Non ho capito bene il punto dell'articolo. Secondo me le tue argomentazioni vanno incontro a un'obiezione fondamentale: esattamente come il designer ha delle limitazioni imposte dalla ricezione di un pubblico, quelle stesse limitazioni ce le ha l'artista. La qualità artistica non è metafisicamente assegnata, ma dipende dallo status che intersoggettivamente un certo autore riesce ad acquisire.
Con ogni probabilità se Leonardo Da Vinci avesse deciso di mettere una chiazza rossa sulla Gioconda, ora non staremmo a parlar di lui, perché non sarebbe passato alla storia, perché il pubblico non lo avrebbe nemmeno preso in considerazione. Esattamente come se un designer di videogiochi fa una bossfight troppo sbilanciata, il pubblico si lamenta. Gli autori non sono limitati da strutture scientifiche ed empiriche (come le chiami nell'articolo): non esistono cose del genere. Sono limitati dal feedback inevitabile del pubblico a cui si rivolgono.
Un ultimo appunto sulla chiusura dell'articolo: le limitazioni del designer di videogame, possono non essere fisiche, ma sono informatiche e computazionali e di hardware. Tutte le opere e tutti gli autori (sia che li chiami designer che li chiami artisti) hanno delle limitazioni. L'essenza dell'arte probabilmente sta nel fare il massimo entro certi limiti molto stringenti (pensa alla poesia in versi).
se posso permettermi, questo articolo si presta a molte obiezioni, ma alcune che hai fatto tu non mi tornano molto. Non credo che lo status di artista si misuri solo in base al gradimento del pubblico, anzi credo che l'artista prescinda da cosa ne pensa il pubblico, anche perchè il pubblico cambia (per i suoi contemporanei Van Gogh non era sto granchè mentre ora è il GOAT dei pittori). Tu hai scritto per esempio un pezzo su Dark Souls. Credo che gli autori se ne siano sbattuti altamente del gradimento del pubblico (intendo del GRANDE pubblico), anzi, hanno scommesso la loro arte nel cercare di rendere il gioco il più disagevole possibile (con gran coraggio). Anche il concetto di essenza dell'arte che tu esprimi alla fine non mi trova molto d'accordo. L'artista se li decide lui i limiti (a parte ovviamente i limiti della fisica).
Non ho mai detto che l'unico criterio per essere un artista è il gradimento del pubblico, ho detto che però è una condizione necessaria. Se la comunità di interpreti non ti riconosce sei artista solo per te stesso e quindi tutti possono esserlo
2- non è questo il punto: si stava parlando delle limitazioni dell'artista o del designer rispetto al giudizio del pubblico. E secondo me il fatto che la gente lo riconosca o meno artista non è pertinente perchè non incide necessariamente su come decide di svolgere la sua arte.
Se il tuo commento era piccato perchè ti sono sembrato arrogante, scusa. Non era mia intenzione.
L'articolo non ha esattamente un punto, è più uno stream of consciousness. Sono le pippe mentali che mi faccio mentre torno casa dopo la lezione.
Se Leonardo da Vinci avesse messo una chiazza rossa sulla Gioconda non staremmo a parlare di lui, però sarebbe comunque un "artista". Se un dipinto di un artista dei giorni nostri non vende si dice che "non è piaciuto", se un app non vende si dice che "è fatta male". Davanti ad un opera di Basquiat non diresti mai "è fatta male", però giocando ai giochi su Steam Greenlight sì.
La documentazione che riguarda la narrazione è dettata dal pubblico, sì, ma questo non la rende meno scientifica ed oggettiva. Wesa stesso nel suo video sui consigli di scrittura ha elencato delle "regolette" da seguire, che sono risultato delle esperienze degli autori nel corso della storia. Ad esempio quando ha spiegato che più un'opinione è tagliente, più la devi argomentare. É una "regoletta" per scrivere saggi che, se vuoi fare un buon lavoro, dovresti seguire. Simile alle 10 Euristiche linkate nell'articolo. Non ti uccide nessuno se non lo fai, però hai fatto un pessimo lavoro.
Le limitazioni hardware sono limitazioni fisiche per definizione. Il silicio dentro le schede dei computer ha un limite fisico che non gli permette di andare più veloce di tot e quindi limita l'hardware a tot potenza. Le limitazioni informatiche sono comunque legate all'hardware. Se uno sviluppatore volesse creare uno specchio con un particolare shader, le uniche cose che lo limitano sono la sua abilità nel partorire il codice dello shader e (appunto) la potenza dei chip nel computer. Far rimare i versi di una poesia è una limitazione autoimposta e quindi un'altra forma di libertà, la carta non prende fuoco se scrivi dei versi con metriche sballate, scrivere versi in rima è una figata ma è una tua scelta, i limiti hardware invece sono assoluti. Per quanto tu possa impegnarti, le case volanti ancora non le possiamo fare.
È questo il punto: che se non stessimo qui a parlare di Leonardo da Vinci, non sarebbe un artista. L'affermazione della propria identità autoriale non è una condizione sufficiente a fare di un autore, un artista. L'artista è tale perché ci siamo messi d'accordo che lo sia.
Riguardo alla differenza di contegno usata per criticare i videogiochi rispetto alle altre opere: un conto è dire che il pubblico considera i videogiochi come un prodotto di cui valutare il funzionamento in base alle loro idiosincrasie e non come opere da comprendere; un conto è dire che questa differenza appartiene intrinsecamente al medium videoludico in quanto prodotto di design.
Adesso mi è molto più chiaro il tuo punto di vista.
Effettivamente diverse canzoni, quadri e quant'altro sono considerati "arte" solo da un gruppo ristretto di persone, non universalmente. Per alcuni Duchamp è un visionario, per altri un folle. Per alcuni (io) la Vaporwave è una critica della società moderna, per altri è solo musica rallentata.
La mia mente da informatico mi porta sempre a cercare definizioni matematiche e universali, però magari la risposta è che, come dici tu, un certo videogioco è "un'opera d'arte" solo perché ci siamo messi d'accordo che lo sia.
Come disse McLuhan: "Art is anything you can get away with".
"Mi faccio le obiezioni da solo e rispondo" è un altro "format" interessante, specie se si infarcisce tutto con riferimenti intelligenti e fonti. Hai buttato al fuoco tanta ciccia di valore e potevi approfondire un pizzico in più ma l'ho trovato molto stimolante. thumb up
Questo il mio pensiero: l'arte è un'interpretazione della realtà, il design è un suo efficientamento (in chiave umana). Nel videogioco le due cose possono idealmente coesistere, anche nelle mani della stesso creatore (Hiroshi Ono, Shigeru Miyamoto, John Romero, Warren Spector e tanti altri).
Credo che gli artisti duri e puri siano ben pochi.
Anche Leonardo lavorava su commissione e non poteva sempre fare come gli pareva. Quindi direi che l'arte (perlomeno l'arte che deve vendere) è sempre un compromesso con il fruitore. Che sia pittura, letteratura, cinema, musica, videogiochi, ecc ecc
Mi è piaciuto l'articolo, il paragone con Leonardo come hanno già detto altri è un po' lontano (conta che nella vita Leonardo addirittura progettò marchingegni per il teatro per divertire nobili annoiati, era quasi un Imagineer a suo modo lol) ma quello che vuoi dire passa benissimo.
Io ti posso dare il mio punto di vista a livello professionale svolgendo questo mestiere: per me il processo di creazione dei videogiochi, specie se commerciali, è totalmente design. Un videogioco lo si progetta come un software, con tutti gli annessi e i connessi. L'unica differenza risiede che mentre una app ha come goal un risultato utile (per es.: Evernote mi permette di gestire la mia vita al meglio), i videogiochi devono adempire al ruolo di essere divertenti e basta. Il processo tecnico per creare "divertimento", tuttavia, è quantificabile e riproducibile quanto lo è lo studio di usabilità di una app come Evernote.
L'arte, insomma, arriva (o non arriva!) a valle del processo creativo, che è sempre e soltanto tecnico (al massimo se parliamo di arte contemporanea, può ignorare la tecnica. Ma rimaniamo sempre al massimo in un rapporto di negazione). Dietro quello che vedi in un museo, come un quadro di Caravaggio, ci sta uno studio di "usabilità" enorme, che passa dalla concretezza pura (che colori sceglieva, quanto ci mette la vernice a seccare, le dimensioni della tela, il materiale della tela, studio della prospettiva, ore di pose con il modello e via dicendo). Tutto ciò diventa arte nel momento che qualcuno lo chiama come tale (e a ragion veduta, nel caso di Caravaggio, la cui umanità è comunque trapelata in maniera esplosiva nel suo lavoro tecnico), ma a monte abbiamo comunque un lavoro molto pragmatico e, se vogliamo, di design.
Dunque, io penso che l'arte nasce sempre come design, ma non tutto il design diventa arte. Tra l'altro la parola stessa "arte" ha un campo semantico e un'etimologia molto ampio, ben diverso dal significato "sacrale" che gli diamo noi.
Comunque noi informatici parliamo un'altra lingua. Questo commento l'ho capito all'istante, altri commenti o articoli me li devo rileggere un paio di volte prima di essere sicuro di quello che sta succedendo.
Dopo anni passati a leggere la documentazione di C qualcosa dentro di te cambia, ne sono sicuro.
Trovo che la domanda alla base dell’articolo nasca da un fraintendimento sull’idea di arte e di artista, sintetizzabile con la frase: l’artista è libero, il designer no. Da dove nasca tale idea emerge tra le righe poco più avanti. Il passaggio riguardante la narrativa sembra infatti suggerire che la presenza di regole oggettive (il termine scientifico lo lascerei proprio perdere) metta in discussione la letteratura come forma d’arte in quanto lo scrittore non sarebbe effettivamente libero.
Dato che l’idea secondo cui l’artista è libero è problematica e ambigua, cerco di capire cosa può voler dire.
Che l’artista non sia libero a livello pratico lo do per scontato, ha tempo e risorse limitate per creare le sue opere. Penso però che il riferimento non fosse al piano fisico ma a quello creativo: l’artista può fare ciò che vuole nel senso che non deve sottostare a nessuna regola o limitazione concettuale. E i committenti dei quadri? I produttori dei film? Gli editori dei romanzi e soprattutto il pubblico?
Arrivo quindi a quella che mi sembra sia l’interpretazione più corretta: l’artista molto spesso non è libero, ma dovrebbe esserlo, nel senso che dovrebbe essere messo nelle condizioni di fare quello che vuole. Lo scenario ideale è quello in cui ogni paletto viene tolto e finalmente l’artista può trascorrere la vita sognando ad occhi aperti mentre viene mantenuto dai mecenati che gli consentono di esprimere il suo genio. Questo è il punto su cui vorrei concentrarmi, infatti tale idea spesso nasce da una concezione dell’artista come di un genio mosso da un’ispirazione quasi divina, che dunque dovrebbe essere messo nelle condizioni di esprimere liberamente tale ispirazione.
La convinzione che l’artista dovrebbe essere libero è secondo me errata, è figlia infatti di un altro fraintendimento, ovvero che la creatività venga stimolata dal non avere limiti. Non è così, al contrario la creatività è stimolata dalle limitazioni, Eliot ha espresso perfettamente tale concetto: “quando è obbligata ad operare all’interno di limiti rigorosi l’immaginazione è spinta al massimo e produce le sue idee migliori. Se le viene data completa libertà è probabile che l’opera si disperda.”
L’esempio della narrativa è in questo senso paradigmatico. Soprattutto il mondo anglosassone ha prodotto moltissime teorie su come si racconta una storia, tra le quali quella citata nell’articolo, con lo scopo di capire quali elementi hanno in comune le storie che funzionano da sempre e cercare di raccontare meglio quelle che abbiamo in mente. Quest’idea è problematica per chi considera l’artista come una figura divina: l’arte non si insegna e non si impara, o sei Leonardo o non lo sei. In poche parole, l’arte non è un mestiere. Penso sia un problema di punto di vista, questa è l’idea che ci facciamo come spettatori o critici: di nuovo, sembra che l’artista abbia creato mosso da un’ispirazione insondabile. Provando invece a mettersi dalla parte di chi crea, o ascoltandone le testimonianze, si capisce presto che lo sceneggiatore/scrittore è più simile a un artigiano, il quale crea pazientemente usando i suoi strumenti e la sua esperienza.
Quindi non solo l’artista non è libero dal punto di vista economico, fisico e computazionale (dato che parliamo di videogiochi) ma non lo è e non lo dovrebbe essere nemmeno da quello creativo. Non trovo quindi che ci sia nessuna contrapposizione tra le figure dell’artista e quella del designer, sono artigiani che usano strumenti diversi e hanno limitazioni diverse.
Mi sembrava utile cercare di demistificare l’idea dell’artista che sembra emergere dall’articolo, spero di aver detto qualcosa di sensato.
L'argomento è molto interessante, sicuramente merita un grande approfondimento.
Forse Da Vinci è un riferimento fuorviante come "artista", paradossalmente molto più vicino ad un designer / ricercatore! Come è stato già osservato, i cosiddetti artisti pre-moderni lavoravano perlopiù su commissione, quindi lontano da questa idea da rockstar del pennello che a volte ci immaginiamo... Era un'attività artigianale e scientifica, con commissioni, vincoli, progetti e una bottega molto simile a uno studio tecnico.
Personalmente i discorsi attorno al concetto di arte o di artista mi mettono sempre a disagio. Hanno sempre un sapore sfuggente e un odore di mercato.
Non mi convince molto il tuo discorso, tuttavia recupererò sicuramente il libro di Munari per approfondire!
Effettivamente avrei dovuto trovare un esempio migliore di Leonardo, però mi sono reso conto della cosa solo dopo aver pubblicato. Magari Basquiat o Bansky sarebbero stati esempi più accurati.
Il libro di Munari, in tutta sincerità, non te lo consiglio. Fa dei discorsi ormai un po' "obsoleti" per i miei gusti, ad esempio dice che "Il bravo designer non ha uno stile." cosa che secondo me non potrebbe essere più lontana dalla verità, Apple e Google hanno trattati di 300 pagine l'uno soltanto per spiegarti lo "stile" che devi adottare quando sviluppi GUI per conto loro, stili ideati dai rispettivi capi designer... Però il libro di Munari è comunque un minimo interessante se sei appassionato del settore, anche solo per sentire opinioni diverse.
Soprattutto sulla parte delle limitazioni: non siamo e non saremo mai del tutto liberi (le leggi della fisica che citavi).
Così anche nei videogiochi e nei libri ci sono dei paletti.
Mi ha ricordato questa intervista al Game Director di Soulstice (https://youtu.be/-X6oBnCfmIs), dove (non ricordo a che minuto) afferma che le idee per il gioco sono arrivate dalle limitazioni che avevano.
Ciò che per me fa un grande artista è riconoscere i limiti (di medium, strumenti, budget, conoscenze) e sfruttarli al meglio.
Ciao, l'articolo tocca questioni a dir poco complesse con sintesi e con un linguaggio accessibile a tutti, ne leggerei volentieri altri su questo tema, nodi da sciogliere ce ne sono tanti. Aggiungo che giungere ad un compromesso in questa riflessione è sicuramente rilevante in vista di sviluppi futuri, nonché sintomatico di un passo avanti rispetto all'idea (vecchia) che l'arte sia il prodotto di un'individualità autonoma, quindi complimenti e continua ad approfondire la questione.
Il passaggio sulla narrativa mi rimane, devo dire, piuttosto oscuro.
Gli schemi oggettivi e scientifici (?) che tu menzioni sono infatti applicabili soltanto ex-post, dai critici (che certo non sono scienziati) e dopo che lo stesso critico ha digerito l'opera soggettivamente. I limiti del formalismo e dello strutturalismo, a tal proposito, penso siano stati ampiamente dimostrati. Un autore è legittimato ad applicare gli schemi di cui parli alle proprie opere, ma può benissimo non farlo (anche se l'opera può, successivamente, essere schematizzata e rientrare nelle categorie sopra menzionate). Costruire una narrazione secondo 'leggi di design' è solo una delle possibilità offerte all'autore, e d'altronde tale possibilità concerne, almeno nel tuo discorso, un aspetto solo della narratività, ovvero quello legato alla trama. Ma se le trame sono riconducibili a schemi, il modo nelle quali vengono raccontate, che io sappia, no.
(Scusami se ti ho frainteso, ma il pezzo si presta - e direi che su questo si fonda la sua forza provocatoria - al fraintendimento)
Non ho capito bene il punto dell'articolo. Secondo me le tue argomentazioni vanno incontro a un'obiezione fondamentale: esattamente come il designer ha delle limitazioni imposte dalla ricezione di un pubblico, quelle stesse limitazioni ce le ha l'artista. La qualità artistica non è metafisicamente assegnata, ma dipende dallo status che intersoggettivamente un certo autore riesce ad acquisire.
Con ogni probabilità se Leonardo Da Vinci avesse deciso di mettere una chiazza rossa sulla Gioconda, ora non staremmo a parlar di lui, perché non sarebbe passato alla storia, perché il pubblico non lo avrebbe nemmeno preso in considerazione. Esattamente come se un designer di videogiochi fa una bossfight troppo sbilanciata, il pubblico si lamenta. Gli autori non sono limitati da strutture scientifiche ed empiriche (come le chiami nell'articolo): non esistono cose del genere. Sono limitati dal feedback inevitabile del pubblico a cui si rivolgono.
Un ultimo appunto sulla chiusura dell'articolo: le limitazioni del designer di videogame, possono non essere fisiche, ma sono informatiche e computazionali e di hardware. Tutte le opere e tutti gli autori (sia che li chiami designer che li chiami artisti) hanno delle limitazioni. L'essenza dell'arte probabilmente sta nel fare il massimo entro certi limiti molto stringenti (pensa alla poesia in versi).
se posso permettermi, questo articolo si presta a molte obiezioni, ma alcune che hai fatto tu non mi tornano molto. Non credo che lo status di artista si misuri solo in base al gradimento del pubblico, anzi credo che l'artista prescinda da cosa ne pensa il pubblico, anche perchè il pubblico cambia (per i suoi contemporanei Van Gogh non era sto granchè mentre ora è il GOAT dei pittori). Tu hai scritto per esempio un pezzo su Dark Souls. Credo che gli autori se ne siano sbattuti altamente del gradimento del pubblico (intendo del GRANDE pubblico), anzi, hanno scommesso la loro arte nel cercare di rendere il gioco il più disagevole possibile (con gran coraggio). Anche il concetto di essenza dell'arte che tu esprimi alla fine non mi trova molto d'accordo. L'artista se li decide lui i limiti (a parte ovviamente i limiti della fisica).
Nel mio commento non ho detto quello che tu dici io abbia detto.
ok. non sono meritorio di una spiegazione? Aiutami a capire cosa ho travisato
Non ho mai detto che l'unico criterio per essere un artista è il gradimento del pubblico, ho detto che però è una condizione necessaria. Se la comunità di interpreti non ti riconosce sei artista solo per te stesso e quindi tutti possono esserlo
Ok. Mi hai abbastanza convinto. Però 2 cose:
1- ho scritto anche altro.
2- non è questo il punto: si stava parlando delle limitazioni dell'artista o del designer rispetto al giudizio del pubblico. E secondo me il fatto che la gente lo riconosca o meno artista non è pertinente perchè non incide necessariamente su come decide di svolgere la sua arte.
Se il tuo commento era piccato perchè ti sono sembrato arrogante, scusa. Non era mia intenzione.
Nono, era solo per puntualizzare, non ero arrabbiato, vez. Nessun problema, anzi ;)
L'articolo non ha esattamente un punto, è più uno stream of consciousness. Sono le pippe mentali che mi faccio mentre torno casa dopo la lezione.
Se Leonardo da Vinci avesse messo una chiazza rossa sulla Gioconda non staremmo a parlare di lui, però sarebbe comunque un "artista". Se un dipinto di un artista dei giorni nostri non vende si dice che "non è piaciuto", se un app non vende si dice che "è fatta male". Davanti ad un opera di Basquiat non diresti mai "è fatta male", però giocando ai giochi su Steam Greenlight sì.
La documentazione che riguarda la narrazione è dettata dal pubblico, sì, ma questo non la rende meno scientifica ed oggettiva. Wesa stesso nel suo video sui consigli di scrittura ha elencato delle "regolette" da seguire, che sono risultato delle esperienze degli autori nel corso della storia. Ad esempio quando ha spiegato che più un'opinione è tagliente, più la devi argomentare. É una "regoletta" per scrivere saggi che, se vuoi fare un buon lavoro, dovresti seguire. Simile alle 10 Euristiche linkate nell'articolo. Non ti uccide nessuno se non lo fai, però hai fatto un pessimo lavoro.
Le limitazioni hardware sono limitazioni fisiche per definizione. Il silicio dentro le schede dei computer ha un limite fisico che non gli permette di andare più veloce di tot e quindi limita l'hardware a tot potenza. Le limitazioni informatiche sono comunque legate all'hardware. Se uno sviluppatore volesse creare uno specchio con un particolare shader, le uniche cose che lo limitano sono la sua abilità nel partorire il codice dello shader e (appunto) la potenza dei chip nel computer. Far rimare i versi di una poesia è una limitazione autoimposta e quindi un'altra forma di libertà, la carta non prende fuoco se scrivi dei versi con metriche sballate, scrivere versi in rima è una figata ma è una tua scelta, i limiti hardware invece sono assoluti. Per quanto tu possa impegnarti, le case volanti ancora non le possiamo fare.
EDIT: formattazione.
È questo il punto: che se non stessimo qui a parlare di Leonardo da Vinci, non sarebbe un artista. L'affermazione della propria identità autoriale non è una condizione sufficiente a fare di un autore, un artista. L'artista è tale perché ci siamo messi d'accordo che lo sia.
Riguardo alla differenza di contegno usata per criticare i videogiochi rispetto alle altre opere: un conto è dire che il pubblico considera i videogiochi come un prodotto di cui valutare il funzionamento in base alle loro idiosincrasie e non come opere da comprendere; un conto è dire che questa differenza appartiene intrinsecamente al medium videoludico in quanto prodotto di design.
Adesso mi è molto più chiaro il tuo punto di vista.
Effettivamente diverse canzoni, quadri e quant'altro sono considerati "arte" solo da un gruppo ristretto di persone, non universalmente. Per alcuni Duchamp è un visionario, per altri un folle. Per alcuni (io) la Vaporwave è una critica della società moderna, per altri è solo musica rallentata.
La mia mente da informatico mi porta sempre a cercare definizioni matematiche e universali, però magari la risposta è che, come dici tu, un certo videogioco è "un'opera d'arte" solo perché ci siamo messi d'accordo che lo sia.
Come disse McLuhan: "Art is anything you can get away with".
un incontro fortunato (e fortuito) tra gradimento del pubblico e idiosincrasia autoriale
"Mi faccio le obiezioni da solo e rispondo" è un altro "format" interessante, specie se si infarcisce tutto con riferimenti intelligenti e fonti. Hai buttato al fuoco tanta ciccia di valore e potevi approfondire un pizzico in più ma l'ho trovato molto stimolante. thumb up
Grazie! Magari potrei approfondire meglio in articoli futuri.
Questo il mio pensiero: l'arte è un'interpretazione della realtà, il design è un suo efficientamento (in chiave umana). Nel videogioco le due cose possono idealmente coesistere, anche nelle mani della stesso creatore (Hiroshi Ono, Shigeru Miyamoto, John Romero, Warren Spector e tanti altri).
Credo che gli artisti duri e puri siano ben pochi.
Anche Leonardo lavorava su commissione e non poteva sempre fare come gli pareva. Quindi direi che l'arte (perlomeno l'arte che deve vendere) è sempre un compromesso con il fruitore. Che sia pittura, letteratura, cinema, musica, videogiochi, ecc ecc
Mi è piaciuto l'articolo, il paragone con Leonardo come hanno già detto altri è un po' lontano (conta che nella vita Leonardo addirittura progettò marchingegni per il teatro per divertire nobili annoiati, era quasi un Imagineer a suo modo lol) ma quello che vuoi dire passa benissimo.
Io ti posso dare il mio punto di vista a livello professionale svolgendo questo mestiere: per me il processo di creazione dei videogiochi, specie se commerciali, è totalmente design. Un videogioco lo si progetta come un software, con tutti gli annessi e i connessi. L'unica differenza risiede che mentre una app ha come goal un risultato utile (per es.: Evernote mi permette di gestire la mia vita al meglio), i videogiochi devono adempire al ruolo di essere divertenti e basta. Il processo tecnico per creare "divertimento", tuttavia, è quantificabile e riproducibile quanto lo è lo studio di usabilità di una app come Evernote.
L'arte, insomma, arriva (o non arriva!) a valle del processo creativo, che è sempre e soltanto tecnico (al massimo se parliamo di arte contemporanea, può ignorare la tecnica. Ma rimaniamo sempre al massimo in un rapporto di negazione). Dietro quello che vedi in un museo, come un quadro di Caravaggio, ci sta uno studio di "usabilità" enorme, che passa dalla concretezza pura (che colori sceglieva, quanto ci mette la vernice a seccare, le dimensioni della tela, il materiale della tela, studio della prospettiva, ore di pose con il modello e via dicendo). Tutto ciò diventa arte nel momento che qualcuno lo chiama come tale (e a ragion veduta, nel caso di Caravaggio, la cui umanità è comunque trapelata in maniera esplosiva nel suo lavoro tecnico), ma a monte abbiamo comunque un lavoro molto pragmatico e, se vogliamo, di design.
Dunque, io penso che l'arte nasce sempre come design, ma non tutto il design diventa arte. Tra l'altro la parola stessa "arte" ha un campo semantico e un'etimologia molto ampio, ben diverso dal significato "sacrale" che gli diamo noi.
Comunque noi informatici parliamo un'altra lingua. Questo commento l'ho capito all'istante, altri commenti o articoli me li devo rileggere un paio di volte prima di essere sicuro di quello che sta succedendo.
Dopo anni passati a leggere la documentazione di C qualcosa dentro di te cambia, ne sono sicuro.
Trovo che la domanda alla base dell’articolo nasca da un fraintendimento sull’idea di arte e di artista, sintetizzabile con la frase: l’artista è libero, il designer no. Da dove nasca tale idea emerge tra le righe poco più avanti. Il passaggio riguardante la narrativa sembra infatti suggerire che la presenza di regole oggettive (il termine scientifico lo lascerei proprio perdere) metta in discussione la letteratura come forma d’arte in quanto lo scrittore non sarebbe effettivamente libero.
Dato che l’idea secondo cui l’artista è libero è problematica e ambigua, cerco di capire cosa può voler dire.
Che l’artista non sia libero a livello pratico lo do per scontato, ha tempo e risorse limitate per creare le sue opere. Penso però che il riferimento non fosse al piano fisico ma a quello creativo: l’artista può fare ciò che vuole nel senso che non deve sottostare a nessuna regola o limitazione concettuale. E i committenti dei quadri? I produttori dei film? Gli editori dei romanzi e soprattutto il pubblico?
Arrivo quindi a quella che mi sembra sia l’interpretazione più corretta: l’artista molto spesso non è libero, ma dovrebbe esserlo, nel senso che dovrebbe essere messo nelle condizioni di fare quello che vuole. Lo scenario ideale è quello in cui ogni paletto viene tolto e finalmente l’artista può trascorrere la vita sognando ad occhi aperti mentre viene mantenuto dai mecenati che gli consentono di esprimere il suo genio. Questo è il punto su cui vorrei concentrarmi, infatti tale idea spesso nasce da una concezione dell’artista come di un genio mosso da un’ispirazione quasi divina, che dunque dovrebbe essere messo nelle condizioni di esprimere liberamente tale ispirazione.
La convinzione che l’artista dovrebbe essere libero è secondo me errata, è figlia infatti di un altro fraintendimento, ovvero che la creatività venga stimolata dal non avere limiti. Non è così, al contrario la creatività è stimolata dalle limitazioni, Eliot ha espresso perfettamente tale concetto: “quando è obbligata ad operare all’interno di limiti rigorosi l’immaginazione è spinta al massimo e produce le sue idee migliori. Se le viene data completa libertà è probabile che l’opera si disperda.”
L’esempio della narrativa è in questo senso paradigmatico. Soprattutto il mondo anglosassone ha prodotto moltissime teorie su come si racconta una storia, tra le quali quella citata nell’articolo, con lo scopo di capire quali elementi hanno in comune le storie che funzionano da sempre e cercare di raccontare meglio quelle che abbiamo in mente. Quest’idea è problematica per chi considera l’artista come una figura divina: l’arte non si insegna e non si impara, o sei Leonardo o non lo sei. In poche parole, l’arte non è un mestiere. Penso sia un problema di punto di vista, questa è l’idea che ci facciamo come spettatori o critici: di nuovo, sembra che l’artista abbia creato mosso da un’ispirazione insondabile. Provando invece a mettersi dalla parte di chi crea, o ascoltandone le testimonianze, si capisce presto che lo sceneggiatore/scrittore è più simile a un artigiano, il quale crea pazientemente usando i suoi strumenti e la sua esperienza.
Quindi non solo l’artista non è libero dal punto di vista economico, fisico e computazionale (dato che parliamo di videogiochi) ma non lo è e non lo dovrebbe essere nemmeno da quello creativo. Non trovo quindi che ci sia nessuna contrapposizione tra le figure dell’artista e quella del designer, sono artigiani che usano strumenti diversi e hanno limitazioni diverse.
Mi sembrava utile cercare di demistificare l’idea dell’artista che sembra emergere dall’articolo, spero di aver detto qualcosa di sensato.
Vedere come il mio articolo abbia scatenato questo fiume di pensieri mi riempie di gioia :)
Era proprio questo quello che volevo.
L'argomento è molto interessante, sicuramente merita un grande approfondimento.
Forse Da Vinci è un riferimento fuorviante come "artista", paradossalmente molto più vicino ad un designer / ricercatore! Come è stato già osservato, i cosiddetti artisti pre-moderni lavoravano perlopiù su commissione, quindi lontano da questa idea da rockstar del pennello che a volte ci immaginiamo... Era un'attività artigianale e scientifica, con commissioni, vincoli, progetti e una bottega molto simile a uno studio tecnico.
Personalmente i discorsi attorno al concetto di arte o di artista mi mettono sempre a disagio. Hanno sempre un sapore sfuggente e un odore di mercato.
Non mi convince molto il tuo discorso, tuttavia recupererò sicuramente il libro di Munari per approfondire!
Effettivamente avrei dovuto trovare un esempio migliore di Leonardo, però mi sono reso conto della cosa solo dopo aver pubblicato. Magari Basquiat o Bansky sarebbero stati esempi più accurati.
Il libro di Munari, in tutta sincerità, non te lo consiglio. Fa dei discorsi ormai un po' "obsoleti" per i miei gusti, ad esempio dice che "Il bravo designer non ha uno stile." cosa che secondo me non potrebbe essere più lontana dalla verità, Apple e Google hanno trattati di 300 pagine l'uno soltanto per spiegarti lo "stile" che devi adottare quando sviluppi GUI per conto loro, stili ideati dai rispettivi capi designer... Però il libro di Munari è comunque un minimo interessante se sei appassionato del settore, anche solo per sentire opinioni diverse.
Discorso che trovo molto interessante.
Soprattutto sulla parte delle limitazioni: non siamo e non saremo mai del tutto liberi (le leggi della fisica che citavi).
Così anche nei videogiochi e nei libri ci sono dei paletti.
Mi ha ricordato questa intervista al Game Director di Soulstice (https://youtu.be/-X6oBnCfmIs), dove (non ricordo a che minuto) afferma che le idee per il gioco sono arrivate dalle limitazioni che avevano.
Ciò che per me fa un grande artista è riconoscere i limiti (di medium, strumenti, budget, conoscenze) e sfruttarli al meglio.
Ciao, l'articolo tocca questioni a dir poco complesse con sintesi e con un linguaggio accessibile a tutti, ne leggerei volentieri altri su questo tema, nodi da sciogliere ce ne sono tanti. Aggiungo che giungere ad un compromesso in questa riflessione è sicuramente rilevante in vista di sviluppi futuri, nonché sintomatico di un passo avanti rispetto all'idea (vecchia) che l'arte sia il prodotto di un'individualità autonoma, quindi complimenti e continua ad approfondire la questione.
Il passaggio sulla narrativa mi rimane, devo dire, piuttosto oscuro.
Gli schemi oggettivi e scientifici (?) che tu menzioni sono infatti applicabili soltanto ex-post, dai critici (che certo non sono scienziati) e dopo che lo stesso critico ha digerito l'opera soggettivamente. I limiti del formalismo e dello strutturalismo, a tal proposito, penso siano stati ampiamente dimostrati. Un autore è legittimato ad applicare gli schemi di cui parli alle proprie opere, ma può benissimo non farlo (anche se l'opera può, successivamente, essere schematizzata e rientrare nelle categorie sopra menzionate). Costruire una narrazione secondo 'leggi di design' è solo una delle possibilità offerte all'autore, e d'altronde tale possibilità concerne, almeno nel tuo discorso, un aspetto solo della narratività, ovvero quello legato alla trama. Ma se le trame sono riconducibili a schemi, il modo nelle quali vengono raccontate, che io sappia, no.
(Scusami se ti ho frainteso, ma il pezzo si presta - e direi che su questo si fonda la sua forza provocatoria - al fraintendimento)