simile a quello nel quale i romani si riunivano nei comizi curiati. Come a Roma, i padri fondatori non avevano particolare fiducia nella democrazia di massa, preferendo una forma repubblicana nella quale solo una parte della cittadinanza avrebbe veramente preso decisioni rilevanti. Queste sono solamente alcune delle influenze di quella cultura sul sistema sociale e di governo americani, un argomento che non è possibile esaurire in poche pagine.
I romani come modello di mores quindi, di costumi i quali, se adottati e attivamente preservati, fanno un popolo grande e assicurano ad esso fama e potere. Una volta che questi ultimi vengono raggiunti, è anche tipico che essi vengano mal utilizzati. Governi corrotti, ceti dirigenti più staccati dalla popolazione, una società in continuo mutamento e quindi più difficile da regolare sono alcuni di questi problemi. Molti Paesi si sono serviti della parabola di Roma per valutare la loro propria ascesa e decadenza. Spesso il metro di paragone era dato da fattori come la compattezza sociale, la difesa dei meccanismi istituzionali tradizionali, la forza della coscienza civile. Frequente era la riflessione sulle difficoltà presentate dal passaggio dalla forma repubblicana a quella del principato, generalmente considerato l’inizio della fine di Roma dagli autori illuministi (vedi Montesquieu2).
Questo articolo si concentra sulla narrativa dell’antica Roma da parte dei media americani e di come questa influenzi la percezione di sé degli statunitensi, in particolare attraverso il medium dei videogiochi. Il titolo Rise: Son of Rome, uscito nel 2013 per XboxOne, riassume in sé tutti gli aspetti rilevanti della visione che il cittadino americano medio ha del mondo romano: l’eroe come uomo di famiglia e soldato, l’amore per la patria, il rapporto ambiguo con la missione civilizzatrice che guida la società e con la violenza, l’opposizione ad una visione centralizzata del governo. Esaminiamo queste caratteristiche più da vicino.
Rise: gli occhiali a stelle e strisce per guardare a Roma
Il protagonista del videogioco è Marius Titus, un soldato, figlio di un generale rinomato già eletto console. Uomo legato alla sua gens, Marius si prepara ad una vita tranquilla in una città della provincia d’Egitto, contrariamente al suo desiderio di venire stanziato sul limes germanico. Fin da subito lo statunitense può identificarsi con quest’uomo, non dissimile da tanti giovani che decidono di cominciare una carriera nell’esercito, convinti della missione civilizzatrice della propria nazione nei confronti di coloro che stanno al di là dei suoi confini. Un’ eco della dottrina del cosiddetto “Destino Manifesto” che aveva portato i coloni verso il Far West. In un dipinto del pittore statunitense John Gast chiamato American Progress, una figura femminile gigantesca guida i cittadini verso la frontiera – un libro di scuola nella mano, per portare la civiltà ai nativi. Il messaggio è chiaro: l’istruzione è la chiave del progresso, non solo geografico.
Marius crede profondamente all’equivalente romano di questa idea, ben esemplificato nel discorso al quale assiste affascinato una volta sbarcato in Britannia: “Rome is civilization. Rome is order. And out here..WE are Rome!”.
Allo stesso tempo, egli dimostra quelle qualità di carattere che sono tipiche dell’americano della Deep America: rispetto e venerazione per il padre, grande uomo politico e condottiero; tenero affetto per la madre, donna timorata e ligia al dovere. La famiglia fa da contraltare agli intrighi politici e si configura come un vero e proprio rifugio – un locus amoenus, separato dal mondo esterno e che esemplifica la dicotomia americana tra legame nostalgico con la casa ed il territorio e la vocazione imperiale.
Vocazione che trova però diversi ostacoli in Britannia, dove Marius viene spedito dopo i primi eventi del gioco. Provincia da poco colonizzata ed ancora soggetta alle incursioni di popolazioni restie ad accettare il dominio della superpotenza, essa diventa il banco di prova delle convinzioni del protagonista, ben presto messo davanti alla dura realtà della guerra. La campagna militare è guidata da un figlio dell’imperatore, Commodus, non avvezzo alle fatiche belliche e che si rivela ben presto un incapace, facendosi catturare dai capi della resistenza dei britanni. È lo stereotipo del politico staccato dalla società, inadatto a comandare e privilegiato. Marius gli viene opposto come il cittadino-soldato di hegeliana memoria, la cui virtù e coscienza civile derivano dall’investimento di tempo ed energie nella protezione ed espansione dello stato. Un tema, questo, caro alle società moderne, dove le élite politiche vengono spesso accusate di mancanze nei confronti del popolo. L’idea che il maggior pericolo per una società venga dai suoi leader piuttosto che dall’esterno era già stata proposta nel contesto del mondo romano da Il Gladiatore ed è qui particolarmente sentita. È una costante della cultura americana. I padri fondatori hanno infatti lasciato ampia autonomia ai propri cittadini nei confronti dell’amministrazione centrale. Questa volontà portò alla suddivisione degli USA in Stati invece che di regioni o provincie come in Italia. In questo modo le comunità locali cercarono di garantirsi una certa libertà di azione da una classe dirigente spesso vista con sospetto.
In Rise a questa sfiducia si affianca anche un maggiore scetticismo nei confronti del Destino Manifesto di Roma/America. Il Gladiatore uscì ancora nel 2000, prima dell’attacco alle Torri Gemelle e per questo si concentrava su una storia di vendetta puramente interna al mondo romano. La vicenda girava intorno ai rapporti personali fra i personaggi, con pochi accenni a ciò che stava all’esterno. La società romana era vista con le lenti di un America relativamente disinteressata al mondo al di là del confine, perché sicura della sua inattaccabilità. Massimo Decimo Meridio è vittorioso contro i barbari, prima di venire tradito da Commodo. Roma è sicura e pacificata, se non fosse per il politico corrotto che scaccia l’eroe dal posto assegnatoli. L’egemonia di questa Roma riecheggia il ventennio 1990-2010, quando gli USA non aveva rivali sullo scacchiere mondiale.
Son of Rome per contro è uscito nel 2013, dopo l’attacco lanciato dagli USA contro l’Iraq nel 2003. Questo evento ha segnato la coscienza e la percezione di sé degli statunitensi, portando molti di essi a contestare non tanto la bontà, ma la necessità di esportare i costumi e le istituzioni del proprio Paese in un altro. L’Iraq venne presto considerato irrimediabilmente arretrato ed irrecuperabile, la guerra come uno spreco di risorse e vite. Le accuse di vanità e di corruzione fatte nel videogioco a Nerone si rispecchiano in quelle rivolte al presidente Bush dopo qualche anno dall’inizio del conflitto in Medio Oriente. La critica, cioè, di essersi lasciato influenzare da considerazioni di carattere elettorale o di tornaconto economico nel pronunciarsi in favore di un attacco.
È però evidente che qui non sia tanto l’esportazione della civiltà a venire criticata, quanto il metodo con il quale questo scopo viene raggiunto. Il conflitto, nel gioco come nella realtà, viene criticato non in quanto guerra, ma perché non giustificato da motivi sufficienti a motivare un’aggressione su quella scala. Allo stesso tempo anche in Rise non è l’opera di civilizzazione della Britannia da parte delle legioni a venire messa in discussione, quanto le macchinazioni della classe politica romana. Non siamo di fronte ad un messaggio pacifista, evidentemente, quanto davanti a quella che l’analista geopolitico Dario Fabbri definisce come la ‘stanchezza imperiale’. Non un desiderio di pace, ma un tentativo di assicurare l’egemonia culturale e politica attraverso mezzi che richiedano meno dispendio di energie. Gli americani – ed i romani con i quali essi si identificano, rimangono convinti del primato del loro modello di società.
A questo scetticismo si affianca anche un tentativo, da parte degli sviluppatori, di dare voce ad esponenti di culture esterne alla narrativa dominante della nazione. In Rise questo ruolo è giocato da Budicca e da suo padre re Oswald, i quali sono favorevoli ad una relazione pacifica con Roma, ma desiderano mantenere la loro indipendenza. Marius riesce ad aprirsi progressivamente all’idea che la violenza dei ‘barbari’ potrebbe derivare dalle loro condizioni di vita piuttosto che da una congenita inferiorità morale ed intellettuale. Si rivede nella caratterizzazione dei nativi gli apprezzamenti sui costumi dei Germani di Tacito, storico del I secolo d.C.
Nel suo libretto Germania - L'origine e il sito dei Germani3, come anche nel videogioco, la vita avvezza alle asprezze dei popoli non civilizzati viene considerata come più virtuosa di quella dei cittadini di una città opulenta come Roma – o in questo caso degli USA. Si cerca di intravedere una radice comune fra popoli fino a quel momento pensati come diametralmente opposti: romani e britanni nel gioco, americani del Midwest e minoranze nella realtà. Espressione del tentativo da parte della potenza dominante di accogliere nel suo seno ceppi etnici differenti, prerogativa di una politica egemonica che vuole mantenere ed espandere la sua influenza presso altre civiltà. Gli USA sono del resto fieri di questa propensione all’assimilazione, che ha portato prima irlandesi e scozzesi, poi tedeschi ed ora ispanici ad integrarsi nella loro comunità. Ecco, quindi, come quella che in apparenza pare un’apertura al diverso e al riconoscimento di paradigmi sociali differenti, si risolve piuttosto nel riportare quei modelli ad una radice comune, quella della potenza civilizzatrice. Il rispetto verso i barbari deriva da un loro essere simili ai primi fondatori di Roma, che viene riconfermata come il modello da seguire per mantenere incorrotti i costumi che l’hanno resa potente.
Conclusione
Rise: Son of Rome non brillerà certo per originalità o per un gameplay innovativo, ma rimane interessante come espressione della mentalità americana della scorsa decade. Un periodo fatto di stanchezza e di disillusione degli statunitensi nei confronti delle narrative che volevano l’America capace ed in dovere di portare ovunque il suo paradigma culturale. Il gioco è stato e rimane tuttora piuttosto popolare. È facile per il giocatore medio empatizzare con Marius e con i suoi dilemmi tra attaccamento alla famiglia e alla patria e percezione della fragilità interne alla sua classe dirigente, che gli richiedono di “purgarla” dei suoi elementi tirannici e corrotti. Lo stesso Marius è diviso tra un conservazionismo morale estremo, che idealizza la civiltà di Roma, ed una difficile apertura verso il diverso rappresentato da un mondo sempre più restio ad accettare il primato politico e culturale della superpotenza (Budicca). La soluzione che sembra venire suggerita è sempre prettamente americana, anche se colorita dal rimando ai fasti dell’antico: la comunità fondata sul comune sforzo bellico e sulla condivisione di una libertà gelosamente custodita contro le ingerenze del governo (Nerone-Bush). Per compattare la comunità, bisogna quindi pensarla indipendentemente da faziosità legate a pregiudizi culturali e razzisti. Una rigenerazione in chiave nuova di quel paradigma sul quale i padri fondatori hanno costituito gli USA ed il suo primato mondiale.
Per prepararsi ad un futuro più incerto e difficile, ma che gli statunitensi sono sempre più decisi ad affrontare.
Martha Nussbaum, Rabbia e Perdono, Il Mulino acquistabile su https://www.amazon.it/Rabbia-perdono-generosit%C3%A0-come-giustizia/dp/8815272895/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=P46F1SFMMVW3&keywords=martha+c.+nussbaum%2C+rabbia+e+perdono.+la+generosit%C3%A0+come+giustizia&qid=1636394943&sprefix=Nussbaum+rabbia+e+per%2Caps%2C339&sr=8-1
Charles L. de Montesquieu, Lo spirito delle leggi, BUR Rizzoli, acquistabile su https://www.amazon.it/spirito-delle-leggi-Charles-Montesquieu/dp/8817129682
Publio Cornelio Tacito, Vita di Agricola-La Germania, BUR Rizzoli, acquistabile su https://www.amazon.it/Vita-Agricola-Germania-Cornelio-Tacito/dp/8817167819/ref=sr_1_3?keywords=tacito+germania&qid=1636393938&s=books&sr=1-3