Guide online, istruzioni per il disuso
Confessioni di come il videogiocatore possa annichilire la propria meraviglia
È un sabato, primo momento di meritato riposo dalla settimana scolastica per lo studente. Avrebbe certo potuto leggere un libro, quello però lo farà più tardi -almeno così si ripete- quando le energie ritorneranno. In fondo una lettura è impegnativa, adesso invece vuole solo rilassarsi. Le ore libere sono contate; dunque dopo aver pranzato e aver diligentemente guadagnato il diritto al gioco aiutando a sparecchiare, accende la console e avvia l’ultima avventura lasciata in sospeso. Un bel single player, l'online non è affatto contemplato come rilassante dallo studente. Tutto procede liscio per i primi minuti, ci si diverte e piano piano le preoccupazioni sembrano scivolare via, l'incombenza dello studio, svanire.
Una trappola però sovrasta l’ignaro adolescente. Il gioco presenta un complesso enigma ambientale per procedere alla prossima area. Fa qualche tentativo alla rinfusa, ma nulla, sembra richieda del ragionamento. Pur controvoglia allora lo studente cambia la posizione della schiena, e da totalmente appoggiata al divano la inclina di trenta gradi verso lo schermo. La risoluzione non appare tuttavia più vicina. Lo studente di conseguenza inizia ad avvertire frustrazione, a percepire il ticchettio incessante dell'orologio. Insomma, lui mica gioca per perdere tempo prezioso! Un pensiero malizioso gli sussurra che sarebbe certo riuscito ad arrivare molto più avanti se non fosse bloccato da dieci minuti nello stesso punto. Innervosito, cede. Mette in pausa, apre il telefono, e cerca online un piccolo suggerimento. Ecco qual era la soluzione! Si dà dello stupido e finalmente riesce a superare la detestata area. D'ora in poi non sprecherà più tempo con gli enigmi, ormai ha capito come funzionano e si ripromette che non cercherà più soluzioni online.
Almeno fino a quando non lo farà.
Per molti anni della mia vita lasciai che un video su youtube o un thread su reddit risolvessero il gioco al mio posto. Ero ancora adolescente, certo, però non era richiesta chissà quale conoscenza di sé stessi per saper percepire in primis la gratificazione decrescere, e subito dopo il rimpianto di non essersi goduto un’esperienza. Tutto questo solo per aver voluto un platino o finire in fretta l’avventura. Non ci volle molto a farlo diventare un vizio, qualcosa che sopportavo e gestivo a malapena, e di cui ero tuttavia cosciente.
Dove aveva avuto inzio? Non volevo darmi una risposta, non volevo soffermarmi sul problema pur di non conferirgli importanza. In questo caso è più funzionale narrarne la conclusione poiché so amaramente rammentarla nei suoi dettagli. Papers, Please, per quanto suonerà strano a chi lo conosce, mi fece l’effetto di Edmond Dantès quando scoprì di essere stato tradito da chi credeva amico e di aver perso ogni possibilità di ritornare alla sua vita normale. Ma non preoccupatevi perché c’è anche la parte in cui rinasco da conte di Montecristo e mi prendo la mia roboante rivincita . Almeno, così vorrei vederla.
Papers, please è un videogioco indie che ha fatto parlare di sé, a ragione. Possiede intuizioni autoriali geniali (merito del suo unico sviluppatore Lucas Pope) e stimola a riflettere sulle scelte che dovremo compiere; inoltre completarlo richiede capacità d’osservazione, meticolosità e memoria. Merita quindi una mezione in quanto ottimo prodotto con intriganti premesse che può senza dubbio meravigliare. Possedeva i requisiti che richiedo da un titolo ed il suo genere era semplicemente perfetto per una persona con i miei gusti. Non c’è da sorprendersi dunque se il gioco in sé non ebbe alcuna colpa, poiché siamo davanti ad uno dei rari casi in cui riesco a biasimare interamente una sola delle parti coinvolte; ovverosia me stesso.
Quando lo iniziai mi ero ripromesso di non richiedere ausilio a guide online. Mi ripetevo che fino ad allora avevo scelto di farlo perché lo avevo deciso, che mi sapevo perfettamente controllare. Frasi tipiche di il controllo l’ha perso da tempo immemore. Due ore di gioco bastarono per infrangere ogni proposito; quando rimasi bloccato in un loop di un finale -palesemente non quello vero- per uno sbaglio commesso in chissà quale punto della trama. Andai su internet, cercai la soluzione e finii per leggere lo svolgimento di ogni singolo possibile epilogo. Ero perfettamente cosapevole delle mie azioni, ma non riuscivo a fermarmi o a non detestarle. Dopo aver realizzato fin dove mi fossi spinto, disinstallai il gioco e mi decisi per una pausa di riflessione. Avevo, nel tempo di leggere qualche riga, perso il mio senso del videogiocare e, intimamente, accusato il colpo.
Ponderai a lungo quanto il mio metodo d'approccio stesse rovinando qualsiasi potenziale esperienza; ed ebbi finalmente la forza di realizzare che di concessione in concessione avevo iniziato questo percorso molto prima di quanto volessi credere: stampando su fogli A4 la guida per The Legend of Zelda:Twilight Princess nel "lontano" 2009. Da lì in poi, mai un gioco del tutto a scatola chiusa o in una gabbia di Faraday1. Platino di Borderlands 2? Collezionabili di Life is strange? Di Uncharted? Bloccato in un’area su Bloodborne? C'era sempre almeno un video di 30 secondi che spiegava come raccogliere l'oggetto, come battere il boss, come accedere alla zona segreta. Oppure, come nel particolare caso di The Binding of Isaac, prima di acquistare il titolo mi ero immerso in decine di ore della serie "Lo Spirito dell'Arcade" dello youtuber Sabaku no Maiku ; conoscendo di fatto praticamente ogni meccanica del videogioco ancora prima di giocarci.
Caso limite precedente alla mia autoaccusa fu The Witness, un titolo e un’esperienza unica nel suo genere, basata interamente sul risolvere enigmi. Gli bastarono poche ore per esasperarmi con la sua notevole difficoltà e terrorizzarmi per le sue atmosfere di silenzio e solitudine. Sin dal principio rimasi così turbato da fare affidamento alle guide per tutto il tempo fino al suo finale solo per poter dire di aver concluso il gioco e mettermelo alle spalle.
Raggiunti i “titoli di coda”2 mi precipitai sull’internet per cercare qualche opinione simile alla mia (ottimo metodo per sentirsi meglio e restare confinati nel proprio recinto) ed incappare nel seguente video, il quale diede in parte linfa alle mie sensazioni negative sul gioco, ma per vie indirette sottolineò la colpa che provavo per non aver minimamente cercato di risolverlo da solo.3
[Disclaimer: il video è full spoiler su ogni particolare del gioco]
Nel momento in cui realizzai quanto malsano il tutto fosse diventato, quanto stessi rendendo piatto il mio videogiocare, ebbi la lucidità di vergognarmene e di voler creare strategie per permettermi di portare avanti quella che comunque ritenevo essere una mia passione fondamentale. Al tempo avevo 16 anni.
La mia prima ed ovvia conclusione fu che la causa era una possibile insita fallacia di chi è cresciuto con l'internet. A differenza di persone più adulte, nella mia vita ho infatti sempre avuto l'opzione di consultare un motore di ricerca qualora non fossi sicuro su un determinato argomento; non farlo e spendere tempo su enciclopedie diventava una mera scelta, per di più sconveniente dal punto di vista pragmatico di chi ritiene di non avere mai abbastanza tempo. Eppure pensavo di aver eretto torrioni e baluardi -in gergo: social disinstallati ed ore di lettura- per proteggermi dall'influenza della rete.
Probabilmente non ero sulla pista giusta, o meglio, non poteva essere solo quello: sarebbe stata un’esagerata semplificazione. Ma il problema tornava ad affliggermi, quale era stato il processo che mi aveva portato a considerare accettabile di fatto un non giocare? Forse la volontà di minimizzare ogni attività, di rilassarsi? A quel punto per quel che valeva la candela forse sarebbe stato meglio mollare tutto e dedicarsi ad altro. Chi ero io per svilire (perché di fatto era quello che facevo) quelle che io stesso consideravo vere e proprie opere autoriali? Nulla mi impediva di giocare in quella maniera, umanamente però ne beneficiavo ben poco.
Come forse intuibile avevo -ed ho- sempre evitato videogiochi multiplayer online. Iniziai a pensare che più per una motivazione reale come il non avere una connessione decente, non essere appassionato dal competere e cooperare o detestare le community; la vera ragione per la quale me ne tenevo lontano era la mancanza di una possibilità di velocizzare o aggirare il sistema come avevo sempre avuto nei giochi in singolo.
Ad ogni modo ero consapevole che la mia esperienza fosse inseribile in un discorso molto più ampio. Avere la possibilità di consultare una guida sottende una scelta tra il farlo e il non farlo, ma appare intuibile come più individui seguiranno la prima strada se quella linea l’hanno già superata una volta.
Con il tempo ho imparato ad aborrire la mania di completismo che spinge a spendere ore su ore davanti ad uno schermo guidati da istruzioni trovate sulla wiki solo per vedere una percentuale raggiungere il suo vertice, o ancora peggio vedere un trofeo blu apparire e comunicarci che il gioco è finito e che non avremmo più motivo per toccarlo. Arrivare alla conclusione di un nostro iter videoludico tenuti per mano, non solo non regala un livello di soddisfazione paragonabile a quello che si otterrebbe se lo stesso risultato fosse raggiunto grazie alle nostre sole forze; potrebbe essere anche un motivo per applicare lo stesso trattamento al gioco successivo, e poi a quello dopo ancora, con sempre più guide che ci spiegano come giocare e un’apatia videoludica crescente. In questo senso manca la scoperta ed il piacere dell’errore, considerato solo come tempo buttato, male ottimizzato.
Un esempio calzante di iniziativa controcorrente a questo sistema dall'interno del mondo videoludico può essere l'implementazione ideata dall'affascinante follia di un autore come Yoko Taro nel suo pluricitato Nier: Automata; dove (solo però dopo aver concluso la trama principale) è possibile acquistare tutti i trofei da un npc, riducendo la durata del gioco di almeno 30 ore tra farming, quest secondarie e pesca nel petrolio4. Le motivazioni autoriali di una simile aggiunta potrebbero essere molteplici, tuttavia appare impossibile non sorridere di fronte alla domanda che spinge a porsi l’avere una simile opzione.
“Vuoi il trofeo? Compralo, non devi fare alcuno sforzo. Ti sei divertito?”
Sebbene ritenga impossibile eliminare una pessima abitudine semplicemente decidendolo, dal momento della realizzazione riuscii ad impormi un periodo di distacco, da osservatore non interagente. Quando volli rimettere mano sul pad stilai e da allora mantenni un patto con me stesso: non avrei più consultato una pagina online per qualunque ragione. La mia strategia per estirpare quelli che ritenevo essere i rovi fu di fatto dar fuoco all’intera campagna piuttosto che zappare una radice alla volta. Di conseguenza non fu indolore.
Ho saputo, imposizione dopo imposizione, riscoprire la bellezza del pazientare e di esplorare ogni anfratto per il puro gusto di farlo, di saper accettare la limitatezza del mio tempo dedicato allo svago e di perseverare anche quando si avverte frustrazione. Per quello che considero un punto tristemente basso della mia carriera da videogiocatore, non riesco ad etichettare come banale crescita o periodo di transizione l’intera riflessione che dovetti e volli attraversare. Ad oggi ho mantenuto saldo il mio principio.
La mia preoccupazione è di non essere un unicum, ma solo uno dei tanti a essersi ritrovato in una situazione vagamente simile. Il mio punto di vista ormai sostiene che quando si sono perse ore davanti ad un enigma senza cavare un ragno, si potrebbe anche considerare l’idea che spegnere la console e riprovarci domani in fondo sarebbe più utile che non cercare online la risposta. Non trovare soluzioni o sbagliare in fondo è umano, mi ripeto. Ma anche voler avere ogni risposta facilmente lo è, no?
Una Gabbia di Faraday conseguentemente alla sua definizione, è un sistema che isola la sua sezione interiore da qualsiasi interferenza elettromagnetica esterna. Pertanto al suo interno un dispositivo non sarebbe in grado di connettersi alla rete nè consultare internet.
Il gioco in questione di fatto non possiede titoli di coda sucessivi al suo completamento, ma solo come file audio all’interno di uno dei segreti più particolari del gioco.
Ho rigiocato di recente a The Witness in periodo durante il quale ho cercato di emendare le mie colpe adolescenziali riprendendo molti titoli completati in suddette modalità; dal momento che non avevo di fatto risolto nulla con le mie forze al tempo, erano praticamente giochi nuovi. Ad oggi la mia opinione sull’opera in questione è diversa; mantengo però salda l’idea che qualcosa di inquietante abbia e trasmetta. Non sarò l’unico a pensarla così, ma dichiararlo apertamente mi fa abbastanza ridere.
Parliamo dello stesso autore il quale nel medesimo gioco ha aggiunto un trofeo della massima rarità (oro) intitolato “alternative mind”, ottenibile “semplicemente” guardando i titoli di coda per intero. Perché sì, a quanto pare quasi nessuno lo fa. Immaginate dover rigiocare quel finale (E) solo per recuperare un trofeo del genere.