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Zavits's avatar

Continuare a ripeterelo stesso gioco è farlo proprio, identificarsi con esso, aver trovato quel pezzo mancante che ci rende completi (finiti, per citare l'articolo). Esplorare i possibili crocevia dell'esperienza diventa alla fine uno "scoprire sè stessi", localizzare e superare i propri limiti, i propri tabù magari, iniziare nuove run alla ricerca della "run perfetta" o proseguire una vita parallela sempre uguale (nello svolgimento) ma sempre diversa con un nuovo approccio, una nuova "filosofia" (sia un NG+200 o una modalità "sopravvisuto")...naturalmente gli RPG sono i videogiochi che meglio ci aprono queste possibilità, senza dover essere senza fondo, una stanca vita parallela.

Complimenti per il fantastico articolo, scritto con una passione e ina competenza tangibili!👍

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Andrea Tornese's avatar

Ti ringrazio! Condivido tutto quello che dici, e sono sicuro che più il videogioco si sta rendendo conto di questa sua caratteristica più sfornerà grandi opere. Giocare a un videogioco per la seconda, terza o decima volta non è come guardare di nuovo un film o rileggere un libro, perché in quel caso il materiale contenuto nell'esperienza è sempre lo stesso, mentre nel videogioco abbiamo la possibilità di piegare il materiale al nostro modo di giocare. Sono sicuro che in futuro vedremo sempre più titoli che approfondiranno questa caratteristica: siamo solo all'inizio!

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Pietro Ferrari's avatar

Qualche cosa non mi torna. Perché leggere un libro due volte vale meno di rigiocare un videogioco dal punto di vista delle possibilità? Posso leggere solo con gli occhi, posso leggere ad alta voce, posso leggere con una matita in bocca, posso leggere con la stessa matita in un altro orifizio, posso leggere la parola "posso" con gli accenti spostati o al contrario, o considerare ogni lettera in modo diverso, od ogni segmento grafico di ogni lettera in modo diverso...

L'end game, i collezionabili, i DLC... quanto sono distanti dalla bibliografia, dall'appendice, dalla postfazione, eccetera?

Considererei piuttosto il fatto grafico, tattile e di conseguenza neurologico che distingue tra loro forme d'arte prodotte sempre e comunque dall'uomo (o da altre opere anch'esse umane, qui si aprirebbe un altro discorso, ma non è ora il momento, credo), cinema e figurative connesse (e l'erotismo? non può essere arte? non è potenzialmente anch'esso teatro, come il linguaggio e la chicchiera che si dotano non solo del verbale?). Parlare di ripetere un gioco così tante volte rispetto a un pezzo di carta non può non coinvolgere delle considerazioni dell'ambito di stimolo e risposta a livello neurologico. Lì credo stia la risposta, e non certo in vaneggiamenti sul completamento di sé: io, ad esempio, non penso che la finitezza sia gran cosa, io desidero sempre più, e se per un breve momento io sarò finito, prima di sentirmi di nuovo manchevole di altro, sarà stato un effetto. altrimenti sarebbe come dire che l'uomo mira a crepare il prima possibile. Come spieghi il desiderio dell'infinito? Ma mi pare che tu stesso confuti questo problema del finito, nel testo. Bisognerebbe a mio avviso parlare invece dele carenze che abbiamo nella vita vera che ci portano a giocare e rigiocare un gioco quando davvero non ha più nulla da dire, quando in realtà non cerchiamo, penso, che gli stessi "sì" che esso ci ha dato prima del suo completamento. Ogni gioco è comunque, come un libro, un puzzle, con combinazioni corrette e volute dagli autori come quelle corrette e non volute dagli autori, come ancora quelle non volute dagli autori e non corrette al completamento previsto del gioco. La vita questa cosa non lo è. O almeno non abbiamo il tempo di svelarne il meccanismo puzzle. Per cui forse c'è un motivo per cui piuttosto che impegnarmi a costruire la mia realtà passo tempo a costruire caserme ad esempio su Age of Empire. E magari questo motivo è che ho paura di uscire fuori dal convenzionato meccanismo del videogioco. O del libro, o del film. Perché poi sembra che ti dimentichi del discorso sull'artista che citi ad inizio articolo. Oltre a rileggere un libro in modo diverso ogni qualvolta che decido di cambiare approccio a regole sue o da esso adottate (grafiche e grammaticali) o mie (voce, tono, eccetera) posso rileggerlo in modo diverso quanti sono i miei stati d'animo diversi nella vita o quante e quali esperienze ho fatto nella vita fino al punto di essa in cui ho letto quel libro. Ma perché capita di spendere tanto sui giochi e rispettivamente poco sui libri (ammesso che sia così, eh)? Forse è più questione di lucine e vibrazioni del controller, per citarne qualcuna.

PS: Occhio a togliere dal discorso i giochi "negativi" o "non espressivi": ogni segno è espressione. Poi sì, ho capito che vuoi dividere LOL da Dark Souls, ma attenzione anche al fatto che questi son già divisi e per motivi strutturali (e con effetti neurologici e psicologici, di cui preciso non ho competenze professionali, ben previsti dagli sviluppatori). E non possiamo fare questa divisione qualitativa se vogliamo analizzare il mezzo in quanto mezzo. Se alcuni giochi mirano alla ripetizione dannosa (da definire e decidere per chi, ma immagino, poi mi dirai, ci s'intenderà verso "spillapalanche senza fine e cerebrolesiva delle capacità analitiche e critche eccetera"), significa che il mezzo stesso lo permette; e in che modo, chiediamoci, in che modo fisico e strutturale, soprattutto? Se continuiamo ad operare certe divisioni perdiamo sicuraente il punto centrale ed effettivo della questione. Ragazzi, qui mi rivolgo un po' a tutti, me compreso, ché percepisco ci stiamo un po' galvanizzando tutti nel motivare il nostro videgiocare, non dimentichiamoci che non c'è nulla di trascendentale nello scrivere un libro o un videogioco, tant'è vero che potrei usare appunto come ho fatto lo stesso verbo per entrambe le arti, in quanto entrambe hanno un linguaggio, entrambe sono umane. E Miyazaki non è un dio, né quello che ci ha capito incredibilmente inarrivabilmente teologicamente più di tutti. Cito lui perché un discreto numero di utenti di questo sito e dei canali di Wesa, me compreso, lo stima abbastanza; non che vi e ci stia accusando di fanboyismo, ma è bene ripetercelo. Perché a volte dimentichiamo che tanto nostro entusiasmo viene anche dal fatto che questo medium è ancora "nuovo" e potenzialmente lo è sempre (come gli altri, in fin dei conti, poi), per questioni di grafica e di periferiche di controllo o monitor o visori; viene forse anche dal fatto che il medium sta avendo una rivalsa sulla definizione di giochini che sempre gli è stata appioppata (e poi che forme avrà questa rivalsa lo decideremo noi: se nella forma di industria fonte di guadagno, come dice la ministra alle politiche giovanili invitata da Everyeye, patetici Mottura e ministra a considerare i giochi prevalentemente come fonte di guadagno e posti di lavoro; o se nella forma di mezzo di espressione valevole e riconoscibile come tale, ma sempre potenzialmente, tenendo a mente che è un mezzo). E appunto cerchiamo di ricordare che questo mezzo ha effetto su di noi anche in quanto animali rispondenti in certo modo a certi stimoli. Vediamo quali sono e quanti sono questi stimoli, i loro effetti, e poi ne riparliamo, così come degli scompensi a cui questi sopperiscono, o agli errori di valutazione che facciamo nei confronti di un equilibrio tra loro, la vita e il tempo (errori che facciamo perché forse ci dimentichiamo che essi sono mezzi d'intrattenimento quanto cinema libri o teatro, anche se diversamente, direi più, seducenti). Altrimenti un Hikikomori che gioca a Dark Souls piuttosto che a LOL è un esteta.

E io in certe sere a rigiocare Bloodborne e Assassin's Creed mi sono dimenticato di amare. Per questo mi sento vicino all'autore di Realtà indolori uscito su questo sito. Testo a cui mi sembra doveroso rimandare.

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Andrea Tornese's avatar

Ciao! Ti ringrazio molto per questo commento, hai sollevato un sacco di punti interessanti, provo a risponderti un po'.

Nell'articolo non scrivo che dal punto di vista delle possibilità leggere un libro o vedere un film più volte valga meno che rigiocare a un videogioco - hai ragione e sono d'accordo con te a dire che anche un semplice libro può offrire infinite possibilità di fruizione, e alla fin fine la citazione che ho messo dal film di Tornatore vuole esprimere proprio quel concetto; quello che scrivo è che come mezzo il videogioco sta sempre di più imparando che è nelle sue caratteristiche quasi esclusive utilizzare questa cosa per ampliare il suo spettro di possibilità: anche solo a livello narrativo, molti giochi ormai hanno finali multipli e vale la pena rigiocarli per capire di più della storia, altri ad esempio prevedono run con personaggi diversi in modo da avere punti di vista e approcci mutevoli, altri ancora, come molti gdr, meritano di essere rigiocati con un personaggio dalle caratteristiche diverse o in modo da darci più opzioni, tutte rimesse al giocatore, su come esplorare la mappa ogni volta in modo diverso.

Per quanto riguarda l'aspetto neurologico che si potrebbe considerare dei videogiochi e dove, scrivi, starebbe la risposta. Credo che sia un argomento molto interessante, e nonostante abbia letto solo pochi testi che parlano di determinismo biologico e quindi non lo conosca in modo approfondito, il punto è che semplicemente questo non è l'approccio che ha l'articolo: questo testo non ha pretese scientifiche (non posseggo minimamente quelle competenze) né mira (come preciso alla fine) a dare delle risposte certe al perché rigiochiamo molto agli stessi videogiochi, ma è un testo che cerca di capire perché, emotivamente e a livello personale, siamo così spinti a farlo, cercando di analizzare una prospettiva più introspettiva. I vaneggiamenti di cui faccio riferimento sono la base delle domande fondamentali che ci poniamo dall'alba dei tempi su chi siamo e come o perché ci comportiamo in un certo modo, e anche se condivido il fatto che la risposta ad alcuni dei quesiti presenti nell'articolo al giorno d'oggi abbiano una base scientifica, non è questo il focus del pezzo.

Per quanto riguarda il discorso sulla finitezza, quando scrivi "io desidero sempre di più", è proprio quello di cui parla il mito di Aristofane del Simposio: non si mira a dire che dobbiamo finire, essere terminati perché ciò porterebbe, come dici, a desiderare di morire il prima possibile. Il discorso è che questa tensione che abbiamo a desiderare qualcosa sempre di più è proprio ciò che ci spinge ad avere sempre qualcosa da ricercare, ed è per questo che ho messo l'accento nel descrivere questa pulsione come erotica, vale a dire come qualcosa che non si risolve mai perché mira sempre a un completamento. Nell'articolo non voglio mai dare delle risposte, ma offrire degli spunti e sollevare dei problemi.

Quando scrivi che bisognerebbe parlare delle carenze che abbiamo nella vita vera che ci portano a giocare e rigiocare un gioco quando davvero non ha più nulla da dire, anche qui, io condivido quello che dici, ma all'inizio ho fatto la premessa che non ho voluto prendere in considerazione questo tipo di approccio, ma come e perché il videogioco come mezzo stia elaborando in modo sano una feature che è sempre più sua, quella della ripetizione. Non ho alcuna pretesa sociologica né scientifica nel pezzo che ho scritto, ma mi piacerebbe molto discuterne visto che lo trovo un argomento molto interessante e che sembra interessarti così tanto (a tal proposito, semmai scriverai qualcosa in proposito lo leggerò molto volentieri!).

Credo poi che escludere una determinata categoria di videogiochi non comporti alcun problema nell'analizzare il mezzo come tale: sarebbe come dire che solo perché sto analizzando come e perché un film horror funziona, questo non mi permette di capire il mezzo cinema come tale. Capisco cosa vuoi dire, ma onestamente non credo sia così.

Per quanto riguarda quello che scrivi nel post scriptum, io condivido moltissime delle cose che dici, ma a me sembra che questo sia il posto sbagliato per parlare di molte delle cose di cui accenni. Ad esempio, le critiche che mi fai sull'analisi del mezzo come tale le trovo molto interessanti e pertinenti (e mi piacerebbe discuterne ancora), ma se posso dirti la verità mi pare un po' che questo tuo lunghissimo commento sia una sorta di valvola di sfogo per dire tutto quello che pensi di Silicon Arcadia, e in tutta onestà non capisco perché questo articolo, che ha un focus e uno scopo ben preciso (del tutto criticabile e anzi, molte delle tue osservazioni sono per me interessantissime e mi fanno pensare molto) debba beccarsi delle considerazioni così generali sullo scopo di questo sito e su quello che scrivono tutti gli autori, che io non rappresento (per esempio, citi Miyazaki, Dark Souls e il fanboysmo, ma non c'azzecca niente con questo articolo e anche se li ho citati, non ho scritto neppure un articolo su di Miyazaki & Co.).

Detto questo, ti ringrazio ancora per il tempo che hai dedicato a scrivermi questo commento e a tutti gli spunti che mi hai dato, credo che meritino di essere approfonditi molto perché dalle difficoltà a rispondere a certe domande dipende proprio la comprensione di un mezzo che come dici è così giovane e che ha ancora tanto da inventare. Buona giornata - e già che siamo in periodo buone feste!

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Pietro Ferrari's avatar

Ti ringrazio altrettanto per la risposta puntuale e ti ricambio gli auguri.

Vedo di risponderti per paragrafi, come se nel caso fossimo stati vis à vis ti avrei risposto negli spazi che hai lasciato.

Per quanto riguarda il primo, capisco quel che dici, ma penso, e forse non si è evinto da quanto scritto stamattina, che quel diverso modo di rigiocare una determinata mappa sia anche esso pari a quello che si può fare con un testo scritto e il suo essere insieme di tratti. Oltre a questo però capisco anche che la rigiocabilità dei videogiochi funziona appunto a livello narrativo, come dici tu, perché il rimescolare dei segni grafici (faccio il parlallelo con la lettura) non pregiudica necessariamente la comprensibilità e l'espressività (anche un grido sciagurato è espressivo, ma facciamoci a capire ahaha) del videogioco quanto la lettura casuale di un testo, giusto. Effettivamente mi sono comportato un po' come quella bestia di Zenone d'Elea.

Sull'intento dell'articolo, sì, non posso permetermi di dirti qualcosa (insomma, l'hai scritto tu, è tuo), e ammetto che forse ho un po' preso troppo spazio sotto il tuo testo (pardòn). Ma appunto mi premeva proporre un approccio diverso da questo che hai proposto; approccio, il tuo, che tuttavia non scredito affatto: solleva domande fondamentali, che però proporrei di superare.

Lo "sfogo", come dici tu, alla fine del mio commento, sì, a rivederlo penso che sia abbastanza uno sfogo, hai ragione. Però una cosa vorrei chiarire: io non mi sono rivolto affatto a questo Substack, non ai suoi articoli direttamente; giusto l'aver citato Miyazaki piuttosto che Druckman riguarda Silicon e affini. Ma appunto avrei potuto dire Druckmann. E lungi da me pensare che qui ci sia del fanboyismo: non sono di quelli che rompono le scatole per la quantità di articoli su Dark Souls. Però l'appunto sul finale, che non voleva essere un rant, mi spiace che sia passato per "sfogo", nasce dall'aver letto questa tua divisione tra "tipi" (diciamo così) di videogiochi, che non è fanboysmo, ripeto il "lungi da me", ma mi è sembrata comunque una piccola inclinazione che mi ha allarmato, forse anche in modo un po' esagerato. A gravare su questo è stato leggere il commento che ha fatto Zavits qui prima di me, che parla anche di "scoprire sé stessi", e se alla base di certe ripetitività ci sono stimoli neurologici fatti a tavolino, direi che lo "scoprire se stessi" ha un'accezione meno romantica di quellla che mi è parso gli abbia dato Zavits. Sulla divisione mi viene da riargomentare che non è detto che un gioco di consumo "negativo", cioè fatto apposta con migliaia di varianti, mi porti a rigiocare più che uno "positivo". AC Valhalla, per esempio l'ho abbandonato incompleto (forse ad un terzo) dopo sessanta ore. E non penso che per quelle sessanta ore mi abbia guidato la volontà di completare il gioco: se fosse stato sviluppato male, se il gameplay non mi avesse stimolato a procedere nonostante la trama orrenda, non lo avrei giocato per più di due ore.

Mi citi il film horror, a spiegare la tua presa in considerazione di un solo tipo di giochi. Io sono d'accordo; quello che intendevo è che analizzare anche LOL sarebbe invece come analizzare quei meccanismi di stimolo di cui ti dicevo prima, comuni a tutti i videogiochi, nella loro forma più esplicita. Un po' come prendere il videogioco, sezionarlo, e andare a cercare il cuore del suo ripetersi, piuttosto che le zone che ne risentono perifericamente. Forse sto di nuovo proponendo un altro approccio diverso da quello che hai proposto nel tuo testo, e allora la domanda sarebbe, come poi suggerisci anche tu: beh, perché non scrivi un articolo? Perché non ne ho le competenze, per potere fare un analisi neuropsicologica del medium e dei suoi effetti. Però mi prenderò la briga di appprofondire, e magari ne riparliamo! L'unica cosa che posso fare è tentare di riaprire la discussione, anche sull'approccio. Se facessi un articolo poi lo chiuderei con "e voi che ne pensate?" e non so quanto sarebbe carino ahaha.

Per chiarirci, un'altra cosa: sì ho letto che poi citi anche il simposio e consideri anche quell'aspetto del desiderio. Infatti poi ho scritto "ma mi pare che tu stesso confuti questo problema del finito, nel testo". Mi ha spiazzato un po' la parte precendente, in cui viravi più verso l'attrazione per il completamento come fine più che come effetto secondario.

Grazie di nuovo, della risposta e dell'articolo, e speriamo di riprendere presto questa discussione!

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Andrea Tornese's avatar

Grazie a te ancora! Spero anch'io di riprenderla e approfondirla!

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