“La poesia non è uno sfogo dell'emozione ma una fuga dall'emozione; non è un’espressione della personalità ma una fuga dalla personalità. Naturalmente, però, solo chi ha personalità ed emozioni sa che cosa significhi volerne fuggire.”
(T.S. Eliot, Tradizione e talento individuale)
IMMERSIONE
Ogni testo narrativo basa la sua credibilità sulla capacità di patteggiare con il lettore sulla quota di finzione che gli chiede di accettare. Se leggiamo Lovecraft dobbiamo sospendere l’incredulità in modo più profondo che se leggiamo Verga. Tuttavia la sospensione dell’incredulità è una costante tanto dell’opera realista quanto di quella fantasy e dunque, a giustificare l’investimento cognitivo e di tempo nella fruizione di una storia non è tanto il grado di realismo di una narrazione, bensì la solidità della sua coerenza interna. Al netto della natura di finzione di ogni atto narrativo, che è invariante, l’unica variabile diventa la credibilità interna di un testo, la sua capacità nel sostenere la finzione cui, irrimediabilmente, è vincolata. Questo compito è probabilmente molto facile da eseguire quando si tratta di realismo, perché dobbiamo limitarci a seguire le stesse regole della realtà; diventa difficile quando creiamo mondi con delle regole inventate. Ma proprio in questo caso sorgono i problemi più interessanti riguardo al rapporto che le storie intrattengono con la realtà e al modo in cui esse catturano il nostro interesse e ci fanno immergere nella fantasia. L’immersione nella storia è fondamentale per l’impatto emotivo che essa vuole suscitare, e può essere raggiunta in più modi. Io ne esaminerò due:
immersione per identificazione empatica;
immersione per interazione.
EMPATIA E INTERAZIONE
Il medium videoludico offre un caso di studio privilegiato per discutere di queste due modalità fondamentali nei processi di sospensione dell’incredulità, perché basa la sua strategia immersiva in quanto medium, sull’interattività data dal gameplay, ma allo stesso tempo ha nella sua Storia vari esempi di giochi story-driven basati sulla costruzione dei personaggi e l’empatia verso di loro (penso, su tutti, a The Last of Us). Ovviamente nel videogioco, l’interattività può essere implementata con meccaniche estremamente varie e creative, grazie alla presenza del gameplay, laddove in altri medium, come il cinema o il libro, ha margini più limitati. Tuttavia, è bene ricordare che l’interazione non è prerogativa dei videogiochi: leggere Rayuela di Cortazar richiede una buona dose di interattività nella lettura, dal momento che il libro è scomponibile e si può decidere liberamente in quale ordine leggere i vari capitoli; Infinite Jest di Wallace è un continuo ping pong tra testo principale e note finali, dove sono contenuti pezzi importanti della trama principale. Una certa quota di interattività è necessaria non solo negli esperimenti postmoderni ma dopotutto in ogni fruizione artistica, perché ogni opera è una macchina pigra che richiede l’attività, più o meno faticosa, del lettore. L’interazione non si esaurisce dunque nel gameplay, poiché quest’ultimo è solo uno dei suoi modi possibili.
L’interazione esiste anche nel cinema. Mi viene in mente ad esempio la cinematografia di Christopher Nolan, che spesso viene criticata perché i suoi film non riescono a stimolare empatia nei confronti dei personaggi. Mi sembra una critica poco centrata, che misinterpreta le opere di Nolan, in cui l’interesse e l’immersione non sono dati dall’empatia ma sono comunque raggiunti in altri modi, come appunto quello dell’interazione e della partecipazione attiva dello spettatore alla decodifica dei piani narrativi in cui il regista articola (a volte con scarsissimo successo, vedi l’orrendo Tenet) i suoi film. Ad esempio, nella sua rassegna di recensioni a Tenet, Il Post scrive1:
«Difficile da amare»
Kiang ha anche criticato il film perché «stuzzica i sensi, ma non fa battere il cuore» (una critica mossa anche ad altri film di Nolan, in passato) e un’idea simile l’ha espressa Felperin secondo la quale Tenet è «facile da ammirare ma difficile da amare». Gli aggettivi “cerebrale”, “freddo” e anche “distaccato” si trovano in più di una recensione.
I film di Nolan richiedono allo spettatore l’interazione con la trama più che l’empatia con i personaggi per raggiungere l’immersione. Ogni opera, dunque, è in qualche misura interattiva. Ma molte opere riducono al minimo la quota di partecipazione interattiva dello spettatore, soffocandola con quella che chiamo “strategia dell’immersione passiva da empatia”. La mia tesi è che l’empatia sia una categoria critica di analisi delle opere da superare e che gli autori che la usano debbano stare attenti a non abusarne per non banalizzare le loro storie. Sostengo inoltre che il videogame sia il medium che più chiaramente degli altri mostri la verità di strategie narrative che innescano emozione senza l’empatia.
ECO ALL’INFERNO E IN PARADISO
Una volta Umberto Eco scrisse che tutti amano l'Inferno di Dante e giudicano il Paradiso la parte meno interessante della Divina Commedia, perché l'Inferno è pieno di pathos umano mentre il Paradiso è una perfezione statica e bianca. Ma Eco ci dice che ama il Paradiso tanto quanto l’Inferno, perché mentre l’Inferno fornisce un'estasi della passione umana, il Paradiso innesca un'estasi della mente e dell'intelligenza.2
Dove non ci sono esseri umani che innescano il nostro interesse è facile perdere l'immersione del pubblico, ma se alla fine riesci a catturarlo, probabilmente l’immersione critica è più profonda e consapevole dell'identificazione empatica e “di pancia”. Come se fosse ad un secondo livello di consapevolezza. L’emozione della poesia non è l’emozione della vita reale, ma appartiene a un genere del tutto diverso e autonomo perché ha dei presupposti testuali, laddove nella vita i presupposti dell’emozione sono esperienziali. Tra i due tipi di emozione passa la stessa differenza che c’è tra il meccanismo di un orologio (poesia) e il passare delle stagioni (vita reale). Dice Eliot nel fondamentale saggio “Tradizione e talento individuale”:
Impressioni ed esperienze che pur sono importanti per l’uomo possono non avere spazio nella poesia, e quelle che diventano importanti nella poesia possono giocare un ruolo assolutamente trascurabile per l’uomo, per la sua personalità.
(T.S. Eliot, Tradizione e talento individuale)
Le strategie di costruzione dell’emozione nella poesia (o più in generale, nei testi) non sono le stesse di quelle della vita reale, anche se possono condividerne certi aspetti. Letteratura ed esistenza sono due cose diverse, sebbene si influenzino a vicenda. Ma possono stare in questo rapporto di reciproca influenza proprio perché non coincidono mai interamente. Se coincidessero, allora non ci sarebbe bisogno della letteratura perché la vita si organizzerebbe già da sé in strutture letterarie, e invece c’è bisogno del catalizzatore degli eventi, che è l’autore dell’opera.
COSA SI PROVA AD ESSERE UN’ASTRONAVE
Nella saga di Mario, c’è ben poco per cui provare empatia. Eppure i giochi di Miyamoto sono dei capolavori di emozioni videoludiche. Com’è possibile?
La Storia dei videogame è piena di opere con protagonisti non-umani con cui è, eufemisticamente, difficile identificarsi o empatizzare. Il primo videogioco della storia è stato probabilmente il gioco del tris, OXO (altri dicono un gioco simulativo del lancio dei missili, ma la sostanza non cambia). Seguito da giochi simulativi di ping-pong (o tennis). E poi Space Invaders3, Pac-Man, ma anche in videogiochi un po’ più narrativi e con personaggi umani come la serie di Zelda, l’interesse non è suscitato dall’identificazione empatica. Lo stesso vale per Mario. Lo stesso vale per i souls. Lo stesso vale per Journey o per i metroidvania. I videogiochi dimostrano un’incredibile varietà di strategie di immersione, da quella per il level design, a quella per la lore, al puro gameplay, ecc. Pensate a Bloodborne, in cui non esiste approfondimento psicologico del nostro personaggio giocabile. Una storia il cui protagonista ha lo spessore emotivo di una pozzanghera, che non reagisce e non risponde nemmeno ai dialoghi degli altri NPC.
Eppure Bloodborne ci coinvolge eccome. Lo stesso succede con i film di Nolan, con Lovecraft, Borges, Cronenberg, che non sono autori che fanno dei personaggi il fulcro delle loro storie. Pensate a Moby Dick, che ha per protagonista una balena e la sua metafisica bianchezza. Pensate a The Lighthouse, di Robert Eggers che ha per protagonista un faro e la sua luce imperscrutabile. Queste narrazioni sostituiscono il coinvolgimento emotivo di primo livello che fa leva sul nostro desiderio di identificazione, con una più profonda sensazione di immersione nelle narrazioni, le quali non utilizzano il dispositivo immediato dell'identificazione umana e dell'empatia con i personaggi ma innescano strutture di interesse più complesse e stratificate.
“L’emozione dell’arte è impersonale. E il poeta non può raggiungere questa spersonalizzazione senza arrendersi totalmente all’opera che va fatta. Ed è improbabile che il poeta sappia ciò che va fatto se non vive in un tempo che non è soltanto il presente, ma il presente del passato; se non è consapevole non di ciò che è morto, ma di ciò che, fin da prima di lui, è vivo.”
(T.S. Eliot, Tradizione e talento individuale)
I videogiochi dimostrano proprio quanto si possa essere vari nelle strategie di immersione narrativa al di là dell’immersione empatica che è la più immediata e isomorfa all’emozione dell’esistenza pratica. Quello che offre il videogioco è una enorme varietà di emozioni “disincarnate”, di estasi della mente, dalla meraviglia del paesaggio, alla sorpresa del level design, alla commistione tra narrativa e gameplay, passando per la danza di un combattimento o la conquista di un obiettivo complicato. Eppure il medium videoludico offre grandi esempi di immersione data dall’empatia: pensate a The Last of Us o alle opere di Kan Gao. Ma The Last of Us non è immersivo solo grazie all’identificazione empatica con i personaggi: lo è soprattutto grazie all’interazione del gameplay, e ci riesce nonostante il gameplay di TLOU non abbia grandi spunti creativi. L’empatia diventa funzione dell’interattività mostrando il fraintendimento della coincidenza tra empatia ed emozione.
L’emozione può raggiungersi in molti altri modi oltre all’empatia.
[SEGUONO ENORMI SPOILER SU TLOU] Uno dei momenti più emozionanti della mia vita da videogiocatore è stato il finale del primo capitolo di TLOU, quando Joel, controllato da te, arriva nella sala operatoria dove stanno per operare Ellie per trovare una cura all’epidemia. In quel momento, anche se l’unico modo per andare avanti nella storia è quello programmato dall’autore e quindi non hai una scelta reale in quanto player (a parte quella di spegnere la console), il fatto che sia comunque tu a far eseguire le azioni a Joel, provoca una immersione e un coinvolgimento emotivo che è uno dei più profondi che abbia mai provato, perché ti fa percepire la follia di Joel in modo non discorsivo ma pratico, usando la consapevolezza metanarrativa del giocatore come strategia narrativa.
Questo esempio mi dà l’occasione per esaminare l’ultimo punto del mio discorso: la differenza tra ricezione attiva e passiva delle opere.
INTERAZIONE CRITICA, EMPATIA PASSIVA
Finora ho continuato a ripetere che l’immersione empatica fosse una strategia superficiale ma non ho mai spiegato il perché. Il motivo è che l’immersione empatica richiede pochissimo sforzo critico e interpretativo e arriva spesso a fagocitare la componente interattiva dell’opera. Fa leva su un nostro riflesso involontario, inconscio, quando non è accompagnato da un complementare stimolo all’attività critica e interpretativa. Questo fenomeno è particolarmente evidente nelle produzioni commerciali hollywoodiane che giocano su sentimenti superficiali ma emotivamente d’impatto e soprattutto nelle serie-tv, dove la diluizione della trama richiede la continua presenza di melodramma ed emozioni caricate per stimolare il coinvolgimento del pubblico (si pensi ai teen drama Netlix, sigh, ormai un genere consolidato). L’empatia si trasforma troppo facilmente in anestesia (non è affatto un caso che spesso l’empatia sia lo strumento principale del fan-service), rendendo passiva la fruizione dell’opera. Il videogioco offre uno spunto di riflessione importante: impone un’armonia tra questa inevitabile passività emotiva e l’attività dell’interazione (ovviamente quando l’interazione non si trasforma in ripetizione meccanica delle stesse azioni o degli stessi pattern: vedi la definizione di “gioco senza fondo”4). L’obbligo del gameplay, anche nei casi di una storia scripted, assicura quel distacco dall’empatia passiva perché frappone il pad tra noi player e i personaggi, e quindi è in una certa misura sempre autocritica e consapevole e, già per definizione, riflessione meta videoludica.
In TLOU, ad esempio, non si tratta mai della nostra empatia con Joel o Ellie, ma della nostra consapevolezza di quell’empatia, di una riflessione critica e problematica con l’identificazione, come dimostra l’emozione di resistenza all’azione che proviamo nel finale del gioco. Soprattutto quando i personaggi con cui ci identifichiamo commettono, attraverso i nostri click, atti terribili. Lo stesso avviene in Breaking Bad, a cui molto spesso paragono TLOU per atmosfere e strategie di immersione e di approfondimento dei personaggi. Le storie che forniscono al lettore degli strumenti per la loro stessa decostruzione, se anche non garantiscono in assoluto il distacco critico necessario a non diventarne meri ricettori passivi, fanno quanto meno nascere attriti sulla facilità di identificazione con i personaggi. Un protagonista che commette atti terribili ma che ci fa compassione è l’esempio perfetto di questo meccanismo (Walter White e Joel). Sul problema della compassione per il male, tuttavia, potrebbe essere scritto un altro intero articolo.
Nei videogiochi, facciamo uccidere i nostri avatar al posto nostro. Grazie alla potenzialità dell’interazione, portata ai massimi livelli di evidenza e di attività rispetto agli altri media, i videogiochi sono potenzialmente il medium dove è più possibile stratificare significato e livelli di lettura critica e in cui è più facilmente evitabile l’empatia passiva come strategia di immersione. I videogiochi ci ricordano che l’empatia, in una storia, non è tutto. E spesso non è neppure necessaria, senza perdere in carica emotiva e immersiva.
https://www.ilpost.it/2020/08/26/tenet-recensioni/
Nella raccolta di saggi Sulla letteratura
Il titolo dell’articolo fa il verso al titolo di un famosissimo articolo del filosofo Thomas Nagel che riflettendo sulla coscienza e sul rapporto tra percezione soggettiva e riduzionismo oggettivo, si chiedeva “What is it like to be a bat?” cioè “Cosa si prova ad essere un pipistrello?”