Zero spoiler più avanti sia nel testo che nelle immagini (provengono tutte dai primissimi minuti di gioco dei rispettivi giochi), va’ tranquillo frate’.
Sono arrivato al punto d’interesse. Gli avversari sono qualche livello in più. Giro i tacchi e me ne vado. Non mi metto a fare dungeon o missioni di livello più alto di quello del mio personaggio. Le cose van fatte in ordine per essere fatte bene, e questo gioco lo voglio completare bene. Quindi, a questo scopo, per gestire il contenuto al meglio, mi sono organizzato con una strategia arbitraria:
prima le quest per i drop, quelle anche se il livello suggerito è più alto del mio, perché posso prendere il drop per poi fuggire e tornare un’altra volta; tutto il resto in ordine di livello, priorità ai contratti, poi missioni secondarie generiche, poi la trama principale, anche se si tratta di rimbalzare per la mappa. Se una missione è di livello troppo alto, si va ai punti d’interesse, si expa e si ottengono i drop rari. Quando ho finito con una zona ovviamente faccio tutti i punti di interesse, anche quelli di livello troppo alto, non importa. Al massimo sto mezz’ora a colpire lo stesso nemico, e/o uso qualche trucchetto del mestiere per sfruttare la loro misera intelligenza artificiale da personaggio non giocante; in ogni caso, le cose vanno completate in ordine.
Gli equipaggiamenti li forgio subito, anche se non posso utilizzarli ancora. Il denaro non è un problema. Raccolgo tutto, ovunque: L2 per vedere tutti i contenitori lootabili, X per aprirli e triangolo per prendere tutto il loot. Quando conta come furto mi impegno a raggirare l’IA, a buggarla, a rompere per bene il codice. Se il peso diventa troppo inizio a buttare la roba, partendo da ciò che vale di meno, finché non sono arrivato precisamente al quantitativo maggiore che posso permettermi di trasportare; quando lo supero ripeto finché non mi decido di andare dal mercante a vendere il vendibile.
Okay, sono arrivato al luogo dove indagare, corro da traccia a traccia. Uff, sono andato così veloce che sono proprio sopra a dove esaminare, quindi il prompt non appare e devo aggiustare la posizione del mio personaggio. Fatto, indagato in fretta e furia. L’area della quest si è spostata lontano, chiamo il cavallo. La minimappa mi suggerisce un percorso specifico, ma posso accorciare se devio dal sentiero.
Galoppa cavallo, galoppa più veloce che puoi, qui non c’è tempo da perdere, devo ottimizzare! Sono un GAMER! Che fai, ti incastri sui cespugli e sbatti sugli alberi?! Che fastidio!
Posso attraversare la montagna, ne son sicuro, quindi mi incastro per bene col cavallo, premo ripetutamente il tasto finché il cavallo non salta, quindi ancora mi incastro e così ripeto finché non sono in cima (nel caso non funzionasse, proverei a piedi). Ora è il turno di lanciarsi. Il cavallo non si getta sulle grandi altezze, ma se mi posiziono per bene non capirà di star saltando verso il vuoto. Non c’è pericolo, non ci sono danni da caduta col cavallo, quindi mi faccio tutta la discesa in un baleno. Che stupida l’animazione di caduta da grandi altezze che gli sviluppatori non hanno preveduto che accadesse, tutta storta!
Sono di nuovo a terra. Onestamente facevo prima ad aggirare la montagna, piuttosto che passarci in mezzo. Significa che la prossima volta mi arrampicherò meglio, romperò il gioco ancora di più.
Ora devo affrontare il mostro. Gli vado addosso, senza paura, senza preparazione, basterà premere il tasto d’attacco finché non muore, non c’ho voglia di ragionarci su. Aspetta però, non ho ricaricato le pozioni, quelle mi servono. Mi allontano finché l’aggro non mi abbandona, quindi medito per un’ora e torno con le pozioni. Ora posso riempirlo di sberle. Non mi serve fare molto, colpisco, schivo, e uso la magia che mi protegge passivamente al cento per cento dai colpi (la uso sempre e comunque, non voglio rischiare di danneggiarmi e dover sprecare le cure, che intendo conservare fino alla fine dei miei giorni), anche se ormai il ritmo della lotta ce l’ho a memoria.
Ho finito. L’ho ammazzato e ora devo andare a riscattare la ricompensa. Però è cresciuta la barba. Prima vado a farla che il personaggio è più figo senza. Mi basta andare da tutt’altra parte, superare il fiume a nuoto (non ho ancora sbloccato il percorso di terra) e raggiungere il barbiere.
Sì, questo ero io un lustro fa, giocando a The Witcher 3: Wild Hunt. Sembra un gioco davvero brutto, n’è vero? Se l’avete pensato ci credo, per come ci giocavo lo era. Eppure è premiato gioco dell’anno 2015 dai The Game Awards. Ironicamente, spesso mi sono ritrovato a dire cose del tipo “sono d’accordo con tutte le GOTY (Game of the Year), tranne quella del 2015. Secondo me spettava a Bloodborne, più che a The Witcher 3”. Sebbene non abbia cambiato del tutto idea, la mia convinzione è recentemente vacillata.
Or dunque, ho comprato The Witcher 3 una seconda volta, per PC, circa cinque anni più tardi dalla prima, in cui lo comprai per Playstation 4. Non ero riuscito a finire la seconda espansione, cosa che mi è rimasta in testa come tormento di un peccatore; innanzitutto poiché lasciai il gioco incompleto praticamente a un passo dalla fine; secondariamente perché sapevo, dalle dicerie, che quella espansione riservava delle belle sorprese, e non volevo perdermele. Ciò che mi aveva fatto passare la voglia erano perlopiù le prestazioni insufficienti della console, quindi su PC non avrei avuto problemi.
Ecco quindi che son qui, a rigiocare quel gioco che mi è sì piaciuto tantissimo a livello personale, ma che non trovavo assolutamente più degno di Bloodborne nel ricevere il premio più prestigioso del medium. In questi anni mi sono successe tante cose, sono cambiato un sacco sfruttando gli alti e superando i bassi; pure il mio ambiente è cambiato a dismisura: appena compiuta la maggiore età mi sono allontanato dal nido, trasferendomi in Gran Bretagna, dove ho iniziato a lavorare; insomma, sono un ometto grande. Tutto ciò ha ovviamente cambiato non poco il mio approccio col videogioco e con l’arte in generale, come se, maturando come individuo, fosse maturato anche il mio modo di entrarci in contatto.
Prendo un bel respiro e salgo a cavallo. Mi allontano dalla locanda, piano, al passo. Non si galoppa e neanche si trotta in mezzo a un villaggio, non voglio investire nessuno e nemmeno sbattere sulle staccionate. Non c’è fretta di finirlo subito, anzi, se il gioco mi dura è anche meglio. Non ho l’ansia di esperire il più possibile nel minor tempo possibile, perché la qualità di quel che esperisco è ben più importante; inoltre, andare piano mi calma e mi aiuta a concentrarmi.
Il sole sta calando verso l’ovest e tra poco tutto si tingerà del vermiglio d’una notte incombente. Progredisco lentamente, ascolto il vento ululare e i rumori della gente: le filastrocche dei bambini, il singhiozzo di una fanciulla, un villico col catarro e uno che mi dà perfino del mostro.
Per strada incrocio una bacheca degli annunci. Il denaro dei contratti mi serve, ogni monetina che guadagno è utile per comprare ingredienti quando m’imbatto nei mercanti giusti per strada, nonché per migliorare il mio equipaggiamento. Un buon cacciatore si prepara come può prima di una caccia: la sensazione di aver compiuto un lavoro pulito, usando le risorse che servono, è insostituibile, e facendo gli strumenti giusti posso anche fare le missioni di livello molto più alto, quando mi capitano. In questo viaggio affronterò sfide assurde, specialmente dato il fatto che gioco perennemente a difficoltà massima, ma non avrò paura di nulla se sfrutto tutto ciò che ho a disposizione.
Devo trovare un uomo scomparso. Il foglio diceva di parlare al mittente nel villaggio depredato dagli invasori. Ho disattivato la minimappa, mi distrae dal gioco vero e proprio e non mi serve un granché: so dove si trova il villaggio, ci sono passato vicino all’arrivo, mi basta ricordare la strada e parto al trotto.
Trottando intanto mi guardo attorno. Scorgo oltre le file d’alberi e le frasche delle alte rovine scarlatte. Mi faccio prendere dalla curiosità, mi fermo, scendo da cavallo e vado, insicuro se troverò qualcosa oppure no, ma voglioso di andare alla scoperta dell’ignoto.
A quanto pare è un fortino di mattoni in rovina. Scorgo un torrione crollato in obliquo che fa da comoda strada in salita; allora salgo, salto e mi arrampico. È un accampamento di banditi, di qualche livello più alto del mio. Sono più d’uno di fronte a me, mentre alle mie spalle c’è una pericolosa caduta. Non c’è problema. Uso la magia per sbilanciarli e dividerli, quindi ne elimino uno e mi getto sull’altro, senza timore di essere soffocato dai colpi ora che non posso essere più circondato. Ne rimane solo uno, allora la faccio breve: lo ipnotizzo con la magia e lo finisco con un solo colpo.
Guardo cos’hanno di prezioso e di utile: cibo, ingredienti alchemici, ricette e documenti. Lascio stare le cianfrusaglie troppo ingombranti e gli equipaggiamenti, anche se sono migliori: non mi va di raccoglierne ogni volta che ne trovo uno che procura o protegge un danno in più, mi riempirei di peso e starei più tempo a cambiarmi che a giocare; invece, considero solo le armi professionali e le reliquie, ma non ne tengo più di due nell’inventario; le armature invece le forgio e basta, non le raccolgo, tanto basta giocare bene e danni non ne ricevo. Continuo con la mia missione.
Mi metto a indagare. Cammino guardandomi bene attorno, assicurandomi di non farmi sfuggire nessuna traccia. Vedo dei mostri avvicinarsi. Mi preparo prima che arrivino, cospargendo la lama con un unguento per quel tipo di bestie, e seleziono l’incantesimo di fiamma, che saprà tenerli a bada se mi accerchieranno. Li affronto con pazienza, colpisco, schivo, mi riposiziono con una rotolata e li brucio con la mia fiamma. Una volta uccisi raccolgo le loro parti utili e riprendo a indagare.
Concluso il da farsi, passo alla prossima e poi continuerò la missione principale. Apro la mappa per rinfrescarmi la memoria, e tengo a mente la strada per arrivare al posto del contratto. La posizione del sole è accurata, quindi posso usarlo per orientarmi meglio se serve.
Mi perdo. Ma perdendomi trovo nuovi luoghi e situazioni.
Questo sono io che ci gioco oggi. Bella differenza, vero? Ovviamente non voglio dire che un modo sia imprescindibilmente meglio dell’altro, alla fine ognuno gioca come lo diverte di più. Ciò che distingue le mie due partite fra loro è che il modo in cui giocavo alla prima storpia l’opera, ne manipola il ritmo e sbaraglia il suo senso, genera momenti spiacevoli in continuazione, stonature su stonature; il secondo stile segue il flusso del design e della narrativa (senza mancare un po’ di personalizzazione ovviamente, tant’è che ho aggiunto anche un paio di mod), è casuale e non forzato, naturale come un gioco del genere open world vuole essere, è lento e dall’ampio respiro, e soprattutto vi è rispetto dei suoi limiti.
Il videogioco è uno degli unici due media artistici che richiedono necessariamente un’interazione del consumatore. L’altro è la letteratura, sicuramente meno inter e più attiva, ma in cui l’uso necessario della propria immaginazione per “concretizzare” nella propria mente (concedetemi l’ossimoro) le parole scritte in ciò che esse significano ci porta volenti o nolenti a farne una nostra personale interpretazione, la quale, dal momento che in un paragrafo ci saranno per forza dei buchi da riempire e le parole mai saranno abbastanza esaustive da permettere un’immagine oggettiva della situazione descritta, è un vero e proprio sviluppo personale dell’opera a braccetto con l’autore, come se lui ci offrisse la base per far fare a noi il resto.
Per farla più semplice, noi leggiamo con la nostra testa e lì ricreiamo quel che leggiamo, e quello che creiamo nella nostra testa basandoci sul testo sarà diverso da quello di molti altri, e da esso dipenderà la nostra esperienza col libro, come se lo stessimo personalizzando. Potremmo perfino sbagliare: fraintendere del tutto una frase o una descrizione, dare a un dialogo diretto un tono che non era quello immaginato dall’autore, anche solo non sapere il significato di una parola; ciò cambierà la nostra interpretazione e con essa il modo in cui “sentiamo” il libro che stiamo leggendo.
La musica, per fare un altro esempio, prima che si potesse registrare era interattiva per metà: qualcuno doveva necessariamente mettersi a suonarla ogni volta che voleva essere ascoltata. Quindi se avessi voluto ascoltare un brano di Mozart, avrei dovuto mettermi ad impararlo ed eseguirlo da me, o aspettare un musicista. Al contrario, per esperire un medium totalmente passivo come il cinema basta che teniamo gli occhi aperti e stiamo a guardare finché il film non giunge ai titoli di coda, anche se, in realtà il film proseguirà indipendentemente dal nostro agire e si concluderà pure se ci siamo addormentati o siamo andati via; insomma, un film è un’opera artistica del tutto indipendente da noi, che non ci chiede di fare nulla e che non ha bisogno di noi per funzionare.
Il videogioco è anche quello che riceve molto spesso tutte le colpe, ingiustamente. Leggendo un libro che non ci sta piacendo si capisce facilmente se il problema siamo noi o il libro. Forse usa un vocabolario che non capiamo, e per questo non riusciamo bene ad immaginare? Non riusciamo a comprendere del tutto il contesto o l’ambiente, o empatizzare coi personaggi? Magari non riusciamo a coglierne le sottigliezze narrative e/o filosofiche? Facciamo fatica a svilupparlo nella nostra testa, insomma? Se eseguiamo un brano di Mozart e questo è spiacevole, diamo la colpa a Mozart, o pensiamo che magari abbiamo accordato male lo strumento, o sbagliamo gli accordi? Giocando a un videogioco mi pare capiti più di rado che, quando ci accorgiamo che non ci sta piacendo molto, ci si domandi se sia l’opera in sé a non gradirci o a essere mal fatta, o se è il proprio approccio a rovinare l’esperienza.
Non ce ne accorgiamo, ma videogiocando stiamo a tutti gli effetti completando la realizzazione di un’opera, anche molto più concretamente che con un libro o un brano. Il gioco in sé, il suo design, il suo codice, è tutto un pentagramma su cui son segnate le note; noi dobbiamo eseguirlo, proprio come un musicista, personalizzandolo in base alle nostre preferenze, sì, ma senza allontanarci più di quanto ci è concesso, senza metterci a produrre note non previste e sforzarci di suonare in modo diverso da come è stato scritto e pensato per essere eseguito (il che può sembrare vago e non determinabile, ma un videogioco solitamente ci suggerisce, direttamente o indirettamente, come deve essere giocato). Non si eseguirà da solo come un film, l’esatto opposto di un videogioco. Videogiochiamo a un opera multimediale interattiva e cazzi e mazzi come suoniamo un brano e trasliamo il paragrafo di un romanzo nel suo significato con la nostra mente.
La nostra abilità nel comprenderlo ed eseguirlo nei modi adatti influenzerà di molto il nostro godimento del gioco. Non sei abbastanza bravo? Perderai un sacco, dovrai riprovare in continuazione e il tuo godimento potrebbe calare se non hai la pazienza di migliorarti. Non riesci a sfruttare la varietà di meccaniche che il design offre? La tua esperienza sarà più monotona. Non poni il giusto focus e non offri il giusto tempo ai lati più affascinanti dell’opera, non ne rispetti il ritmo ideale per esperirne i contenuti, non giochi secondo le sue regole; allora il tempo che spendi sull’opera sarà più spiacevole di quanto non lo sarebbe altrimenti.
In particolare, la difficoltà di un gioco è una caratteristica che molto spesso fa scontenti i consumatori e che riceve le lamentele più aspre, perlomeno negli ultimi anni. A voi che pretendete che un gioco si debba per forza adattare alle vostre abilità piuttosto che il contrario, dedico le due paroline magiche e sempreverdi: git gud.
Ovviamente, lo ripeto, ognuno è libero di avere il suo stile di gioco e di giocare come gli aggrada di più. L’importante, secondo me, è appunto non forzare uno stile di gioco che cozza con l’opera e la stravolge in negativo. Poi dopo averla finita una volta ed essersela goduta per ciò che è, ci si mette anche, e con piacere, a riprovarla in diversi modi, perfino a romperla e farci le robe assurde! Canali come Ymfah, che consiglio a tutti e specialmente a chi è appassionato di Souls, si occupano proprio di finire i videogiochi nei modi più bizzarri ed estremi, ma vi immaginate come sarebbe fare una partita del genere la prima volta che si gioca?
Ultimo punto, poi vi lascio andare: mentre giochiamo, non dobbiamo scordarci cosa è un videogioco.
È un software. Zero e uno. Anche il più verosimile dei simulatori lo è.
È un’opera fittizia, ricca di regole proprie, che come tutte le opere fittizie richiede la sospensione dell’incredulità, l’accettazione di dette regole – che nel caso di un videogioco non saranno solo narrative – e l’abbandono della pretesa di realismo qualora non voglia essere offerto.
Ed è una creazione di uomini imperfetti come tutti, quindi anche il loro creato sarà necessariamente imperfetto. A volte capiteranno i bug e i glitch, a volte si faranno notare delle disattenzioni degli sviluppatori o qualche frutto della loro pigrizia o budget insufficiente; ci saranno texture a bassa definizione qua e là, l’intelligenza artificiale ogni tanto sarà buffa; talvolta accadrà qualcosa che vi romperà l’immersione o farà perdere del tempo. O un glitch che vi farà morire e lanciare il controller. Tutto ciò è normale, non è una tragedia, anzi, di rado si tratta di qualcosa che rovina irreparabilmente l’esperienza, ma troppe volte siamo noi giocatori a farci troppo caso (o addirittura a cercare questo tipo di cose per poi criticarle), a non perdonare il gioco e rovinarcela da noi.
In sostanza: aiutiamo il gioco che stiamo giocando a farsi apprezzare. Cerchiamo di giocare nelle maniere giuste, ovvero quelle che enfatizzino i suoi pregi e punti di forza ed evitino il più possibile i suoi difetti e lacune, e, soprattutto, quelle che gli autori hanno previsto: se un libro è ambientato in una montagna innevata e noi immaginiamo le situazioni in un deserto cocente, la colpa delle spiacevoli conseguenze sarà nostra, non dell’opera; esattamente come la colpa è mia per non esser riuscito ad apprezzare del tutto The Witcher 3 alla prima partita, avendolo giocato come si fa con un MMO e alla continua ricerca del prossimo bug o lacuna di design/programmazione da sfruttare per un frivolo completismo. E se comunque decidiamo di fare un po’ quello che ci pare, giochiamo a modo nostro e la cosa va male, teniamolo a mente e non prendiamocela con l’opera.
Questo è tutto, arrivederci e grazie per aver letto fin qui.
Se volete leggere altre mie cialtronerie, link al mio articolo precedente (Wesa non linciarmi):
Il gioco della mia infanzia - e come mi ha condannato all’infelicità