Nelle parti precedenti abbiamo affrontato l’aspetto metodologico dell’analisi e visto alcuni esempi di applicazione di un metodo semiotico allo studio di un videogioco.
Per recuperarle, clicca qui sotto:
Conclusioni
Applicare un modello semiotico allo studio di un videogioco si è rivelato - un'attività interessante per una serie di motivi. Primo fra tutti è il tentativo di allontanare il dibattito accademico sui videogames dalle illogiche pretese di scientificità ed esattezza oggettiva, che ancora caratterizzano la cosiddetta stampa specializzata, in favore di un atteggiamento volto più all'indagine empirica che alla creazione di presuntuose valutazioni numeriche e meri resoconti quantitativi dalle traballanti fondamenta metodologiche e terminologiche.
A prescindere dall'uso della semiotica, uno studio che allontana il discorso pubblico da presupposti simili non può che rappresentare un passo avanti verso una comprensione più pragmatica del testo videoludico, che possa rendersi utile sia in fase di sviluppo che in fase di critica. Tuttavia il presente lavoro ambisce anche a mostrare come la semiotica rappresenti un toolkit di strumenti indispensabili per discutere e comprendere i videogiochi. Infatti si è voluto mettere alla prova un metodo che avesse come conditio sine qua non la convivenza di strumenti analitici provenienti da panorami teorici differenti, qualità che si è rivelata determinante per inquadrare fenomeni segnici complessi (come in 3.4 e 3.4). Nel corso del terzo capitolo è emerso come il principale punto di forza del modello consistesse nel riuscire a inquadrare in maniera stabile un concetto difficilmente definibile come quello di interazione/interattività. Come hanno già sostenuto in molti, sarebbe auspicabile, per una buona e produttiva analisi del corpus videoludico, trattare gli elementi interattivi al pari di quelli verbali, spaziali e audio-visivi, se non persino osservarli - considerata la loro rilevanza e specificità all'interno del medium - con un occhio di particolare riguardo. Per questo motivo si è ritenuto necessario pertinentizzare gli elementi interattivi del testo ponendoli sullo stesso piano di tutti gli altri, operazione che è stata possibile grazie allo scrupoloso riadattamento della semiotica interpretativa dei mondi possibili. La suddivisione delle qualità che caratterizzano gli oggetti nel mondo di gioco, in proprietà audio-visive e interattive ordinate e distinguibili tramite prova di commutazione, ha consentito di osservare e mettere in relazione fenomeni apparentemente troppo eterogenei per essere presi in esame sotto la stessa lente. Le produzioni di senso che abbiamo identificato considerando i rapporti esistenti tra le varie proprietà, sono messe in atto tramite insiemi di indicatori tematici chiave situati su differenti livelli del percorso generativo greimasiano e per di più espressi mediante un duplice regime comunicativo (verbale e non-verbale).
Ne possiamo concludere che la teoria dei mondi possibili videoludici ha dimostrato un'eccellente portata descrittiva in termini di quantità ed eterogeneità dei fenomeni segnici osservabili; si è inoltre rivelata un ottimo strumento per discernere e comprendere le forme semiosiche specifiche dei testi videoludici. In questa prospettiva la categorizzazione dei videogiochi, arbitrata ad oggi quasi esclusivamente dalle maldestre testate di settore, potrebbe basarsi su un criterio che, seppur arbitrario, sarebbe quantomeno confutabile con gli stessi strumenti che l’hanno prodotto.
I limiti dell’analisi
Doveroso accennare ai limiti del modello d'analisi proposto, che si possono intravedere in almeno tre aree. Rimane tuttavia importante sottolineare la flessibilità del modello d’analisi che, per quanto possa essere ritenuto imperfetto sotto certi aspetti, offre la possibilità di essere rifinito e, occasionalmente, modificato per meglio adattarsi alle esigenze dei singoli casi di applicazione.
La prima critica che si potrebbe muovere al modello maiettiano sta nella
difficoltà che si riscontra nel tentativo di inquadrare la totalità di un prodotto
videoludico. Pur vero che, per le ragioni già discusse in precedenza, tale attività non è ritenuta da chi scrive di particolare rilevanza in un contesto di studio del medium.
I confini tra testo e paratesto, la cui separazione è uno dei presupposti della teoria di Maietti, viene continuamente messo in discussione dalla progressione tecnologica del medium, ma anche da innovative tecniche di storytelling. Ad esempio alcuni recenti titoli coinvolgono il lettore in una di ricerca di indizi che si svolge a cavallo tra il mondo narrativo del gioco e quello reale. Titoli come Inscryption o Doki Doki Literature Club sfidano gli appassionati a cimentarsi in ricerche nei loro computer, dentro le cartelle dei file di gioco, arrivando a nascondere messaggi cifrati che richiedono l'uso di software terzi per essere scovati. Insomma non possiamo dire con certezza che sarebbe altrettanto appropriato, in casi tanto peculiari, escludere il ricco corpo paratestuale quando sono gli autori a collocarvi la narrazione. Potrebbe rendersi necessaria una riconsiderazione ulteriore della teoria dei mondi possibili videoludici, o di alcune sue parti, in modo da poter sondare anche le scelte autoriali più eccentriche.
In ultimo la trasposizione di fenomeni talvolta molto sfaccettati in semplici proprietà rischia di restituirne un'immagine impoverita. Questo avviene soprattutto quando si usano le proprietà per descrivere un gioco considerando i suoi massimi sistemi, nel tentativo di darne una visione quanto più completa e "dall'alto" possibile. Tuttavia il metodo di Maietti consente, se lo si vuole, di modulare il livello di pertinenza delle proprietà prese in considerazione, concentrandosi su quelle più rilevanti ai fini di una particolare analisi. Considerando anche solo le proprietà del comparto sonoro e musicale sarebbe comunque facile individuare la loro collocazione all'interno delle categorie formulate da Maietti, offrendo la stessa possibilità di osservare relazioni, differenze e sincrasie isotopiche. Ancora una volta ribadiamo che il presente elaborato non si prefissa di stabilire un metodo unico e universale per trattare la ricerca accademica sui videogiochi. Piuttosto si vuole porre l'accento sulla necessità che il metodo d'analisi scelto sia flessibile a fronte di un oggetto di studio in continua evoluzione.
Verso un uso operativo della teoria semiotica
In ultima analisi, la fluidità del modello unita alla sua capacità di raggruppare sotto lo stesso ombrello terminologico concetti altrimenti distanti, lo rendono uno strumento che ritengo potrebbe ricoprire un ruolo primario nella progettazione di un prodotto ludico. Figure professionali come quelle del game designer e del game director – ma non solo – trarrebbero certamente beneficio dall’uso di strumenti teorici più ordinati e confutabili, grazie ai quali sia possibile avere maggiore controllo sulle forme tramite le quali si articola il senso di un’opera ludica, fin dalle fasi iniziali della sua ideazione.
La semiotica dei mondi possibili nutre una seconda, legittima ambizione: rafforzata dall’attività accademica, può proporsi come pratica professionale che aiuti i game designer nell’individuare e valutare con maggior chiarezza le forme semiosiche del videogioco in produzione e, eventualmente, correggerle. Questo ritorno alle origini, e cioè ai luoghi in cui i videogiochi vengono creati, non solo rappresenterebbe la chiusura del cerchio analitico […] ma anche un’opportunità per la semiotica di emendarsi dal rassicurante vincolo rappresentato dalle analisi ex-post, abbandonando la talvolta sterile autoreferenzialità accademica per mettersi, è il caso di dirlo, in gioco. - Massimo Maietti