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Zavits's avatar

Continuare a ripeterelo stesso gioco è farlo proprio, identificarsi con esso, aver trovato quel pezzo mancante che ci rende completi (finiti, per citare l'articolo). Esplorare i possibili crocevia dell'esperienza diventa alla fine uno "scoprire sè stessi", localizzare e superare i propri limiti, i propri tabù magari, iniziare nuove run alla ricerca della "run perfetta" o proseguire una vita parallela sempre uguale (nello svolgimento) ma sempre diversa con un nuovo approccio, una nuova "filosofia" (sia un NG+200 o una modalità "sopravvisuto")...naturalmente gli RPG sono i videogiochi che meglio ci aprono queste possibilità, senza dover essere senza fondo, una stanca vita parallela.

Complimenti per il fantastico articolo, scritto con una passione e ina competenza tangibili!👍

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Pietro Ferrari's avatar

Qualche cosa non mi torna. Perché leggere un libro due volte vale meno di rigiocare un videogioco dal punto di vista delle possibilità? Posso leggere solo con gli occhi, posso leggere ad alta voce, posso leggere con una matita in bocca, posso leggere con la stessa matita in un altro orifizio, posso leggere la parola "posso" con gli accenti spostati o al contrario, o considerare ogni lettera in modo diverso, od ogni segmento grafico di ogni lettera in modo diverso...

L'end game, i collezionabili, i DLC... quanto sono distanti dalla bibliografia, dall'appendice, dalla postfazione, eccetera?

Considererei piuttosto il fatto grafico, tattile e di conseguenza neurologico che distingue tra loro forme d'arte prodotte sempre e comunque dall'uomo (o da altre opere anch'esse umane, qui si aprirebbe un altro discorso, ma non è ora il momento, credo), cinema e figurative connesse (e l'erotismo? non può essere arte? non è potenzialmente anch'esso teatro, come il linguaggio e la chicchiera che si dotano non solo del verbale?). Parlare di ripetere un gioco così tante volte rispetto a un pezzo di carta non può non coinvolgere delle considerazioni dell'ambito di stimolo e risposta a livello neurologico. Lì credo stia la risposta, e non certo in vaneggiamenti sul completamento di sé: io, ad esempio, non penso che la finitezza sia gran cosa, io desidero sempre più, e se per un breve momento io sarò finito, prima di sentirmi di nuovo manchevole di altro, sarà stato un effetto. altrimenti sarebbe come dire che l'uomo mira a crepare il prima possibile. Come spieghi il desiderio dell'infinito? Ma mi pare che tu stesso confuti questo problema del finito, nel testo. Bisognerebbe a mio avviso parlare invece dele carenze che abbiamo nella vita vera che ci portano a giocare e rigiocare un gioco quando davvero non ha più nulla da dire, quando in realtà non cerchiamo, penso, che gli stessi "sì" che esso ci ha dato prima del suo completamento. Ogni gioco è comunque, come un libro, un puzzle, con combinazioni corrette e volute dagli autori come quelle corrette e non volute dagli autori, come ancora quelle non volute dagli autori e non corrette al completamento previsto del gioco. La vita questa cosa non lo è. O almeno non abbiamo il tempo di svelarne il meccanismo puzzle. Per cui forse c'è un motivo per cui piuttosto che impegnarmi a costruire la mia realtà passo tempo a costruire caserme ad esempio su Age of Empire. E magari questo motivo è che ho paura di uscire fuori dal convenzionato meccanismo del videogioco. O del libro, o del film. Perché poi sembra che ti dimentichi del discorso sull'artista che citi ad inizio articolo. Oltre a rileggere un libro in modo diverso ogni qualvolta che decido di cambiare approccio a regole sue o da esso adottate (grafiche e grammaticali) o mie (voce, tono, eccetera) posso rileggerlo in modo diverso quanti sono i miei stati d'animo diversi nella vita o quante e quali esperienze ho fatto nella vita fino al punto di essa in cui ho letto quel libro. Ma perché capita di spendere tanto sui giochi e rispettivamente poco sui libri (ammesso che sia così, eh)? Forse è più questione di lucine e vibrazioni del controller, per citarne qualcuna.

PS: Occhio a togliere dal discorso i giochi "negativi" o "non espressivi": ogni segno è espressione. Poi sì, ho capito che vuoi dividere LOL da Dark Souls, ma attenzione anche al fatto che questi son già divisi e per motivi strutturali (e con effetti neurologici e psicologici, di cui preciso non ho competenze professionali, ben previsti dagli sviluppatori). E non possiamo fare questa divisione qualitativa se vogliamo analizzare il mezzo in quanto mezzo. Se alcuni giochi mirano alla ripetizione dannosa (da definire e decidere per chi, ma immagino, poi mi dirai, ci s'intenderà verso "spillapalanche senza fine e cerebrolesiva delle capacità analitiche e critche eccetera"), significa che il mezzo stesso lo permette; e in che modo, chiediamoci, in che modo fisico e strutturale, soprattutto? Se continuiamo ad operare certe divisioni perdiamo sicuraente il punto centrale ed effettivo della questione. Ragazzi, qui mi rivolgo un po' a tutti, me compreso, ché percepisco ci stiamo un po' galvanizzando tutti nel motivare il nostro videgiocare, non dimentichiamoci che non c'è nulla di trascendentale nello scrivere un libro o un videogioco, tant'è vero che potrei usare appunto come ho fatto lo stesso verbo per entrambe le arti, in quanto entrambe hanno un linguaggio, entrambe sono umane. E Miyazaki non è un dio, né quello che ci ha capito incredibilmente inarrivabilmente teologicamente più di tutti. Cito lui perché un discreto numero di utenti di questo sito e dei canali di Wesa, me compreso, lo stima abbastanza; non che vi e ci stia accusando di fanboyismo, ma è bene ripetercelo. Perché a volte dimentichiamo che tanto nostro entusiasmo viene anche dal fatto che questo medium è ancora "nuovo" e potenzialmente lo è sempre (come gli altri, in fin dei conti, poi), per questioni di grafica e di periferiche di controllo o monitor o visori; viene forse anche dal fatto che il medium sta avendo una rivalsa sulla definizione di giochini che sempre gli è stata appioppata (e poi che forme avrà questa rivalsa lo decideremo noi: se nella forma di industria fonte di guadagno, come dice la ministra alle politiche giovanili invitata da Everyeye, patetici Mottura e ministra a considerare i giochi prevalentemente come fonte di guadagno e posti di lavoro; o se nella forma di mezzo di espressione valevole e riconoscibile come tale, ma sempre potenzialmente, tenendo a mente che è un mezzo). E appunto cerchiamo di ricordare che questo mezzo ha effetto su di noi anche in quanto animali rispondenti in certo modo a certi stimoli. Vediamo quali sono e quanti sono questi stimoli, i loro effetti, e poi ne riparliamo, così come degli scompensi a cui questi sopperiscono, o agli errori di valutazione che facciamo nei confronti di un equilibrio tra loro, la vita e il tempo (errori che facciamo perché forse ci dimentichiamo che essi sono mezzi d'intrattenimento quanto cinema libri o teatro, anche se diversamente, direi più, seducenti). Altrimenti un Hikikomori che gioca a Dark Souls piuttosto che a LOL è un esteta.

E io in certe sere a rigiocare Bloodborne e Assassin's Creed mi sono dimenticato di amare. Per questo mi sento vicino all'autore di Realtà indolori uscito su questo sito. Testo a cui mi sembra doveroso rimandare.

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